Ciò che ha contraddistinto, negli
ultimi decenni, le cosiddette democrazie liberali del cosiddetto
libero Occidente è stata la sempre più marcata subordinazione della
Politica, quale espressione della volontà generale, al grande potere
economico e finanziario, ai Mercati (la speculazione), alle entità
tecnocratiche (BCE, Commissione Europea, Fondo Monetario
Internazionale) che pur prive di una legittimazione democratica e di
un mandato popolare sono stati i veri artefici delle scelte di
governo che hanno determinato e determinano le nostre vite.
Attraverso l'Unione Europea (in attesa
del TTIP che ne renderà inutili larga parte delle funzioni), l'euro,
la delocalizzazione delle attività produttive dai Paesi ricchi ai
Paesi in via di sviluppo, il libero commercio internazionale, la
circolazione libera e senza regole dei capitali - la globalizzazione
– si è realizzata, di fatto e sul piano del diritto, tale
subordinazione.
Gli Stati i cui governi si mettono di
traverso o che non sono funzionali al sistema, presidiato da un
mastodontico complesso militare (Stati Uniti, Nato, Israele), vengono
ridotti all'obbedienza per mezzo della guerra economica (il crollo
degli indici di borsa, il crollo del prezzo delle materie prime
qualora tali Paesi fondassero la propria esistenza sulla produzione
ed esportazione di questi beni, facendo innalzare esponenzialmente i
tassi del debito pubblico) oppure sottoposti a manovre
destabilizzatrici a volte cruente (il terrorismo, la guerra) a volte
fondate su di una martellante e mistificante propaganda mediatica e
sull'esplosione di scandali giudiziari creati ad arte o quantomeno
ingigantiti nella loro dimensione.
In questo contesto i governi nazionali
non possono che limitarsi a percorrere strade e binari preordinati ed
i politici sono ridotti a semplici testimonial/venditori di decisioni
prese in altre sedi. Non a caso si è coniato il termine di pilota
automatico: qualunque partito vada al governo non cambiano (non
possono cambiare) gli indirizzi politici fondamentali.
In Italia quando si guarda con
nostalgia alla Prima Repubblica pur con tutti i suoi disastri è
proprio perché i vecchi esponenti di partito, oltre ad aver ben
altra cultura politica, mantenevano ancora, pur nei ristretti margini
della guerra fredda, un'autonomia decisionale, una funzione di
mediazione tra la “Ragion di Stato” e i bisogni popolari (il
“primato della politica”). E tutto questo non grazie alla
lungimiranza della Democrazia Cristiana ma per la “minaccia”
incombente dell'Unione Sovietica che obbligava i governi a misurarsi quotidianamente con il consenso popolare e dunque a redistribuire la ricchezza prodotta e a riconoscere
diritti sociali.
Almeno dal 1992 in poi in Italia si
sono confrontate invece due opzioni di governo che - dietro la
facciata del berlusconismo e dell'antiberlusconismo - hanno seguito
sostanzialmente la stessa direzione: cancellazione dei diritti dei
lavoratori, demolizione dell'intervento dello Stato nell'economia,
smantellamento del welfare e cioè dei servizi sociali garantiti a
tutti, gratuitamente o a prezzo politico (pensioni, scuola, casa,
sanità, trasporti, tariffe controllate che nel complesso
costituivano il salario indiretto) con i quali si perseguiva in qualche modo una forma di uguaglianza sostanziale.
Certamente esistevano profili personali
e quadri ideologico-culturali di riferimento diversi tra
centrosinistra e berlusconismo ma la direzione complessiva appunto è
stata la stessa: l'affermazione del modello liberista contro la
socializzazione, pur annacquatissima, dell'economia. Ed è qui
evidentemente, nel tradimento dei partiti che ne continuavano a
sventolare la bandiera, è morta la credibilità ed il radicamento
popolare della Sinistra per come è stata conosciuta per secoli.
Di questa involuzione in varie forme
comune a tutta l'Europa ed al “libero” mondo capitalistico, della
riduzione della lotta politica a teatrino privo di una reale
contrapposizione in termini di fatti determinanti per la vita delle
persone, si sono via via rese consapevoli sempre più persone. Ne
sono la dimostrazione l'astensionismo arrivato a livelli mai
conosciuti in passato e l'emergere di nuove proposte “eretiche”
di vario segno: reazionario e xenofobo in particolare nell'Europa
dell'est già sotto il dominio sovietico, democratiche e progressiste
(gli indignados e Podemos, Syriza, Occupy Wall Street), di difficile
e problematica catalogazione come il Movimento 5 Stelle. Tutte con
l'obiettivo di rompere, con esiti e risultati sui quali la
discussione è evidentemente aperta, il consueto bipolarismo
democratici-repubblicani, socialisti-popolari,
centrosinistra-centrodestra.
Alla crisi della democrazia,
all'impossibilità per i partiti tradizionali e per i rappresentanti
istituzionali di essere credibili agli occhi dei cittadini, il
“sistema” reagisce restringendo progressivamente gli spazi della
rappresentanza, del pluralismo, criminalizzando il dissenso e
cancellandolo o deformandolo nel dibattito pubblico, affidandosi
quale soluzione finale al cesarismo (la svolta autoritaria di Renzi
della deforma costituzionale e dell'Italicum).
La fine della democrazia vale
evidentemente anche e forse tanto più per gli Enti Locali dove tra
patti di stabilità, obbligo del pareggio di bilancio e di riduzione
del deficit, tagli ai servizi sociali, privatizzazioni dei servizi
pubblici, restano ben pochi se non inesistenti margini per fare delle
scelte politiche: dove sono le risorse per le politiche sociali, per
il diritto all'abitazione, per il trasporto pubblico, per gli asili
nido, per la manutenzione delle strade e per le opere pubbliche
essenziali, per promuovere uno sviluppo che fornisca occasioni di
reddito/lavoro per i cittadini?
Venendo alla situazione di Roma, fermo restando che una delle poche
ragioni per cui vale la pena votare alle Comunali è quella di dare
un solenne ceffone a Renzi e alla sua cricca (non perché ci si possa
illudere che chi verrà dopo, se espressione degli stessi poteri
dominanti, invertirà la direzione di marcia ma unicamente per
guadagnare tempo rallentando la corsa verso il baratro) e che non può
non destare curiosità la possibile/probabile vittoria dei grillini per vederli all'opera in una realtà di dimensione nazionale, ci
può ripugnare questo o quel candidato – il renziano, il
palazzinaro o la fascista - per la loro storia personale, per ciò
che dicono e ciò che rappresentano, possiamo ritenere questo o quel
candidato (il suo programma, la coalizione che rappresenta) più
onesto, più capace, più efficace, simbolicamente più vicino o meno
lontano dalla nostra concezione del mondo, ma chi può realmente
pensare che il governo della città di chiunque sarà eletto potrà
discostarsi dai diktat sui tagli di bilancio, dalla sforbiciata ai
servizi sociali, dall'aggressione alle retribuzioni dei dipendenti
comunali e dalla loro criminalizzazione, dal fare cassa con le multe,
con le privatizzazioni e con le compensazioni urbanistiche?
Non ci è bastata l'esperienza dei
sindaci arancioni e la loro totale compatibilità con il “sistema”
con l'unica eccezione di Luigi De Magistris che - a differenza di
Zedda, Doria e Pisapia – ha mantenuto un profilo conflittuale con
il governo Renzi ed ha portato avanti temi straordinamente
significativi, ancorché sul piano simbolico, quali la
ripubblicizzazione della gestione dell'acqua ed il sostegno alla
causa del popolo palestinese?
Se dunque le elezioni sono ridotte a
poco più di un sondaggio di opinione, se per quanto riguarda Roma
non c'è all'orizzonte nessun pericolo della costruzione di un
enclave fascista né del sovvertimento del potere costituito da parte
dei palazzinari (che questo potere già lo controllano e
continuerebbero a farlo anche con la vittoria del PD di Giacchetti),
se il consenso raggiunto dai 5 Stelle può far ben sperare sulla
sconfitta dei renziani, se tra le coalizioni che hanno la possibilità
di esprimere il prossimo sindaco non ce n'è nessuna nella quale
possa identificarmi politicamente, ebbene io voglio utilizzare il
voto per mettere la mia crocetta sulla casella che meglio può
esprimere (più può avvicinarsi) sul piano simbolico alla mia
visione della società, della cosa pubblica, della politica.
E conseguentemente non prendo in
considerazione, guardando tra quanto offre la Sinistra, Fassina:
perché francamente non mi passa nemmeno per la testa di votare un
candidato che solo pochi anni fa era il responsabile economico del
partito che votava la macelleria sociale di Monti, la criminale legge
Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio in Costituzione e che
subito dopo ha ricoperto – tra il voto a Marini e Napolitano
anziché Rodotà per la presidenza della Repubblica, un elogio a
Renzi, un'apertura di credito ai berlusconiani – il ruolo di
viceministro nel governo del grande inciucio di Enrico Letta. E
perché francamente considero l'operazione politica che sta dietro
alla coalizione che lo sostiene truffaldina e perdente: il solito
tentativo, già visto e rivisto (ricordate L'Altra Europa per
Tsipras?), di raggranellare qualche punto percentuale di consenso,
qualche briciola di finanziamento pubblico, qualche poltroncina
istituzionale senza sciogliere i nodi politici al suo interno (in
particolare il rapporto con il PD come Fassina
stesso ammette in presenza di un partito – SEL – che mai
rinuncerà al proposito di riagganciarsi al treno del centrosinistra)
e senza assumere quel profilo necessariamente identitario e radicale
che non può non avere una forza minoritaria che faticosamente cerca
di riconquistare il radicamento popolare.
Seguendo questo ragionamento allora io
voto il simbolo comunista per tutto ciò che questo idealmente
significa, voto (si badi bene senza alcun riconoscimento politico al
partito di Marco Rizzo che è palesemente poca cosa e cosa assai
discutibile) Alessandro Mustillo un giovane che quantomeno non ha
alcuna responsabilità per i disastri vecchi e recenti della Sinistra
e che si presenta con un programma che rispetta, per quel poco che
può servire, tutti i canoni teorici di ciò che dovrebbe richiedere
la Sinistra.
E perché sono convinto che un
risultato dignitosamente significativo (diciamo intorno al 2 per
cento) - pur senza apparati, risorse e mezzi di propaganda - del
comunista Mustillo costringerebbe tutti a ripensare la direzione
suicida che ha assunto la Sinistra radicale nella quale la maggiore preoccupazione, con esiti evidentemente fallimentari, per i "geni" che ne
gestiscono le prospettive sembra sia quella di cancellare l'identità e la storia socialista e comunista. E tra questi "geni" non si può non evidenziare il ruolo fondamentale svolto dall'attuale dirigenza di
Rifondazione Comunista che è riuscita nell'opera di distruggere
l'ultimo partito rimasto a Sinistra.
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