"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

martedì 12 novembre 2013

Socialismo e felicità


La crisi della sinistra è anzitutto una crisi culturale, è il suo essere spiazzata e resa inattuale dai sentimenti e dai valori oggi dominanti, è il suo non saper offrire una prospettiva condivisa e accettata di cambiamento e di governo. I sentimenti e i valori dominanti sono oggi quelli dell'individualismo e dell'affermazione personale che si realizzano nel desiderio di potere e di possesso di beni materiali. Il contesto culturale dominante è quello che forgia e rafforza questi sentimenti: sta nella realtà travisata e manipolata dalla narrazione dei principali media, nell'esistenza ridotta a competizione per la vittoria e il primato, nei divi miliardari dello sport e dello spettacolo assunti a miti e modelli da adorare e da imitare, in alcune merci - l'ultimo gadget elettronico, l'automobile di lusso, il capo firmato, il viaggio nei luoghi esotici – insieme alle conquiste sessuali da esibire quali prede e trofei identificate come le uniche cose per cui vale la pena di vivere. Di fronte a questo quadro di valori il degrado morale ne è diretta conseguenza: tutto è lecito per raggiungere il successo e la ricchezza, qualunque persona si può vendere o comprare. Grillo, Renzi e Berlusconi sono tre varianti tutte interne a questa cultura e a questo sistema: il loro messaggio politico comune è che bisogna consentire e facilitare l'affermazione e il successo individuale e non cambiare il sistema e i rapporti di forza economici e sociali che lo caratterizzano. Combattendo le caste e i privilegi che impediscono la mobilità sociale o eliminando i lacci e lacciuoli o le tasse e le regole che si mettono di traverso al pieno dispiegarsi del 'mercato', della libera impresa, di un preteso 'merito' assunto a dogma ignorando la realtà delle disuguaglianze.
Di fronte a questa egemonia culturale dell'individualismo, dell'egoismo personale e di gruppo, al venir meno del sentirsi parte, con tutti i vincoli e i doveri che ne conseguono, di comunità più ampie, termini come lotta di classe, solidarietà, giustizia sociale diventano per la maggioranza, anche e soprattutto dei giovani, parole vuote o incomprensibili o comunque prive di una reale forza di seduzione.
La Sinistra dovrebbe allora ripartire ponendo come propria premessa la felicità ed il diritto alla felicità perché ciò consente di incunearsi in questo contesto culturale ed evidenziarne le contraddizioni. Consente cioè di lavorare su due piani contemporaneamente: quello del concetto di felicità come 'essere', come ricchezza e completezza delle relazioni sociali e umane e come possibilità di liberare la propria essenza interiore, anziché come 'avere' e quello del 'bagaglio' minimo (lavoro, casa, ambiente, servizi sociali, istruzione e cultura) che deve essere garantito ad ogni essere umano perché possa realizzare pienamente sè stesso. Felicità dunque che disvela e si riconnette alla necessità del controllo collettivo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza, sulla convenienza a far prevalere il bene di tutti sul profitto e sull'interesse individuale.

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