"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

lunedì 6 aprile 2015

Renzi, basta con le frottole: aumento delle tasse o tagli di spesa sono ugualmente sacrifici per i cittadini


Renzi Fottemos by Luca Peruzzi


Nella neolingua renziana (si veda al riguardo l'intervista del giorno di Pasqua al Messaggero), perfettamente in linea con la vulgata neoliberista, la riduzione della spesa pubblica significherebbe chiedere sacrifici alla politica.
In ballo c'è ora la cosiddetta clausola di salvaguarda prevista (in base agli antisociali dogmi dell'austerità) per i prossimi anni: qualora non si riuscissero a soddisfare i vincoli di bilancio previsti in sede europea si dovrebbero aumentare le aliquote dell'IVA incidendo ancora nella carne viva dei cittadini e deprimendo ulteriormente i consumi.
Presentare la riduzione della spesa pubblica, cioè meno stanziamenti per Ministeri ed Enti Locali come condizione per evitare l'aumento dell'IVA, quali sacrifici chiesti alla politica ed ai politici anziché ai cittadini è un diabolico capolavoro della comunicazione renziana: e chi potrebbe essere contrario a colpire e punire la "casta"?
La realtà è però completamente diversa per quanto sia difficile farla accettare dal senso comune. Il finanziamento pubblico ai partiti e le retribuzioni ai politici, anche laddove possano essere considerate moralmente esecrabili, sono quantitativamente poca cosa rispetto al bilancio complessivo dello Stato e dunque i tagli (eventuali) possono ben poco; i risparmi derivanti da maggiore efficienza, riduzione degli sprechi e lotta alla corruzione sono un miraggio tenendo conto del sistema politico-imprenditoriale-clientelare-criminale-mafioso che governa l'Italia. Di esso la maggioranza renziano-berlusconiana è parte integrante e la cronaca giudiziaria ci propone quotidianamente esempi di come sia strutturalmente radicato e operante. 

I tagli alla spesa dunque sono ulteriori sacrifici per i cittadini e a danno dei cittadini. Perché i tagli alla spesa significano dequalificazione dei servizi sociali, manutenzione delle strade e delle strutture pubbliche che non si può più fare, riduzione diretta o indiretta del personale impiegato dal Pubblico (mancata copertura del turn-over, mancata stabilizzazione dei precari, minori commesse a ditte esterne e minori acquisti di beni e servizi).
Se il Pubblico non offre più servizi di qualità a prezzi politici (scuola, sanità, trasporti) il cittadino deve rivolgersi al privato pagando di più di tasca propria. 
Se il Pubblico impiega meno personale e riduce l'acquisto di beni e servizi significa che l'occupazione non aumenta e meno soldi ritornano all'economia privata: meno soldi in giro per comprare scarpe e vestiti, per fare lavori in casa, per cambiare lavatrice o andare in vacanza.
Se poi per riduzione della spesa per evitare nuove tasse si fanno passare i tagli alle detrazioni fiscali siamo alle comiche finali, essendo in presenza di un aumento netto e diretto dell'imposizione fiscale.
E' il paradosso dell'austerità che persino i "comunisti" del Fondo Monetario Internazionale hanno dovuto alla fine ammettere: ridurre la spesa pubblica deprime l'economia e rende insostenibili i debiti pubblici. 
Perseverare su questa linea non è però una scelta di folli che non sanno quello che fanno: essa risponde a ben determinati interessi economici e di potere. Deprimere l'economica e negare i diritti essenziali rende i ricchi più ricchi e i ceti popolari (compreso il vecchio ceto medio) sempre più poveri e nel contempo li tiene con la testa sott'acqua perché si tolgano dalla mente ogni proposito di riscatto e di trasformazione sociale.

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