"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

venerdì 5 giugno 2009

La democrazia ignorante

Di Marco Cecini

In età classica, Aristotele divise le forme di governo in tre categorie ben distinte, con le relative degenerazioni. La Monarchia, o governo di un solo uomo (“Monos”), nella sua forma degenerata diveniva Tirannide, ovvero governo di un solo uomo che era asceso al potere in maniera non legale.
L’Aristocrazia, ovvero il governo dei migliori (“Aristoi”), prevedeva che la nazione fosse governata da un Consiglio costituito dai personaggi più insigni e meritevoli della società. La sua degenerazione è l’Oligarchia, ovvero sia il governo di alcuni (“Oligoi”), non necessariamente i migliori.
E veniamo al punto interessante: la terza categoria è infatti la Politeia, ovvero sia il governo dei cittadini su base elettiva. La sua degenerazione era la Democrazia, ovvero sia il governo in cui a comandare è la massa.
L’estrema intelligenza di un filosofo il cui spessore intellettuale è passato alla Storia deve spingerci alla riflessione. Perché Aristotele distingueva fra cittadinanza e massa? Non si sta forse parlando dello stesso concetto, della stessa aggregazione di persone, della società nel suo complesso?
Forse il pensatore ateniese semplicemente sottolineava una necessità che molti di noi sembrano aver dimenticato: un cittadino è tale quando è libero nelle sue scelte. Ma la libertà non è semplicemente quella di mettere una crocetta su una lista, la libertà non può prescindere dall’oggettività, e dalla verità. Non potrò mai dirmi libero nelle mie scelte finché gli strumenti informativi che mi vengono messi a disposizione non mi ragguagliano su quello che sta succedendo veramente intorno a me; non potrò mai dirmi libero nelle mie scelte finché non ci sarà una linea di demarcazione netta fra ciò che è vero e ciò che è falso, fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Se la mia mente viene condizionata dalla propaganda, se la mia coscienza viene comprata da una promessa di benessere in un’epoca di povertà e disagio, io non potrò mai essere libero nelle mie scelte.
Se un popolo viene affamato e recluso alle periferie di un mondo di lustrini, belle donne e successo, questo stesso popolo non sarà libero nelle sue scelte, e farà tutto quel che è in suo potere per entrare in quello stesso mondo lucente che l’informazione gli sventola sotto il naso come una meta irraggiungibile eppure così a portata di mano.
Comprenderete quindi che la cittadinanza è l’insieme delle persone libere e consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, mentre la massa è l’insieme delle persone che pongono la propria libertà al servizio delle più impellenti necessità. Il concetto di massa, già di per sé indica un impoverimento morale e materiale della società. La massa non è l’insieme dei cittadini, ma l’insieme degli individui egoisticamente accomunati dalla ricerca di un benessere personale in virtù del quale sono disposti anche a vendere la propria coscienza. Il cittadino è colui che sa di dover pagare le tasse, perché il suo diritto a non venire salassato dallo Stato termina nel momento in cui comincia il suo dovere di contribuire a una pressione fiscale che deve gravare su TUTTI i componenti della società, se vuole risultare più tollerabile. L’individuo di massa è colui che si preoccupa di non pagare lui stesso, per alleviare la sua situazione personale, senza pensare alle conseguenze che il suo gesto può comportare agli altri cittadini o allo Stato.
Ciò che Aristotele temeva, era proprio questo. Che la Politeia, o il governo dei cittadini in nome dell’equità, della solidarietà sociale e della giustizia, si trasformasse nel governo della Massa egoista e individualista. La massa che non elegge a suo rappresentante colui che è Giusto, ma colui che fa i suoi interessi. Se poi costui, assieme agli interessi dei singoli, farà anche i suoi propri, poco male.
Ecco perché non importa se le persone più ricche della Nazione non pagano le tasse, in fondo, se posso non pagarle nemmeno io, mi va bene così. Non importa se ormai in Italia è impossibile processare qualcuno, vorrà dire che quando mi troverò io stesso a dover fare i conti con la giustizia, la scamperò anche io così come mi hanno insegnato a fare i miei eletti. Non importa se ormai per i reati di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta non si va più in galera, anzi, è una manna per chi ha intenzione di aprire un’attività, potrà “arrangiarsi” come meglio crede consapevole dell’impunità.
La domanda, lo so, sorge spontanea: cosa si può fare per impedire che questo catastrofico scenario si avveri, pur mantenendo come punto fermo la Democrazia (che nel frattempo ha abbandonato l’accezione spregiativa che aveva ai tempi di Aristotele) nel nostro paese?
La soluzione è molto semplice: la Politica, ovvero sia l’insieme dei cittadini eletti, deve dotarsi di strumenti di limitazione interni che ne pregiudichino una degenerazione massiccia. In termini più spiccioli, poiché nulla vieta alla massa di votare dei pregiudicati, il Parlamento deve dotarsi di regole che tengano fuori dalle sue fila pregiudicati e condannati. Poiché nulla vieta alla massa di votare personaggi con conflitti di interesse enormi, il Parlamento deve dotarsi di leggi che impediscano a chi ha conflitti di interesse di candidarsi. Poiché nulla vieta alla massa di votare persone che abbiano l’unico intento di arricchire se stessi con i soldi dei contribuenti, e assieme a se stessi arricchire la propria famiglia, e le famiglie dei propri parenti, e sistemare intere generazioni creando di fatto una nuova nobiltà, la Politica deve dotarsi di una serie di ferree limitazioni a emolumenti, privilegi e sconti per i suoi appartenenti.
Deve riscoprire la sua natura reale, deve tornare ad essere un Servizio allo Stato, e non una carriera.
Deve tornare ad essere limitata nel tempo, al massimo a due legislature, e non un mestiere ad vitam.
La Politica non può e non deve giocare con la Democrazia, trasformandola nello strumento del proprio privilegio. Deve automoderarsi e autogovernarsi, ponendo a se stessa quei freni che la massa non è capace di porsi, senza cavalcarne invece gli eccessi con la demagogia.
Questo, però, è il mondo del Giusto. E’ il mondo delle Idee, di Platone e del più materialista Aristotele. Il mondo reale è, purtroppo, un’altra cosa.

2 commenti:

  1. Marco, anche questa volta ti ho letto con rapita attenzione.
    Mi permetto ,però, di esprimere il mio dissenso sulle 'soluzioni' da te suggerite.
    Gli strumenti di limitazione, in realtà, esistono già.
    La stessa costituzione, da sola, è sufficiente ad escludere categoricamente la legittimità dell'attuale sistema di potere, fondato su un conflitto di interessi (finanziario e giudiziario) ben più esteso e radicato di quello che quotidianamente vediamo incarnato da Berlusconi (che, a sua volta, da solo, è del tutto incostituzionale).
    Esiste già una complessa ed articolata legislazione che si svolge a diversi livelli, nazionali, sovranazionali ed internazionali, che nega (almeno sulla carta) cittadinanza all'anomalia italiana.
    Il problema non è fare leggi nuove, ma applicare quelle esistenti.
    Se escludiamo, come è doveroso perché illegittime, le leggi carta igienica, che la casta sta srotolando da 15 anni a questa parte a suo uso e consumo, le altre basterebbe applicarle, cosa che non avviene.
    Inoltre, non è vero che 'nulla vieta alla massa di votare personaggi in conflitto di interessi'.
    Non sono io a dirlo, ma l'art. 1, 2° comma Cost.: "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
    Quelle forme e quei limiti sono egregiamente e saggiamente enucleati ed illustrati attraverso ben 139 articoli, nessuno dei quali prescinde dall'altro e tutti, a mio avviso, serventi rispetto ad uno di essi: il 2° comma, art. 3.
    Quello in cui si spiega e sancisce l'essenza della democrazia, o politeia, come direbbe Aristotele.
    Sono almeno 15 anni che gli italiani, illegittimamente e vergognosamente ormai ridotti a 'massa', sono chiamati alle urne senza quelle forme e aldilà di quei limiti.
    Non servono, su questo punto, leggi nuove, ma persone nuove e soprattutto di alta statura morale e intellettuale.
    La vicenda legislativa che ha interessato l'articolo 68 della Costituzione la dice lunga sul punto.
    Tra l'altro, se ci fermiamo a riflettere, la Costituzione italiana, oggi, è la legge più nuova che abbiamo, visto che nessuno si decide ad usarla.
    Mentre le leggi che chiamano di riforma (rigorosamente carta igienica) sono quanto di più vecchio e stantio si possa immaginare, addirittura volgari, nella loro scoperta portata propagandistica e di sfacciata pretesa di controllo della massa.
    Credo che anche un fine rappresentante della casta, quale fu Camillo Benso di Cavour, guarderebbe schifato al dilettantismo e alla volgarità dei suoi successori.
    E' evidente che oggi nessuno di questi buffoni sarebbe in grado di tenere testa e di usare il genio di un Mazzini e il carisma di un Garibaldi, come Cavour allora seppe fare, al servizio di un'oligarchia che prometteva uno Stato liberale, ma che era in realtà premessa di un rinnovato ancien régime.
    Per fortuna, oggi, non c'è più Cavour. Purtroppo non abbiamo neppure Mazzini e Garibaldi.
    In compenso c'è la rete.

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  2. Grazie Barbara come al solito per la tua attenzione e per il tuo commento. Purtroppo noi italiani siamo, geneticamente, un popolo che ha fatto dell'arte di arrangiarsi il suo tratto dominante. Questa caratteristica si traduce in forza quando ci troviamo in situazioni di crisi e di estrema sofferenza, perché riusciamo a tirare avanti in situazioni in cui moltri altri popoli non potrebbero; diviene tuttavia la nostra maledizione quando il riuscire comunque a cavarcela in ogni circostanza ci impedisce storicamente di dire quel "BASTA!" di cui sono fatte le rivoluzioni. Un senso di stoico adattamento permea la nostra storia da secoli, e negli individui più scaltri e maliziosi questo adattamento ha assunto connotati particolari e ancor più meschini, traducendosi nella capacità di cavillare sulle nostre leggi, aggirandole e interpretandole a proprio beneficio.
    La Costituzione purtroppo non è una Legge. Non è vincolante, e più di una volta lo ha dimostrato in questi anni. Partiti razzisti e xenofobi guidano il governo, la Repubblica non è fondata sul lavoro, ed anzi lo mortifica con una precarietà che non ha eguali nel mondo, e la sovranità appartiene al popolo nei limiti in cui la partitocrazia gli permette di esercitarla.
    Alla fine dei conti, nonostante la traccia morale che i nostri Padri costituzionali hanno sottoscritto, quella benedetta X sulle schede elettorali ognuno la mette come meglio crede.
    E' il pericolo che si cela dietro ogni democrazia, la libertà di decidere il proprio destino, ma anche la libertà di decidere della propria rovina.
    Spetta a menti illuminate cercare di limitare la portata di questo catastrofico potere di arbitrio, limitando le possibili derive attraverso una serie di mezzi precauzionali e limitativi del potere e del privilegio acquisibili attraverso l'entrata nel "sistema".
    Quando un Presidente come Napolitano, che ha sempre posto la Costituzione in cima alla lista delle sue attività politiche, firma dei provvedimenti come la legge sul falso in bilancio o il Lodo Alfano, evidentemente qui non è più un problema di costituzione. Bisogna creare delle leggi severe e ferree che facciano in modo che quanto sta succedendo non si verifichi mai più. Ci saranno ancora 10, 100, 1000 Berlusconi nel nostro Paese, il punto è renderli incapaci di agire attraverso una fitta maglia di legalità, un filtro che deve passare al setaccio i candidati al Parlamento e alle altre cariche politiche del nostro paese.

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