Non era un referendum sull’Europa il voto greco ma su quale Europa: l’Europa della dittatura dei mercati e del paradigma liberista o quella dei diritti sociali, della solidarietà, della giustizia distributiva.
Nell’auspicio, condiviso da tanti cittadini italiani ed europei, di veder prevalere la sinistra radicale di Syriza del giovane leader Alexis Tsipras si incarnava la speranza di poter cominciare a rovesciare il paradigma dominante.
Ha vinto invece, tra il giubilo superficiale e conformista dei grandi media e dei politici ‘responsabili’, il partito della destra pro-troika, quello stesso – paradosso per gli ultras del rigore - che aveva truccato i conti del bilancio statale greco per ottenere l’ingresso nella moneta unica.
Del resto probabilmente non poteva essere altrimenti, considerata la disparità delle forze in campo: da una parte tutto l’establishment politico, economico, militare del mondo occidentale abituato ad usare l’arma della paura e del ricatto contro il diritto dei cittadini di poter scegliere consapevolmente e, dall’altra, il disperato ed eroico tentativo di resistenza delle masse popolari greche.

Un impari confronto di forze che ha ricordato il referendum degli operai della Fiat di Pomigliano sul ricatto di Marchionne.
E peraltro si è trattato di una vittoria risicata, con un margine così ristretto da non potersi escludere brogli, senza alcun esplicito mandato popolare a governare visto che la somma dei voti dei partiti che dovrebbero sostenere il nuovo esecutivo non arriva (anche mettendo insieme Nuova Democrazia, il Pasok e Sinistra Democratica) nemmeno al 50 per cento del consenso elettorale. Un governo che si troverà di fronte una radicale ed agguerrita opposizione parlamentare e sociale.
Non è stata la salvezza dell’euro, come gli europeisti d’accatto hanno affermato subito dopo l’esito delle elezioni, ma piuttosto – insieme ad un po’ di nuova benzina per effimere speculazioni di borsa che si esauriscono nel giro di poche ore – il prolungamento dell’agonia di un popolo e dell’Europa nel suo complesso.
Le elezioni greche ci forniscono inoltre ulteriori elementi di riflessione che si possono riferire anche al quadro politico italiano.
E cioè come sia difficile per una sinistra di alternativa radicale prevalere alle elezioni, anche laddove ne esistano in forma estrema i presupposti sociali ed economici, quando deve fronteggiare formidabili elementi di distorsione e di condizionamento della democrazia (le pressioni internazionali, i poteri forti legali e illegali).
E la condanna a marginalizzarsi se non addirittura ad estinguersi per i partiti di sinistra che rinnegano e tradiscono i propri valori fondanti (l’eguaglianza, i diritti dei lavoratori, la solidarietà sociale, il primato dei bisogni condivisi sugli egoismi e gli interessi dei pochi). Così è stato per il PSI di Craxi, così è successo al PASOK greco dopo aver accettato i diktat liberisti della finanza anche se questi significavano massacrare il proprio popolo, altrettanto accadrà al Partito Democratico che appare ormai deciso, approvando lo smantellamento dell’articolo 18 entro la fine del mese di giugno come richiesto da Monti, a recidere gli ormai ultimi e flebili legami con il mondo del lavoro.