"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

martedì 24 maggio 2016

Perché a Roma voto il comunista Mustillo





Ciò che ha contraddistinto, negli ultimi decenni, le cosiddette democrazie liberali del cosiddetto libero Occidente è stata la sempre più marcata subordinazione della Politica, quale espressione della volontà generale, al grande potere economico e finanziario, ai Mercati (la speculazione), alle entità tecnocratiche (BCE, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale) che pur prive di una legittimazione democratica e di un mandato popolare sono stati i veri artefici delle scelte di governo che hanno determinato e determinano le nostre vite.
Attraverso l'Unione Europea (in attesa del TTIP che ne renderà inutili larga parte delle funzioni), l'euro, la delocalizzazione delle attività produttive dai Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo, il libero commercio internazionale, la circolazione libera e senza regole dei capitali - la globalizzazione – si è realizzata, di fatto e sul piano del diritto, tale subordinazione.
Gli Stati i cui governi si mettono di traverso o che non sono funzionali al sistema, presidiato da un mastodontico complesso militare (Stati Uniti, Nato, Israele), vengono ridotti all'obbedienza per mezzo della guerra economica (il crollo degli indici di borsa, il crollo del prezzo delle materie prime qualora tali Paesi fondassero la propria esistenza sulla produzione ed esportazione di questi beni, facendo innalzare esponenzialmente i tassi del debito pubblico) oppure sottoposti a manovre destabilizzatrici a volte cruente (il terrorismo, la guerra) a volte fondate su di una martellante e mistificante propaganda mediatica e sull'esplosione di scandali giudiziari creati ad arte o quantomeno ingigantiti nella loro dimensione.
In questo contesto i governi nazionali non possono che limitarsi a percorrere strade e binari preordinati ed i politici sono ridotti a semplici testimonial/venditori di decisioni prese in altre sedi. Non a caso si è coniato il termine di pilota automatico: qualunque partito vada al governo non cambiano (non possono cambiare) gli indirizzi politici fondamentali.

In Italia quando si guarda con nostalgia alla Prima Repubblica pur con tutti i suoi disastri è proprio perché i vecchi esponenti di partito, oltre ad aver ben altra cultura politica, mantenevano ancora, pur nei ristretti margini della guerra fredda, un'autonomia decisionale, una funzione di mediazione tra la “Ragion di Stato” e i bisogni popolari (il “primato della politica”). E tutto questo non grazie alla lungimiranza della Democrazia Cristiana ma per la “minaccia” incombente dell'Unione Sovietica che obbligava i governi a misurarsi quotidianamente con il consenso popolare e dunque a redistribuire la ricchezza prodotta e a riconoscere diritti sociali.
Almeno dal 1992 in poi in Italia si sono confrontate invece due opzioni di governo che - dietro la facciata del berlusconismo e dell'antiberlusconismo - hanno seguito sostanzialmente la stessa direzione: cancellazione dei diritti dei lavoratori, demolizione dell'intervento dello Stato nell'economia, smantellamento del welfare e cioè dei servizi sociali garantiti a tutti, gratuitamente o a prezzo politico (pensioni, scuola, casa, sanità, trasporti, tariffe controllate che nel complesso costituivano il salario indiretto) con i quali si perseguiva in qualche modo una forma di uguaglianza sostanziale.
Certamente esistevano profili personali e quadri ideologico-culturali di riferimento diversi tra centrosinistra e berlusconismo ma la direzione complessiva appunto è stata la stessa: l'affermazione del modello liberista contro la socializzazione, pur annacquatissima, dell'economia. Ed è qui evidentemente, nel tradimento dei partiti che ne continuavano a sventolare la bandiera, è morta la credibilità ed il radicamento popolare della Sinistra per come è stata conosciuta per secoli.
Di questa involuzione in varie forme comune a tutta l'Europa ed al “libero” mondo capitalistico, della riduzione della lotta politica a teatrino privo di una reale contrapposizione in termini di fatti determinanti per la vita delle persone, si sono via via rese consapevoli sempre più persone. Ne sono la dimostrazione l'astensionismo arrivato a livelli mai conosciuti in passato e l'emergere di nuove proposte “eretiche” di vario segno: reazionario e xenofobo in particolare nell'Europa dell'est già sotto il dominio sovietico, democratiche e progressiste (gli indignados e Podemos, Syriza, Occupy Wall Street), di difficile e problematica catalogazione come il Movimento 5 Stelle. Tutte con l'obiettivo di rompere, con esiti e risultati sui quali la discussione è evidentemente aperta, il consueto bipolarismo democratici-repubblicani, socialisti-popolari, centrosinistra-centrodestra.
Alla crisi della democrazia, all'impossibilità per i partiti tradizionali e per i rappresentanti istituzionali di essere credibili agli occhi dei cittadini, il “sistema” reagisce restringendo progressivamente gli spazi della rappresentanza, del pluralismo, criminalizzando il dissenso e cancellandolo o deformandolo nel dibattito pubblico, affidandosi quale soluzione finale al cesarismo (la svolta autoritaria di Renzi della deforma costituzionale e dell'Italicum).
La fine della democrazia vale evidentemente anche e forse tanto più per gli Enti Locali dove tra patti di stabilità, obbligo del pareggio di bilancio e di riduzione del deficit, tagli ai servizi sociali, privatizzazioni dei servizi pubblici, restano ben pochi se non inesistenti margini per fare delle scelte politiche: dove sono le risorse per le politiche sociali, per il diritto all'abitazione, per il trasporto pubblico, per gli asili nido, per la manutenzione delle strade e per le opere pubbliche essenziali, per promuovere uno sviluppo che fornisca occasioni di reddito/lavoro per i cittadini?
Venendo alla situazione di Roma, fermo restando che una delle poche ragioni per cui vale la pena votare alle Comunali è quella di dare un solenne ceffone a Renzi e alla sua cricca (non perché ci si possa illudere che chi verrà dopo, se espressione degli stessi poteri dominanti, invertirà la direzione di marcia ma unicamente per guadagnare tempo rallentando la corsa verso il baratro) e che non può non destare curiosità la possibile/probabile vittoria dei grillini per vederli all'opera in una realtà di dimensione nazionale, ci può ripugnare questo o quel candidato – il renziano, il palazzinaro o la fascista - per la loro storia personale, per ciò che dicono e ciò che rappresentano, possiamo ritenere questo o quel candidato (il suo programma, la coalizione che rappresenta) più onesto, più capace, più efficace, simbolicamente più vicino o meno lontano dalla nostra concezione del mondo, ma chi può realmente pensare che il governo della città di chiunque sarà eletto potrà discostarsi dai diktat sui tagli di bilancio, dalla sforbiciata ai servizi sociali, dall'aggressione alle retribuzioni dei dipendenti comunali e dalla loro criminalizzazione, dal fare cassa con le multe, con le privatizzazioni e con le compensazioni urbanistiche?
Non ci è bastata l'esperienza dei sindaci arancioni e la loro totale compatibilità con il “sistema” con l'unica eccezione di Luigi De Magistris che - a differenza di Zedda, Doria e Pisapia – ha mantenuto un profilo conflittuale con il governo Renzi ed ha portato avanti temi straordinamente significativi, ancorché sul piano simbolico, quali la ripubblicizzazione della gestione dell'acqua ed il sostegno alla causa del popolo palestinese?
Se dunque le elezioni sono ridotte a poco più di un sondaggio di opinione, se per quanto riguarda Roma non c'è all'orizzonte nessun pericolo della costruzione di un enclave fascista né del sovvertimento del potere costituito da parte dei palazzinari (che questo potere già lo controllano e continuerebbero a farlo anche con la vittoria del PD di Giacchetti), se il consenso raggiunto dai 5 Stelle può far ben sperare sulla sconfitta dei renziani, se tra le coalizioni che hanno la possibilità di esprimere il prossimo sindaco non ce n'è nessuna nella quale possa identificarmi politicamente, ebbene io voglio utilizzare il voto per mettere la mia crocetta sulla casella che meglio può esprimere (più può avvicinarsi) sul piano simbolico alla mia visione della società, della cosa pubblica, della politica.
E conseguentemente non prendo in considerazione, guardando tra quanto offre la Sinistra, Fassina: perché francamente non mi passa nemmeno per la testa di votare un candidato che solo pochi anni fa era il responsabile economico del partito che votava la macelleria sociale di Monti, la criminale legge Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio in Costituzione e che subito dopo ha ricoperto – tra il voto a Marini e Napolitano anziché Rodotà per la presidenza della Repubblica, un elogio a Renzi, un'apertura di credito ai berlusconiani – il ruolo di viceministro nel governo del grande inciucio di Enrico Letta. E perché francamente considero l'operazione politica che sta dietro alla coalizione che lo sostiene truffaldina e perdente: il solito tentativo, già visto e rivisto (ricordate L'Altra Europa per Tsipras?), di raggranellare qualche punto percentuale di consenso, qualche briciola di finanziamento pubblico, qualche poltroncina istituzionale senza sciogliere i nodi politici al suo interno (in particolare il rapporto con il PD come Fassina stesso ammette in presenza di un partito – SEL – che mai rinuncerà al proposito di riagganciarsi al treno del centrosinistra) e senza assumere quel profilo necessariamente identitario e radicale che non può non avere una forza minoritaria che faticosamente cerca di riconquistare il radicamento popolare.
Seguendo questo ragionamento allora io voto il simbolo comunista per tutto ciò che questo idealmente significa, voto (si badi bene senza alcun riconoscimento politico al partito di Marco Rizzo che è palesemente poca cosa e cosa assai discutibile) Alessandro Mustillo un giovane che quantomeno non ha alcuna responsabilità per i disastri vecchi e recenti della Sinistra e che si presenta con un programma che rispetta, per quel poco che può servire, tutti i canoni teorici di ciò che dovrebbe richiedere la Sinistra.
E perché sono convinto che un risultato dignitosamente significativo (diciamo intorno al 2 per cento) - pur senza apparati, risorse e mezzi di propaganda - del comunista Mustillo costringerebbe tutti a ripensare la direzione suicida che ha assunto la Sinistra radicale nella quale la maggiore preoccupazione, con esiti evidentemente fallimentari, per i "geni" che ne gestiscono le prospettive sembra sia quella di cancellare l'identità e la storia socialista e comunista. E tra questi "geni" non si può non evidenziare il ruolo fondamentale svolto dall'attuale dirigenza di Rifondazione Comunista che è riuscita nell'opera di distruggere l'ultimo partito rimasto a Sinistra.


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