"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

mercoledì 14 marzo 2018

Potere al Popolo: un contributo per l'assemblea del 18 marzo




Un commento sulle elezioni del 4 marzo e sulle possibili prospettive future di Potere al Popolo


Il primo inequivocabile dato che è emerso dalle elezioni del 4 marzo è quello della rabbiosa e rancorosa richiesta di cambiamento del popolo italiano. Lega e Cinque Stelle raggiungono insieme circa il 50% dei voti, se ad essi sommiamo altre forze di opposizione radicale o antisistema, di destra e di sinistra che non hanno superato il quorum emerge che la larga maggioranza di chi si è recato alle urne ha espresso questa richiesta. E' il risultato di un Paese da almeno trent'anni in inesorabile declino in cui la macelleria sociale e la cancellazione dei diritti conquistati attraverso decenni di lotte - in contemporanea allo smantellamento della struttura produttiva italiana innescato dalla globalizzazione capitalistica, dai diktat liberisti della UE e dalla partecipazione all'euro - si è innestata su di una struttura politico-burocratico-amministrativa ed imprenditoriale che è restata arretrata, inefficiente, corrotta, impregnata di familismo, collusa assai frequentemente con le mafie. E' sufficiente, ahimé, girare in questi giorni per le strade di Roma devastate dalle buche per qualche giornata di neve e pioggia, pensare alle condizioni delle zone terremotate del centro Italia tormentate dalla neve e dal gelo, trovarsi nel girone infernale di un Pronto Soccorso o alle prese con le bibliche liste di attesa delle prestazioni sanitarie pubbliche per toccare con mano la realtà di un Paese che non è più in grado di far fronte nemmeno alle sue funzioni e necessità fondamentali. La condizione reale del Paese è quella che emerge da tutti gli indici statistici: milioni e milioni di persone sotto la soglia di povertà e che hanno dovuto rinunciare a curarsi, disoccupazione, precariato, invecchiamento, mortalità e nuovi nati, abbandoni scolastici e universitari, mezzogiorno, deindustrializzazione delocalizzazioni e shopping di aziende nazionali da parte di soggetti stranieri e si potrebbe andare avanti a lungo. Rispetto a questa drammatica condizione reale non vengono più accettate le vecchie rappresentazioni e narrazioni politiche: centro sinistra e centro destra, la promessa che stiamo uscendo dalla crisi per uno zero virgola in più qui o li, che abbiamo bisogno di più Europa, che l'immigrazione è solo una risorsa e non anche un ulteriore problema sociale, che i problemi si risolvono con i bonus o tagliando qualche tassa. Da qui la crisi irreversibile della “vecchia” politica del Partito Democratico di Renzi (ma anche dei trasfughi di D'Alema e Bersani) e di Forza Italia di Berlusconi. Questo ce l'avevano detto anche le elezioni amministrative degli ultimi anni e soprattutto il referendum costituzionale del dicembre 2016 (nel quale è stato determinante il ruolo di Lega e 5 Stelle) laddove i cittadini avevano rifiutato esplicitamente la “normalizzazione” istituzionale in coerenza con la struttura del “sistema”, propagandata come indispensabile dall'establishment politico-economico e dal mainstream informativo. Da qui il fatto che la disperazione montante faccia sì che ci si aggrappi a qualunque promessa di cambiamento. Se vogliamo anche il 40% di Renzi alle Europee del 2014 poteva essere letto così: la percezione del cambiamento attraverso un tangibile provvedimento, ancorché inefficace e iniquo nell'esclusione proprio dei più poveri, a favore dei lavoratori di livello medio-basso quale il bonus degli 80 euro, la prima concessione sociale dopo anni e anni di macelleria sociale. Dopo sono venuti jobs act, buona scuola e la perpetuazione delle politiche di austerità e dunque il crollo del renzismo.