"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

venerdì 20 giugno 2014

La Patrimoniale possibile


E' dall'inizio della Grande Crisi esplosa nel 2007-2008 che si parla in Italia e nel mondo, a dire il vero negli ultimi tempi sempre di meno, dell'opportunità/necessità di imporre un'imposta sui grandi patrimoni, nella versione radicale di Modiano o in quella soft della CGIL o quantomeno di un aumento della tassazione a carico dei più ricchi auspicata perfino da miliardari come Warren Buffet o Carlo De Benedetti.
E questo sia per trovare risorse per riequilibrare i conti pubblici, di fronte alle crisi del debito, sia per redistribuire redditi a favore dei ceti popolari (i dati Istat ci dicono che la quota di reddito nazionale destinata al lavoro è passata dal 72 per cento del 1992 al 67 per cento del 2012), sia infine per incentivare le attività produttive spostando la tassazione dal lavoro e dall'impresa verso la rendita (cioè i proventi derivanti dalla mera proprietà di beni, siano essi capitali o immobili, senza lo svolgimento di alcuna attività).
Di fatto i governi che si sono succeduti in questi anni di Grande Crisi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) hanno tutti respinto questa eventualità e la crisi è stata pagata in massima parte dai ceti medio-bassi con la disoccupazione causata dalla chiusura di centinaia di migliaia di imprese ed esercizi commerciali, con l'aumento della tassazione, con la riduzione del reddito indiretto costituito dalle prestazioni dello Stato sociale. In realtà vi è stato anche un aumento della tassazione sui beni patrimoniali (con la revisione dell'ammontare dei bolli sui depositi finanziari e delle aliquote sugli interessi, con l'ICI, IMU, Tasi o comunque siano state chiamate le varie forme di imposizione fiscale sulla casa) ma senza criteri di progressività e dunque ha colpito anche qui soprattutto i ceti medio-bassi. La crisi del mercato immobiliare (con una perdita media del 20 per cento del valore nominale degli immobili residenziali rispetto ai prezzi pre-crisi, a causa della recessione e dell'aumento della tassazione sulla casa) ha costituito un ulteriore colpo fatale per le condizioni economiche dei ceti medio-bassi, colpendo la principale forma di risparmio degli italiani, la casa appunto, ed impedendo di poterne monetizzare il valore, stante l'impossibilità o l'estrema difficoltà di vendere, in caso di bisogno. Di fatto una vera e propria patrimoniale che però non è stata pagata dai ricchi e non è andata a vantaggio dei conti pubblici.


E' evidentemente mancata la volontà politica di imporre la patrimoniale trattandosi di governi tutti espressione del grande potere economico (nelle sue varie facce: quella più legata al capitalismo nazionale e quella di palese emanazione internazionale).
E' vero che esistono difficoltà oggettive nell'applicare una tassa sulle grandi ricchezze: perché se da un punto di vista statistico (secondo Banca d'Italia il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede il 46,6 per cento della ricchezza familiare netta totale) non esistono dubbi sulla distribuzione della ricchezza diventa assai più difficile identificarne i veri proprietari (tra capitali più o meno legalmente esportati all'estero, frazionamenti societari e familiari, evasione ed elusione fiscale, ecc.) e l'effettivo valore dei cespiti finanziari ed immobiliari .
Osservando gli effetti delle politiche attuate in Europa in questi anni dovrebbe comunque essere chiaro a tutti che, per non deprimere ulteriormente l'economia seguendo la logica dell'austerità e del pareggio di bilancio, le risorse ottenute con una imposta patrimoniale andrebbero impiegate non per ridurre il deficit pubblico ma per realizzare un'equa redistribuzione della ricchezza ed in tal modo sostenere i consumi e l'economia: con il rafforzamento del welfare, con investimenti pubblici produttivi e nelle piccole ma indispensabili opere di manutenzione del territorio e del patrimonio artistico ed archeologico.

Premesso tutto questo vi sono almeno due forme di patrimoniale che sarebbero immediatamente applicabili senza particolari difficoltà tecniche e che potrebbero trovare un consenso generale rispondendo anche a finalità etiche e di moralizzazione della vita pubblica.
La prima è il ripristino dell'imposta di successione (così come ci suggerirebbe oggi Luigi Einaudi, un liberale e non un socialista, se fosse ancora vivo).
La seconda è la confisca integrale, come pena accessoria, dei patrimoni non solo di chi fa parte organicamente delle associazioni mafiose ma anche di chi vi collabora dall'esterno, di corrotti, corruttori, grandi evasori fiscali, bancarottieri, di chi ha esportato illegalmente capitali all'estero, dei colpevoli di disastri ambientali.
Tenuto conto delle cifre che sono in ballo (alcune centinaia di miliardi di euro l'anno il 'valore' dell'economia illegale e criminale secondo le stime della Corte dei Conti e della Banca d'Italia che rende facile immaginare l'entità gigantesca dei patrimoni illecitamente accumulati nel tempo), una lotta senza quartiere condotta dagli organi dello Stato che riesca ad aggredire anche percentuali minime di questa massa di ricchezza illegale condurrebbe certamente a recuperare decine di miliardi di euro l'anno.
Soprattutto se si avesse il coraggio radicale di estendere la confisca dei grandi patrimoni a coloro che, inquisiti dagli uffici tributari, non siano in grado di provare la lecita provenienza (attività economiche, eredità, ecc.) della propria ricchezza.
Quella che era insomma la proposta di Antonio Ingroia per Rivoluzione Civile nelle elezioni politiche del 2013 e che fu all'epoca fu sbrigativamente bollata (magari da chi ha il conto in banca in rosso) come 'manettara'.
La cronaca politico-giudiziaria ci fornisce a getto continuo i casi (Mose, Expo 2015, la ricostruzione dell'Aquila, la sanità) in cui potrebbe essere applicata tale pena accessoria e probabilmente avrebbe un valore deterrente ben maggiore di qualche settimana di condanna ai servizi sociali per i colpevoli, così come avviene ora.

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