La politica non è una partita di
calcio e dunque lasciamo le metafore da deficienti sui risultati –
7 a 0, 5 a 2, 4 a 3 – alla propaganda piddina e agli ultras
renziani e proviamo a ragionare sui fatti e sui numeri.
Che il PD fosse destinato a prevalere
in gran parte delle sette regioni in cui si votava era scontato: per
la martellante propaganda televisiva di Renzi, perché tre di quelle
sette regioni fanno parte del tradizionale insediamento storico dei
degeneri eredi del PCI, perché di fatto il partito di Renzi è oggi
pressoché l'unica proposta di governo che ai cittadini è consentito
percepire e concepire con il disfacimento della destra berlusconiana,
con l'emergere dell'inaccettabile (per la maggioranza delle persone
al di fuori del “civile” nord) fascio-leghismo di Salvini, con
l'incapacità dei 5 Stelle di diventare i promotori di un'alleanza
politica e sociale che vada oltre i confini del grillismo, con la
scomparsa della sinistra radicale.
Le elezioni regionali designano dei
“vincitori” solo grazie a truffaldini meccanismi elettorali
maggioritari e per di più su due delle “vittorie” del PD grava
una pesante ipoteca costituzionale-giudiziaria: sulla
costituzionalità
della legge elettorale umbra e sulla impresentabilità
di Vincenzo De Luca.