"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

mercoledì 31 agosto 2011

La 'resa dei conti' della finanziaria e la 'responsabilità' di Napolitano

Non c'è solo tutto il dibattito sulla crisi finanziaria mondiale e se, per noi comuni mortali, sia preferibile che crolli tutto il sistema oppure se dobbiamo sperare di poter cambiare e rendere più giusti l'Italia ed il mondo senza doverli ricostruire dalle macerie ex novo. 
Non c'è solo la questione del commissariamento del governo italiano da parte dell'Europa (leggi Merkel e Sarkozy) e della BCE rispetto al quale peraltro si deve contestare, come fa Barbara Spinelli, l'uso che dell'ormai famigerata lettera di Trichet e Draghi (acquisto dei titoli pubblici italiani in cambio di interventi straordinari sulla finanza pubblica) hanno fatto Berlusconi e Tremonti. Citandola per giustificare i propri provvedimenti ma senza pubblicarla affinché potesse essere consentito alle forze politiche e sociali, agli esperti economici, ai cittadini di discutere sulle indicazioni formulate, se ad esse ci si dovesse attenere e, nel caso, quali fossero i modi migliori per raggiungere gli obiettivi prefissati. 
C'è anche una fisionomia tutta italiana, nel quadro della coazione a ripetere i propri errori da parte del sistema capitalistico mondiale, che assume la manovra lacrime e sangue, la macelleria sociale della finanziaria del governo Berlusconi. E cioè quella di un governo espressione di comitati d'affari (chi legge scelga se definirli fascistoidi, massonico-piduisti, mafiosi). 
Superata la prima fase emotiva alimentata dai mass media, dell'intervento improcrastinabile imposto dall'Europa e indispensabile a salvare il Paese dal default (anche perché l'andamento delle borse dimostra che mercati e speculatori continueranno a restare in agguato e non si placheranno con qualche punto percentuale di taglio del deficit), sono emersi via via tutti gli aspetti punitivi ed iniqui della manovra intrisa di un'ideologia degna del Tea Party americano.
Un decreto legge (che va ad aggiungersi ai provvedimenti presi a luglio, anticipandone l'entrata in vigore ed inasprendone i contenuti) che è ad un tempo classista, inefficace (perché anche se letto nella logica capitalista non è sufficiente a stimolare quella crescita del PIL ritenuta indispensabile per riequilibrare i conti pubblici), ispirata da logiche elettoralistiche (e pertanto i bacini di voto della Lega e del PDL non andavano toccati o dovevano esserlo il meno possibile) e dalla volontà di operare una resa dei conti nei confronti dei nemici della destra. 

E' ben diversa questa destra al potere dal 2008 da quella del 2001 e del 1994: se quella andava lancia in resta contro i lavoratori (riforma delle pensioni, abolizione dell'articolo18) suscitando la reazione frontale delle forze sindacali (e lo sfaldamento della propria maggioranza con la crisi provocata dalla Lega nel 1994) questa utilizza strumenti subdoli per colpire i ceti popolari e realizzare i propri obiettivi e tenta di occultarne e nasconderne gli effetti. 
Nel contempo i ricchi, i privilegiati, i corrotti e gli evasori sono stati risparmiati: nessun provvedimento per contrastare realmente la corruzione e combattere l'evasione fiscale, nemmeno il più flebile proposito di tagliare i privilegi del Vaticano (8 per mille ed esenzioni ICI), risibili e rinviati sine die (subordinandoli all’approvazione di modifiche costituzionali) i risparmi da realizzare attraverso la riduzione dei costi della politica, rifiuto sdegnato dell’idea di un'imposta patrimoniale e di una tassazione straordinaria per i capitali scudati, la piena conferma delle spese militari e di quelle per le grandi opere.  
Si guardi tutto questo unitamente alla recente formulazione del Codice antimafia che tante perplessità ha suscitato nella magistratura (Giancarlo Caselli) e nelle organizzazioni anti-mafia (Libera di Don Ciotti)  
Pur di fronte ad interventi odiosi per la vita della generalità delle persone ed in particolare per i più deboli si è parlato per giorni di come poter evitare il cosiddetto contributo di 'solidarietà' per i redditi oltre i 90.000 euro l'anno. E' sembrato, per molti politici e molti osservatori, che quello fosse la vera pietra dello scandalo. Certo avrebbe rappresentato un ulteriore aggravio per chi probabilmente già paga le tasse ma avrebbe comunque colpito soggetti sufficientemente benestanti per sopportare il prelievo. 
E su questo punto si è concentrata, da parte della maggioranza, la ricerca di misure alternative, con le ipotesi di stretta sulle pensioni, di aumento dell'IVA (cioè di una tassa che colpisce indistintamente tutti e dunque in misura proporzionalmente maggiore i più poveri), di nuovi condoni, di vendita straordinaria degli immobili fino ad arrivare all'ultima performance del 'ndo cojo cojo creativo della ditta Berlusconi, Bossi e Tremonti che pur di non colpire ricchi, privilegiati, evasori e corrotti preferisce calare ancora una volta la scure dei tagli sui 'nemici' (sui lavoratori che potevano computare nell'anzianità contributiva necessaria ad acquisire il diritto alla pensione il periodo di servizio militare prestato obbligatoriamente e gratuitamente a favore dello Stato e gli anni dei corsi di studio universitari, riscattati a pagamento; sulle agevolazioni fiscali per le cooperative). Salvo poi smentirsi e cambiare idea, dopo due giorni, per l’ennesima volta dando prova di un pressappochismo e di un’incompetenza che grida vendetta. 
Nel complesso si fa realmente fatica a tenere a mente tutte le porcate che realizza questo provvedimento.
Contro la Costituzione con la pretesa di stravolgerne gli articoli 41 e 81 (sull'utilità sociale dell'impresa e dell'iniziativa economica, con la follia di voler scrivere nella Costituzione l'obbligo del pareggio del bilancio).
Contro i lavoratori ed i sindacati (statuendo di fatto l'abolizione dello Statuto dei lavoratori).
Contro le festività laiche che celebrano la nascita e l'identità della Repubblica nata dalla Resistenza (25 aprile, 1 maggio, 2 giugno) che testimonia il consueto livore ideologico nei confronti della genesi della nostra democrazia (e con l'effetto collaterale di danneggiare l'economia turistica dei 'ponti' provocando le proteste degli operatori economici del settore).  
Contro il welfare (accelerando, senza alcuna contropartita in termini di servizi sociali per la famiglia, i tempi per l'equiparazione dei requisiti pensionistici delle donne rispetto agli uomini, con l'introduzione di nuovi ticket sanitari, con la riduzione dei trasferimenti agli enti locali che si tradurrà inevitabilmente nel definitivo smantellamento dei servizi sociali e in nuove tasse comunali e regionali).  
Contro gli invalidi e i non autosufficienti sui quali si abbatteranno tagli (delle pensioni di invalidità, degli assegni di accompagnamento, delle spese detraibili in sede di dichiarazione dei redditi) per 24 miliardi di euro in due anni. 
Contro l'ambiente e e a favore delle ecomafie (con l'abolizione del sistema di tracciabilità elettronica dei rifiuti speciali, il SISTRI ). 
Contro i dipendenti pubblici (bloccando gli aumenti contrattualmente previsti, subordinando il pagamento della tredicesima ai dipendenti al raggiungimento degli obiettivi di risparmio dell'amministrazione di cui fanno parte, posticipando di 24 mesi l'erogazione del TFR per il dipendente che scelga il pensionamento anticipato, confermando nei loro confronti l'aggravio dell'IRPEF oltre i 90.000 euro di reddito). 
Contro i beni pubblici contraddicendo quella che è stata la scelta di 27 milioni di cittadini nei referendum del 12 e 13 giugno.  
Contro la cultura (prevedendo con la soppressione degli enti 'inutili' anche l'eliminazione di gloriose istituzione culturali come l'Accademia della crusca e l'Istituto Fermi).  
La manovra non è accompagnata da alcun progetto di politica industriale, non attua alcuna redistribuzione di redditi a favore dei ceti medio-bassi che ne allevi la condizione sempre più disagiata e che possa avere l'effetto, aumentandone il potere di spesa, di incrementare i consumi. 
Su tali ceti si abbatterà invece una gragnola di colpi: blocco all’indicizzazione delle pensioni, il precariato verrà esteso a tutti con le nuove norme sul lavoro, l'allontanamento dell'età in cui i 'vecchi' potranno andare in pensione significherà meno occasioni di lavoro per i giovani, minore offerta di servizi sociali, penalizzazioni per i dipendenti pubblici, riduzione di detrazioni e spese deducibili nella dichiarazione dei redditi (la qual cosa significa anche, ai fini della lotta all’evasione fiscale, minore 'convenienza' a pretendere la ricevuta da artigiani e professionisti), l’estensione della Robin Hood Tax (la maggiorazione dell’IRES per le società che operano nel settore energetico) avrà inevitabilmente effetti sui costi per i consumatori di carburanti e bollette. 
In queste decisioni c'è un filo comune che è quello del disprezzo della vita delle persone, dei più deboli, dei diritti acquisiti, senza remore nel lasciare in mezzo ad una strada chi ha fatto delle (obbligate) scelte esistenziali sulla base di regole e norme che ora vengono cancellate da un giorno all'altro (si pensi ad esempio agli accordi aziendali, ratificati dalle istituzioni pubbliche, che ponevano i lavoratori in mobilità fino al raggiungimento al diritto alla pensione e che ora, modificandone i requisiti per l'accesso, mettono a rischio la possibilità per questi lavoratori di mantenere un reddito).  
Di fronte a tutto questo che senso ha l'appello di Napolitano alla responsabilità di tutte le forze politiche, alla coesione e al dialogo costruttivo in nome dei superiori interessi della Nazione? 
Che l'Italia fosse in crisi profonda e sull'orlo del fallimento non serviva che lo dicessero i mercati: bastava guardare ai dati della disoccupazione e della povertà, alla qualità dei servizi pubblici essenziali, al degrado dell'ambiente e nella cura del patrimonio artistico ed archeologico, ai tempi della giustizia e alla situazione inumana delle carceri e dei Centri di Identificazione ed Espulsione, alle cifre del debito pubblico, della corruzione, dell'evasione fiscale, del fatturato delle mafie. 
Se l'Italia è il Titanic che sta affondando è necessario sapere anzitutto chi ha portato la nave ad infrangersi contro l'iceberg e togliergli immediatamente il comando: i grandi poteri economici e finanziari e le cricche politiche, affaristiche, massoniche (P2, P3, P4), mafiose, papiste (tra cui quella CL che il Presidente della Repubblica si è degnato di onorare intervenendo al suo show annuale e che ha fin qui sempre sostenuto il governo Berlusconi, i privilegi e le intromissioni del Vaticano e delle gerarchie ecclesiastiche e che, utilizzando il suo braccio economico, la Compagnia delle Opere, ha contribuito per i propri interessi allo smantellamento del welfare pubblico).
Non siamo tutti uguali di fronte alla crisi: vi sono lupi e agnelli, carnefici e vittime come scrive Loris Campetti sul Manifesto.
Bisogna sapere a carico di chi vanno e chi avvantaggiano i provvedimenti che vengono adottati. Se cioè tutti, anche i passeggeri di terza classe, avranno diritto ad una scialuppa di salvataggio o se, come sempre, i soliti privilegiati potranno salvarsi grazie al sacrificio degli ultimi. 
Nel suo intervento al meeting di Comunione e Liberazione di poco più una settimana fa Napolitano ha sostanzialmente auspicato un governo di unità nazionale. Che lo abbia fatto invitato ed acclamato da una delle organizzazioni cattoliche più potenti e più fedeli a Ratzinger e Bertone fa supporre che ormai anche il Vaticano abbia deciso di mollare Berlusconi. E che punti su di un governo in cui i cattolici, anzi per meglio dire i papisti, sia che vadano a riunificarsi in un unico partito o che mantengano la propria presenza in tutti e tre i poli, continueranno a rappresentare la spina dorsale. 
La presenza sul palco di Enrico Letta ed in platea di Marchionne, Passera, Moretti, Conti è un altro segnale tangibile di questo possibile ed ecumenico nuovo corso politico. Così come gli smarcamenti del ciellino Formigoni dal governo PDL-Lega.
Ma l'appello di Napolitano potrebbe anche tradursi in un ulteriore aiuto alla sopravvivenza del governo Berlusconi. 
Così è stato con la firma di tutte le leggi vergogna della destra. Già l'anno scorso, imponendo che la sfiducia presentata dalle opposizioni venisse votata dopo l'approvazione della legge finanziaria, Napolitano ha dato tempo a Berlusconi di ricomprarsi i deputati che aveva perso con la scissione di Fini; un ulteriore assist è stato offerto al Governo ottenendo nel mese di luglio che l'opposizione consentisse l'approvazione in tempi rapidissimi di un provvedimento dimostratosi oltre che iniquo inefficace. 
Nel discorso di Napolitano al meeting di CL vi sono stati certo elementi condivisibili e di alto valore ideale: una politica che debba fondarsi sulla verità e la ragione, il richiamo all'equità nelle misure di finanza pubblica e alla necessità di una lotta senza quartiere all'evasione fiscale, la consapevolezza che il parametro del PIL per identificare il livello di progresso di un popolo e di uno Stato vada superato con altri criteri di misurazione che tengano conto della qualità della vita, l'invito al dialogo tra tutte le componenti sociali, politiche, culturali, lo sforzo per accrescere il sentimento della Nazione, l'aspirazione ad un governo europeo che si affermi come realmente democratico. 
Ciò che ha deluso è stato il riproporre, come l'unica possibile, quell'idea di economia fondata sulla crescita e sullo sviluppo della produzione e dei consumi, sulla competizione internazionale, sul rispetto dei parametri finanziari determinati dai mercati. Quel sistema capitalistico cioè che è all'origine della crisi economica mondiale di questi ultimi anni. 
E’ un vecchio liberale come Giovanni Sartori, non un pericoloso comunista o un utopico decrescista, a ricordarci che la crescita è ormai da decenni per il mondo occidentale una chimera e che pertanto la crisi, nel’economia globalizzata intossicata dai prodotti finanziari, va risolta percorrendo altre strade.  
Ma soprattutto è apparso inaccettabile il richiamo, palesemente ipocrita e retorico, ad uno sforzo comune ed alla 'responsabilità' di tutte le forze politiche per uscire dalla crisi. Napolitano non può continuare a far finta che maggioranza e opposizione siano schieramenti parimenti legittimi ed in quanto tali invitarli ad un dialogo costruttivo nell'interesse generale della Nazione e di un popolo che ormai non rappresentano più. 
Solo chi è in mala fede non riesce a vedere il vulnus alla democrazia che costituisce la maggioranza berlusconiana: con i propositi eversivi della Lega e, per quanto riguarda Berlusconi, con il conflitto di interessi, il pressoché totale dominio dei mezzi di comunicazione televisiva, le pendenze giudiziarie per evitare le quali non si esita a tentare di stravolgere il sistema giudiziario italiano, la contiguità di tanti esponenti del suo partito con organizzazioni criminali e logge massoniche deviate. 
Se Napolitano è l'arbitro imparziale e garante della Costituzione deve dunque, oltre a vigilare che i provvedimenti che vengono adottati siano conformi allo spirito e alla lettera della nostra Carta fondamentale, riconoscere che la democrazia richiede che si dispieghi appieno la lotta politica, non tanto in un Parlamento delegittimato e attraverso un'opposizione di cui si può avere ben poca fiducia ma nelle piazze e nella mobilitazione sociale, perché quella che abbiamo di fronte - la finanziaria di Berlusconi, Tremonti e Bossi – è il frutto non di scelte imparziali ma di opzioni che danneggiano alcuni e lasciano salvi altri. 
Mostrarsi interessato al solo aspetto formale dell'adozione dei provvedimenti qualunque essi siano (e visto che sono decisi da Tremonti, Bossi e Berlusconi la loro ispirazione è inequivocabile) purché soddisfino le richieste delle istituzioni europee significa tradire la Costituzione e la democrazia. 
E' improbabile che un governo centrato sul PD e tanto meno un governo di unità nazionale adotterebbero una politica radicalmente diversa. Certo si possono apprezzare molte delle proposte (almeno sensate!) del PD e di IDV, si può guardare con favore alle analisi e alle idee riformiste che vengono pubblicate dagli economisti di Sbilanciamoci e negli articoli del Manifesto. E' anche concreto il rischio che paventa Galapagos di un capitalismo 'progressista', contrapposto al capitalismo finanziario reazionario, che vuole placare le tensioni sociali con la patrimoniale, la tassazione dei capitali scudati, la riduzione dei costi della politica per riaffermare però un sistema produttivo in cui i lavoratori continueranno a vivere in una condizione di subordinazione e di precarietà: ma di fronte alla macelleria sociale che si prospetta non sembra questo il pericolo peggiore.
La debolezza dei lavoratori e dei ceti popolari ha altre origini a mio avviso. E cioè dal fatto che drammaticamente manca oggi in Italia un movimento politico di massa che sia in grado di proporre non l'emendamento del sistema dominante ma la sua radicale trasformazione e di realizzare una massiccia mobilitazione popolare, nelle piazze e nei luoghi di lavoro ma anche con formule originali e innovative quali il boicottaggio economico, la resistenza passiva, la creazione dal basso di una nuova economia solidale e compatibile con l'ambiente. Una mobilitazione popolare idonea a cambiare i rapporti di forza sociali e politici esistenti. 
E' su questo obiettivo che dovrebbe concentrarsi lo sforzo dei cittadini, dei movimenti, degli intellettuali, degli esponenti politici che vogliono radicalmente cambiare questa società.

2 commenti:

  1. tutto bene, belle parole e bei concetti, ma se ognuno si crea il suo movimento, non si va' da nessuna parte - sarebbe il momento dell'unione di tutti per spazzare via questi delinquenti . tanti gruppetti che si indignano, non avranno mai la forza di una marea indignata

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  2. Il mio modestissimo invito è proprio questo: per l'unità dei movimenti e dei cittadini che vogliono un mondo diverso e più giusto, vincendo particolarismi e individualismi.

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