Un commento sulle elezioni del 4 marzo e sulle possibili prospettive future di Potere al Popolo
Il primo inequivocabile dato che è
emerso dalle elezioni del 4 marzo è quello della rabbiosa e
rancorosa richiesta di cambiamento del popolo italiano. Lega e Cinque
Stelle raggiungono insieme circa il 50% dei voti, se ad essi sommiamo
altre forze di opposizione radicale o antisistema, di destra e di
sinistra che non hanno superato il quorum emerge che la larga
maggioranza di chi si è recato alle urne ha espresso questa
richiesta. E' il risultato di un Paese da almeno trent'anni in
inesorabile declino in cui la macelleria sociale e la cancellazione
dei diritti conquistati attraverso decenni di lotte - in
contemporanea allo smantellamento della struttura produttiva italiana
innescato dalla globalizzazione capitalistica, dai diktat liberisti
della UE e dalla partecipazione all'euro - si è innestata su di una
struttura politico-burocratico-amministrativa ed imprenditoriale che
è restata arretrata, inefficiente, corrotta, impregnata di
familismo, collusa assai frequentemente con le mafie. E' sufficiente,
ahimé, girare in questi giorni per le strade di Roma devastate dalle
buche per qualche giornata di neve e pioggia, pensare alle condizioni
delle zone terremotate del centro Italia tormentate dalla neve e dal
gelo, trovarsi nel girone infernale di un Pronto Soccorso o alle
prese con le bibliche liste di attesa delle prestazioni sanitarie
pubbliche per toccare con mano la realtà di un Paese che non è più
in grado di far fronte nemmeno alle sue funzioni e necessità
fondamentali. La condizione reale del Paese è quella che emerge da
tutti gli indici statistici: milioni e milioni di persone sotto la
soglia di povertà e che hanno dovuto rinunciare a curarsi,
disoccupazione, precariato, invecchiamento, mortalità e nuovi nati, abbandoni
scolastici e universitari, mezzogiorno, deindustrializzazione
delocalizzazioni e shopping di aziende nazionali da parte di soggetti
stranieri e si potrebbe andare avanti a lungo. Rispetto a questa
drammatica condizione reale non vengono più accettate le vecchie
rappresentazioni e narrazioni politiche: centro sinistra e centro
destra, la promessa che stiamo uscendo dalla crisi per uno zero
virgola in più qui o li, che abbiamo bisogno di più
Europa, che l'immigrazione è solo una risorsa e non anche un ulteriore
problema sociale, che i problemi si risolvono con i bonus o tagliando
qualche tassa. Da qui la crisi irreversibile della “vecchia”
politica del Partito Democratico di Renzi (ma anche dei trasfughi di
D'Alema e Bersani) e di Forza Italia di Berlusconi. Questo ce
l'avevano detto anche le elezioni amministrative degli ultimi anni e
soprattutto il referendum costituzionale del dicembre 2016 (nel quale
è stato determinante il ruolo di Lega e 5 Stelle) laddove i
cittadini avevano rifiutato esplicitamente la “normalizzazione”
istituzionale in coerenza con la struttura del “sistema”,
propagandata come indispensabile dall'establishment
politico-economico e dal mainstream informativo. Da qui il fatto che
la disperazione montante faccia sì che ci si aggrappi a qualunque
promessa di cambiamento. Se vogliamo anche il 40% di Renzi alle
Europee del 2014 poteva essere letto così: la percezione del
cambiamento attraverso un tangibile provvedimento, ancorché
inefficace e iniquo nell'esclusione proprio dei più poveri, a favore
dei lavoratori di livello medio-basso quale il bonus degli 80 euro,
la prima concessione sociale dopo anni e anni di macelleria sociale.
Dopo sono venuti jobs act, buona scuola e la perpetuazione delle
politiche di austerità e dunque il crollo del renzismo.