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martedì 8 aprile 2014

C'era una volta lo spread. La crisi invece è rimasta


Renzi e Napolitano secondo Luca Peruzzi
Il format consolidato del sistema dell'informazione (almeno di quello italiano) è quello di cavalcare per un certo periodo un determinato argomento e di presentarlo come il problema decisivo per i destini del mondo. Ovviamente fa parte del più bieco complottismo il solo ipotizzare che esista una regia unica dei mezzi di comunicazione di massa nell'enfatizzare con tutte le risorse a disposizione, a comando e stando bene attenti a non disturbare il Potere, questo o quel tema ma dall'osservazione della realtà dei fatti diventa difficile pensare il contrario.
Vado a memoria: le troppe tasse, la corruzione, le ruberie della casta dei politici, il femminicidio, i suicidi per la crisi, la criminalità di strada, i pirati della strada possibilmente rom o extracomunitari, i disastri 'naturali', l'immigrazione e via discorrendo. In assenza di meglio e nei periodi morti ci si avventa sui casi di cronaca: omicidi maturati nell'ambito familiare o a sfondo sessuale.
Tralasciando i casi di cronaca nera, si tratta evidentemente di fenomeni di straordinaria gravità ed importanza: il fatto inquietante (oltre all'approccio subdolo e truffaldino con cui vengono trattati) è però che i problemi non vengono risolti ma da un certo momento in poi diventano questioni marginali e che non meritano più le prime pagine.

Questa premessa per arrivare allo spread, la differenza tra i tassi di interesse pagati sui titoli del debito italiano e quelli tedeschi. Per mesi non si è fatto che parlare di spread. In nome dello spread (e non per le sue politiche e perché non fosse degno di ricoprire la carica che occupava) si è fatto dimettere Berlusconi, si è chiamato al Governo (e Napolitano lo ha nominato Senatore a vita) il 'salvatore della Patria' Mario Monti (novembre 2011), ci hanno imposto la più feroce macelleria sociale della storia repubblicana finendo di distruggere la nostra economia. I notiziari venivano aperti con la misura dello spread con la stessa gravità e solennità di un bollettino di guerra. Per lo spread (per non vincere 'sulle macerie del Paese' diceva Bersani e solo per questa bugia merita di esser stato fatto fuori dalla politica che conta) non si poteva andare alle elezioni.
Ora che lo spread non è più un problema (non per le politiche di austerità ma solo dopo l'impegno solenne della BCE di Draghi di non consentire che fluttuasse liberamente) e che i tassi dei BTP decennali sono arrivati ad un livello più basso, sia pur di poco, addirittura del momento dell'introduzione dell'euro è rimasta però la crisi economica nelle sue dimensioni più tragiche: disoccupazione, povertà diffusa, caduta dei consumi, chiusura delle imprese, smantellamento dei servizi pubblici, lo stesso debito pubblico (dipinto come il più grande dei mali alla cui soluzione tutto, anche la vita degli italiani, andava sacrificato) ai massimi livelli di sempre.
Qualcuno dovrebbe delle spiegazioni e delle scuse: i professionisti dell'informazione e la politica che nonostante i guasti perpetrati dalle politiche liberiste, per la nascita della crisi nel 2007 e nei provvedimenti che sono stati spacciati come soluzioni, continua a seguire la medesima logica criminale: attacco allo Stato sociale e ai diritti dei lavoratori, flessibilità, privatizzazioni, fiducia nelle virtù 'magiche' del mercato.
Ma ormai si è voltato pagina, altro giro altra corsa. Questo è il tempo delle 'riforme', quelle che il governo Renzi a reti unificate e accompagnato dalla sua ridicola banda di figuranti, spaccia come la 'soluzione' di ogni problema italiano. Per un po' di tempo, fino al prossimo leit motiv dello show.

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