[Riassunto di “Conclusioni. L’urgenza di un’alternativa” tratto
da “La trappola dell’euro”]
La continua perdita dei diritti, lo svuotamento delle
istituzioni democratiche, l’impoverimento sono strettamente connessi
all’imperialismo finanziario globale che sottomette i popoli e rende i
cittadini sudditi senza possibilità alcuna di liberarsi da una sorte di
schiavitù finanziaria. Pertanto il quadro che emerge è drammatico ed è
imprescindibile opporre una resistenza popolare a tale imperialismo finanziario
attraverso il recupero della sovranità nazionale e monetaria, mettendo in
discussione i principi economici della globalizzazione, a partire dalla libera
circolazione di merci e capitali. E’ allo stesso tempo imprescindibile
orientarsi verso il modello di “decrescita felice”.
Misure economiche espansive come quelle della teoria
keynesiana si rivelano non efficaci senza dare luogo a misure protezionistiche
da parte degli stati nazionali, i quali avendo l’esigenza di finanziarsi
tramite il mercato sarebbero comunque invischiati nelle dinamiche della
concorrenza-competizione globalizzata e, di conseguenza, politiche di
intervento pubblico potrebbero rivelarsi inutili, infatti, gli sforzi fatti
dagli stati per le spese di finanziamento pubblico, a causa della libera
circolazione di merci e capitali, porterebbero
i relativi benefici nei paesi le cui economie sono più competitive e quindi
maggiormente capaci di attrarre acquirenti e investitori.
In tale circostanza sono opportune misure protezionistiche
dell’economia interna dello stato, come la moneta nazionale, la possibilità di
stabilire forme di limitazione della circolazione di merci e capitali, una
banca centrale che funga da acquirente residuale dei titoli del debito sovrano,
esattamente come faceva la Banca
d’Italia prima della separazione dal Ministero del Tesoro, avvenuta nel 1981.
Per contro, si avrebbero problemi legati al recupero di
sovranità, perché tornare alla moneta nazionale, sottraendosi alle logiche
della globalizzazione, esporrebbe il paese in una condizione di difficoltà di
rapporti col resto del mondo. La principale difficoltà sarebbe
l’approviggionamento di materie prime energetiche. L’Italia avrebbe difficoltà
soprattutto in quanto importatore di gas naturale e, nella quasi impossibilità
di differenziare le fonti di approviggionamento, non potrebbe far altro che
scegliere la strada del rendersi autonoma dai fornitori di materie prime
energetiche.
Per rendersi autonomi energeticamente è necessario, ed
importante dal punto di vista ecologico, dotarsi di impianti di basso impatto
ambientale e con tempi di costruzione rapidi, sfruttando le fonti di energia
rinnovabile in misura tale da coprire almeno metà del fabbisogno nazionale di
energia elettrica, che attualmente è coperto solo per un quarto.
La strada per la riconquista della sovranità passa quindi,
inevitabilmente, attraverso un percorso di affrancamento dalla dipendenza di
materie prime energetiche estere. Ma ciò non basta a rendersi totalmente
autonomi dall’uso di fonti fossili estere, risulta quindi necessario riuscire a
diminuire significativamente, nel tempo, la domanda di energia interna.
Quindi, per liberarsi dalla necessità di produrre energia da
fonti inquinanti, occorre ridurre la
domanda di energia investendo nel risparmio energetico e abbandonando il
consumismo, investendo nella produzione di merci durevoli e riparabili, cioè
seguendo un modello di decrescita.
La decrescita non indica la necessità di una continua
diminuzione del PIL, decrescita vuol dire non essere costretti a dover
continuamente aumentare la produzione di merci e affiancare ad esse i beni
demercificati di autoproduzione o oggetto di scambio al di fuori del mercato.
Decrescita vuol dire recupero delle capacità produttive
locali, “chilometro zero”, “filiera corta”, autonomia alimentare, reti solidali
di autoproduttori, liberazione dalla schiavitù nei confronti del petrolio e
delle fonti energetiche inquinanti.
Decrescere non significa diventare più poveri, infatti non
verrebbe meno la ricchezza materiale posseduta con l’utilizzo di beni durevoli
e riparabili, ottenendo importanti benefici dal punto di vista ecologico e del
risparmio energetico.
Ma produrre di meno comporta meno lavoro, salvo un primo
periodo di transizione, dove la domanda di lavoro aumenterebbe rispetto ad oggi
per effetto degli investimenti nello sviluppo delle fonti rinnovabili e per
quelli volti alla diminuzione della domanda di energia.
Per evitare la disoccupazione si renderebbe necessario
distribuire equamente la quantità di lavoro a disposizione, abbassando il tempo
di lavoro pro-capite e attuando una politica di forti investimenti pubblici, al
fine di non ridurre il reddito reale e il potere d’acquisto dei lavoratori, nel
fornire servizi pubblici di qualità (scuola, sanità, istruzione, trasporti
pubblici, ecc.) costituendo così una forma di reddito complementare. A
conclusioni simili perviene anche Serge Latouche, uno dei più importanti
teorici della decrescita, il quale elogia poi alcuni Paesi sudamericani, come
l’Ecuador e la Bolivia,
per il loro tentativo di superare la concezione industrialista e predatoria
della guerra alla natura in favore della ricerca dell’autonomia, della
sovranità alimentare ed energetica nel rispetto dell’equilibrio ecologico.
Dunque decrescita vuol
dire produrre di meno ma conduce anche a investimenti statali indirizzati a
servizi pubblici di qualità: è in quest’ottica che il keynesismo, nato come
pensiero economico di crescita, incontra il pensiero della decrescita.
E’ bene però far tesoro degli insegnamenti della storia e
quindi tener presente che un forte ruolo dello Stato nell’economia si
accompagna al rischio di derive burocratiche, quando non addirittura
autoritarie ed oppressive. Tale deriva può essere impedita se le decisioni
politiche diventano il risultato di processi deliberativi trasparenti e
partecipativi quale è la cosiddetta “democrazia
partecipativa”, un tema tanto ampio quanto importante e per questo imprescindibile
nell’ottica della liberazione dalla schiavitù finanziaria per la conquista
della sovranità nazionale e monetaria.
Rif.: http://il-main-stream.blogspot.it/p/la-trappola-delleuro.html
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