"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

mercoledì 19 ottobre 2011

Dopo il 15 ottobre: non esiste alternativa alla non violenza



da: http://www.radicalsocialismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1350&Itemid=1

In questi giorni il dibattito politico e l'informazione avrebbero dovuto occuparsi e dare conto di una grande giornata di democrazia, di centinaia di migliaia di persone convenute a Roma il 15 ottobre – in concomitanza con quanto avvenuto in quasi 1000 città del mondo - per reclamare una politica, una società, un'economia diverse (fondate sull’idea di superare il capitalismo e sulla richiesta di giustizia sociale e di una vera democrazia, tutti temi che fanno parte del dna della sinistra). Avremmo dovuto confrontarci sulla nascita di un grande movimento presente in tutti i continenti della Terra e spesso assoluto protagonista – dal nord Africa alla Cina, da Madrid e Barcellona a Santiago del Cile, da New York a Tel Aviv, da Bruxelles ad Atene – fino al punto che non in pochi parlano di un nuovo '68 per la rivoluzione culturale e politica che esso preannuncia, sul rapporto tra partiti e movimenti, gli uni sclerotizzati ed incapaci di interpretare e governare la realtà che si è materializzata davanti a noi, gli altri innovativi espressione delle istanze e dei bisogni che provengono dalla società civile.
E invece in Italia tutto è stato coperto, annebbiato, deviato, confuso dagli atti di teppismo e di vandalismo di 500 o mille individui. Le centinaia di migliaia di persone scese in piazza e le loro richieste non contano più nulla, il loro grido che la crisi finanziaria mondiale sia fatta pagare agli speculatori e non ai ceti popolari che la stanno subendo sovrastato da un chiacchiericcio assordante, tutto è ridotto ad un problema di ordine pubblico, a quali misure siano più opportune (il ripristino della legge Reale per Di Pietro o il divieto di sfilare in corteo per Alemanno) per contrastare i black bloc.
Senza che vi sia stata chiarezza sul fatto che se vi è stato un problema di polizia, causato da una piccola minoranza di facinorosi, la responsabilità va addebitata a chi l'ordine pubblico doveva gestire e cioè il ministero degli interni di Bobo Maroni. Senza che si sia riusciti a capire chi fossero effettivamente quei black bloc.

Gruppi antagonisti 'diretti' ed ‘orientati’ da infiltrati e provocatori insieme a vecchi residuati degli anni di piombo? Compagni che sbagliano? Giovani che non hanno altro modo per esprimere la propria rabbia e la propria frustrazione, di fronte ad una società e ad un mondo brutalmente ingiusti, se non attraverso la violenza? Idioti che pensano che la rivoluzione si faccia sfasciando vetrine, bruciando cassonetti e le automobili di qualcuno che magari la sta ancora pagando a rate mettendo a repentaglio la vita delle persone che gli stanno manifestando accanto?
Forse tutte queste cose insieme.
In ogni caso le violenze hanno determinato, come afferma Giorgio Cremaschi, una battuta d’arresto per il movimento (un vero e deliberato boicottaggio politico) e fatto il gioco del potere ('missione compiuta' ha scritto Vittorio Zucconi su Repubblica). Il potere di tutti i partiti che possono ora tentare di riappropriarsi della supremazia sull’agire politico rivendicando la propria affidabilità e la propria organizzazione. Il potere della destra berlusconiana e para-fascista che con i suoi altrimenti impresentabili Alemanno, La Russa, Gasparri, Maroni può permettersi di rialzare la testa e pontificare sulle proteste distogliendo, per un po' di tempo, l'attenzione dai problemi del paese.
E hanno fatto il gioco dei fautori (e beneficiari di affari inconfessabili) del folle progetto dell’alta velocità in Val di Susa che a tutti i costi vogliono associare i black bloc al movimento No-Tav e a tale scopo si servono di interviste, non sempre credibili, a qualche ‘facinoroso rivoluzionario’.
Dunque ancora una volta si dimostra l'anomalia italiana. Con un capo del governo, plurinquisito e coinvolto in infiniti scandali, che non sarebbe tollerato in nessuna delle cosiddette democrazie occidentali (e probabilmente in pochi paesi nel mondo) e con la manifestazione degli indignados, unico caso nel mondo, che ha assunto caratteri violenti.
Come non ricondurre tutto questo al drammatico deficit di legalità che caratterizza l'Italia? Il Paese dei tentativi di golpe che vedevano coinvolti le alte gerarchie militari, dei servizi segreti deviati che indirizzavano il terrorismo negli anni di piombo, delle trattative tra Stato e mafia che fece da sfondo e rese possibili le stragi in cui furono uccisi Falcone e Borsellino, della gestione liberticida di alcuni grandi eventi antagonisti, come il G8 di Genova 2001, in cui si lasciano indisturbati nell'agire i black bloc e ci si accanisce contro i manifestanti inermi e pacifici. L’Italia attuale della povertà impetuosamente in aumento, dei privilegi intollerabili ma intoccabili, della macelleria sociale, dei giovani e dei precari senza speranza. Non sorprende che in alcuni il senso di impotenza che deriva dalla convinzione di non poter praticare una lotta politica democratica si trasformi (e venga 'opportunamente' orientata o agevolata), oggi come 40 anni fa, nella scelta di una violenza fine a se stessa.
Ma deve essere chiaro a tutti coloro che vogliono realmente costruire un mondo nuovo che questa è la strada sbagliata, che non è tollerabile indulgenza e tolleranza nei confronti di chi vuole condurci alla sconfitta e al suicidio politico e che si dovrà fare di tutto per impedire che si ripeta un'altra giornata come il 15 ottobre.
Il movimento continuerà anche dopo questo parziale fallimento con la consapevolezza, se mai ci fossero stati dei dubbi, di dover riaffermare la propria natura non violenta e la necessità di una strategia comunicativa e di lotta che realizzi una autentica rivoluzione anzitutto nelle nostre menti, nei nostri cuori, nei nostri comportamenti, nelle nostre relazioni interpersonali.
Tutti dobbiamo essere coscienti, anche coloro che sembrano indulgere a giustificazioni e distinguo nei confronti dei violenti, che l'unica strategia vincente è quella della non violenza.
Doppiamente vincente.
Perché è moralmente giusta, non persegue scorciatoie impraticabili e dagli effetti perversi ma coerentemente persegue la difesa dei diritti e della legalità, il dialogo, il confronto, l'uso della ragione e la forza delle idee.
Perché è la più efficace, disorienta e spariglia il potere, non gli offre alibi e pretesti per la repressione e per le mistificazioni dell'informazione di regime, non consente che strumentali rumori di fondo possano coprire la sostanza della protesta, conquista i cuori e il consenso della maggioranza dei cittadini.
Noi del Movimento Radicalsocialista, che abbiamo nel nostro ideale Pantheon Aldo Capitini uno dei padri della non violenza, siamo ben coscienti e convinti di tutto ciò.

Che fare ora per ripartire?
Certo il movimento dovrà riflettere, come già ha cominciato a fare ed è molto interessante in questo senso l'intervento di Bifo Berardi, sulle forme e sui modi in cui esprimere il proprio dissenso e la propria lotta.
Pensare di strutturarsi e di organizzarsi scegliendosi dei leader, identificando delle gerarchie e dandosi un'architettura pesante significherebbe snaturare la propria natura fluida, reticolare e trasversale.
E’ evidente che nel momento in cui si riproporranno nuove manifestazioni di massa ci si dovrà dotare di un servizio d'ordine e di regole in base alle quali non sia consentito la partecipazione al corteo di chi si presenta a volto coperto e porti con sé oggetti per offendere e colpire.
Più ancora probabilmente dovrà trovare nuove forme per affermare la propria presenza: innovative e spettacolari, mobili, decentrate e diffuse sui territori, giocare sul fattore sorpresa, sfruttare a pieno le opportunità di propagazione delle idee che offre il web. Optare, così come si fa in tutto il mondo, per l'occupazione delle piazze e rinunciare ai cortei.
Per spostare gli equilibri sociali e i rapporti di forza con il potere politico ed economico, per conquistare alle proprie lotte e alle proprie proposte la maggioranza delle persone, per rendere liberi gli individui dai condizionamenti e dalle catene del bisogno (e che spinge troppi nelle maglie del clientelismo e della contiguità con le organizzazioni criminali o nella disperazione della violenza) dovrà porsi però anche l'obiettivo di operare nel profondo della società e creare/sviluppare/mettere in rete nuove iniziative economiche associative che riescano ad indicare e realizzare un'alternativa concreta ai modelli di vita e di consumo dominanti, per la soddisfazione delle necessità materiali e la diffusione di una cultura solidale che faccia prevalere le soluzioni collettive su quelle individuali. .

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