Mi è capitato qualche giorno fa di vedere in televisione (la trasmissione aveva per oggetto la storia dell'IRI e si concludeva parlando delle privatizzazioni sulle quali Italia e Gran Bretagna "vantano" un primato assoluto) un brano di una vecchia intervista di Enzo Biagi a Margaret Thatcher.
Chiedeva, tra le altre cose, Enzo Biagi: "C'è tanta differenza tra guidare un Paese o una famiglia?" "Effettivamente no - rispondeva la Thatcher - in quanto in entrambi esiste un limite alle risorse disponibili di cui bisogna tener conto. E c'è un'altra similitudine: così come i genitori devono insegnare ai figli a cavarsela da soli così lo Stato non deve fare troppo per i cittadini, in una società libera deve lasciare loro la responsabilità di sforzarsi e di agire per raggiungere il livello di vita a cui aspirano".
Lo stesso pensiero, per venire a tempi più recenti, di Tommaso Padoa Schioppa (già compagno di Barbara Spinelli leader della lista Tsipras) che nel 2003 auspicava che le riforme strutturali di cui Francia e Germania avevano bisogno fossero ispirate "da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l' individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l' apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell' uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l' individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato. Germania e Francia sono Paesi con forte struttura dello Stato, consapevoli di sé, determinati a contare nel mondo, sorretti da classi dirigenti attente all' interesse generale. In entrambe, il modello di società (lo stesso dell' Italia) ha bisogno di coraggiose correzioni, diverse e in qualche caso maggiori di quelle necessarie all' Italia. Le difficoltà sono notevolissime. Ma riesce difficile pensare che, imboccata la strada, i due Paesi non sappiano percorrerla con determinazione."
Insomma la condanna senza appello per il "famigerato e deleterio" assistenzialismo.
Certo che l'educazione che i genitori trasmettono ai propri figli deve avere l'obiettivo di renderli autonomi e indipendenti, certo che la società per progredire ha bisogno dell'impegno attivo e consapevole dei cittadini poi però, pensando alla situazione attuale italiana ed europea, non ci si può non chiedere quale strana concezione di famiglia, e per analogia di Stato, abbiano i liberisti. Una famiglia (e uno Stato) cioè che per "educare" i propri figli li lascia senza cibo, senza un tetto, senza la possibilità di curarsi in caso di malattie, senza poter accedere all'istruzione.
Una prassi comportamentale che deve riguardare la generalità dei cittadini ma non certo le famiglie della classe dirigente che garantiscono al contrario ai propri figli agiate condizioni di vita, le migliori opportunità di studio e l'accesso alle più prestigiose università, la sistemazione - anche grazie al proprio sistema di relazioni - in ruoli dirigenziali nella pubblica amministrazione, nella politica o nell'impresa pubblica o privata.
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