"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

martedì 30 dicembre 2014

Prodi Presidente della Repubblica: il male minore?

Romano Prodi e Renzi visti da Luca Peruzzi
Premessa indispensabile: l'elezione del prossimo Presidente della Repubblica è cosa loro cioè qualcosa che riguarda gli equilibri interni alle ristrette oligarchie - economiche, finanziarie, politiche, burocratiche, criminali - che dominano il nostro Paese e sulla quale la stragrande maggioranza dei cittadini non ha alcuna voce in capitolo e tantomeno i cittadini democratici e progressisti. La maggioranza dei cittadini la guarderà solo da spettatori (un po' come juventini, milanisti e romanisti guardano l'esito della Champions League), potrà subirla e basta, al massimo costituirà quel parco buoi al quale bisognerà propinare una scelta non manifestamente e palesemente indigeribile e truffaldina.
Aldo Giannuli, uno dei più lucidi politologi italiani, nello stimolante articolo che di seguito viene riportato indica i requisiti "minimi" che dovrebbe avere il nuovo Presidente della Repubblica: una fedina penale (non solo grazie alla prescrizione) immacolata (sembra una cosa assurda in un Paese in cui persino ad un bidello o ad un archivista viene richiesto il certificato dei carichi pendenti ma sappiamo tutti che nel nostro sistema politico è cosa che va ribadita ogni nanosecondo), la lealtà nei confronti della Costituzione (dimostrata dalla propria storia personale), aver ricoperto ruoli di responsabilità nazionale nei quali abbia dato dimostrazione delle proprie qualità politiche e morali e delle proprie competenze sulle materie istituzionali sulle quali sarà chiamato a misurarsi, avere a cuore anzitutto gli interessi nazionali, un curriculum politico importante, essere dotato di equilibrio e imparzialità, aver svolto nella propria vita una qualche rilevante attività professionale senza essersi limitato esclusivamente al mestiere politico.
E' evidente che tra tutti i nomi che circolano in questi giorni quali possibili successori di Napolitano (si pensi alle candidature indecenti di Giuliano Amato, di Veltroni, di Padoan, della Pinotti, della Finocchiaro) e che effettivamente hanno qualche possibilità di essere eletti (togliamo dunque di mezzo Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky) non vi è nessuno che abbia tutti questi requisiti. Se dovessi scommettere un euro su chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica personalmente lo punterei su Piero Grasso: perché puramente decorativo rispetto alle ambizioni di Renzi, perché compatibile con il patto del Nazareno, perché in possesso delle necessarie competenze giuridiche, perché spacciabile come nuovo e come "eroe" dell'Antimafia.
Rispetto invece al profilo ideale indicato da Giannuli colui che tra i papabili indicati sui media più vi somiglia o, meglio, è meno distante io direi Romano Prodi.
Nella guerra che ha contraddistinto la politica italiana degli ultimi trenta o quarant'anni tra le due destre - quella espressione del grande capitale internazionale e quella emanazione del capitalismo straccione nostrano, Repubblica e il PDS-DS-PD contro Mediaset e Forza Italia - Romano Prodi è stato uno dei campioni della prima. Romano Prodi con le privatizzazioni degli anni '90 di fatto ha contribuito a stravolgere in modo decisivo la Costituzione materiale del nostro Paese, con il proprio ministro del lavoro Treu ha aperto la strada al precariato, con l'ingresso nell'euro ci ha messi in una trappola dalla quale non è più possibile uscire senza bagni di sangue, Prodi ha avuto delle pendenze giudiziarie dalle quali si è tolto d'impaccio grazie alla prescrizione,  nel suo excursus politico è impossibile non ricordare quel Gradoli uscito fuori nella "seduta spiritica" a cui partecipava quale rivelazione del covo nel quale era tenuto prigioniero Aldo Moro (come non pensare ad un escamotage per riferire l'imbeccata ricevuta da qualche servizio segreto?). Certamente però Prodi non è un Signor Nessuno, non è un grigio burocrate del Grande Capitale Finanziario Internazionale quale Mario Draghi, non sarebbe un burattino nella disponibilità di Renzi da far muovere con qualche tweet. Prodi è uno dei pochi personaggi italiani in grado di confrontarsi alla pari con la Merkel o Hollande o Cameron e dotato di una capacità di elaborazione politica autonoma, non un semplice testimonial di copioni scritti in serie da altri. Berlusconi a cui tutto si può rimproverare ma non la mancanza di fiuto politico, se è vera l'apertura nei confronti di Prodi, sembra averlo capito. Decisiva l'influenza di Putin con cui entrambi i "nemici" della stagione del Polo e dell'Ulivo intrattengono buoni rapporti? Può darsi ma questo sarebbe uno dei pochi dati positivi: in un contesto in cui non può esservi un nuovo Presidente della Repubblica che possa contestare l'austerità della troika, il jobs act, il divieto per la Bce di stampare moneta e di finanziare gli Stati che aderiscono all'euro, avere un Capo dello Stato che acconsenta, anche minimamente, all'idea di un mondo multipolare e che non sia un fondamentalista ottusamente atlantista come Napolitano è l'unica piccola cosa a cui possiamo aspirare. Di fronte alla quale la grazia per un Berlusconi che sconta una pena ridicola e farsesca ai servizi sociali - tra interventi politici, incontri istituzionali, visite a Milanello - non dovrebbe poter ormai indignare nessuno.


di Aldo Giannuli:


Nonostante non ci sia mai da essere sicuri di certe cose, non penso che, magari dopo una ventitreesima votazione caos, si giunga a rieleggere l’eterno re Giorgio. A tutto c’è un limite. Quando parlo di “Napolitano ter” parlo di un Capo dello Stato in continuità con l’uscente. Ma che caratteristiche dovrebbe avere il Presidente ideale? Diamoci dei criteri.

sabato 13 dicembre 2014

Roma: l'occasione da non perdere per costruire l'Alternativa e l'Unità della Sinistra




L'inchiesta Mafia Capitale e il marcio che ha scoperchiato nell'amministrazione del Comune di Roma, con lo scioglimento per mafia non escluso nemmeno dal Prefetto, rende possibili a breve nuove elezioni per la carica di Sindaco della città. E comunque rende da subito necessario cominciare a lavorare per costruire un'alternativa – nei metodi, nella trasparenza, negli obiettivi – per il governo di Roma.
Per quanto Ignazio Marino non sia stato direttamente coinvolto nell'inchiesta ed anzi possa atteggiarsi a vittima della cricca fascio-mafiosa, la sua maggioranza esce ulteriormente indebolita dalla vicenda. La tesi che la sua amministrazione e che il PD abbia fatto argine al malaffare non regge: risultano indagati esponenti del PD e tra questi Luca Odevaine, già collaboratore della Melandri, di Veltroni, di Zingaretti; la cooperativa "29 giugno" di Luca Buzzi, che aveva contributo al finanziamento della campagna elettorale di Marino ed aveva avvicinato un membro della sua segreteria, anche durante il 2013, primo anno dell'amministrazione Marino, ha visto l'incremento delle commesse assegnate dal Comune.
Può darsi che Ignazio Marino sia un San Francesco in mezzo ai lupi, può darsi che sia meno peggio degli altri oppure può darsi che rappresenti interessi contrastanti rispetto a quelli della banda di Carminati. E che la campagna di denigrazione di cui è stato bersaglio negli scorsi mesi da parte della stampa romana, con in prima fila i giornali di Caltagirone, derivasse dall'aver pestato i piedi a qualcuno.
Vi sono però dei dati inoppugnabili: l'ulteriore indebolimento politico e di immagine dell'amministrazione Marino che sembra davvero avere i giorni contati e nessuna possibilità di riguadagnare credibilità e prestigio; la partecipazione sistemica di esponenti del PD al sistema della corruzione e del malaffare (si guardi, solo per citare alcuni episodi oltre a quelli di Roma, agli scandali della Sanità in Puglia, della ricostruzione dell'Aquila, di Penati, del Mose di Venezia e dell'Expo, dei deputati Di Stefano e Genovese).
Il PD da un lato impedisce alle amministrazioni locali di svolgere le funzioni - anche e soprattutto sul piano sociale - a cui sono preposte, con l'imposizione delle politiche di austerità subalterne all'ideologia liberista e obbligando alla privatizzazione dei servizi pubblici ("Le città ingovernabili" come scrive Tonino Perna); dall'altro, con i suoi esponenti e con le imprese amiche, partecipa alle pratiche del malaffare fondate sull'appropriazione criminale delle residue risorse pubbliche disponibili.
Questi dovrebbero essere motivi sufficienti per abbandonare ogni volontà di collaborazione con il PD anche a livello locale. L'appannamento dei Sindaci arancioni – Pisapia, Doria, Zedda - dipende largamente, oltre che dalle conseguenze dell'applicazione delle politiche di austerità, dall'essere restati prigionieri di questo sistema perpetuando pratiche di governo, inadeguate per i bisogni dei cittadini, fondate sull'accettazione passiva delle compatibilità di bilancio imposte dagli Esecutivi nazionali, sulla rincorsa alle grandi opere e ai grandi eventi quali uniche occasioni di sviluppo, sulla pratica degli accordi (“le compensazioni”) con la speculazione edilizia. Un discorso a parte meriterebbe invece De Magistris che, tra luci ed ombre, amministra la città di Napoli senza e contro il PD.
Con la destra ridotta ai minimi termini, con un PD in crisi di credibilità, si presenta dunque a Roma la possibilità di eleggere un sindaco di Alternativa e di svolta. Ed il doppio turno lascia aperta ogni soluzione (si veda al riguardo proprio l'elezione di De Magistris).

domenica 7 dicembre 2014

Mafia Capitale: la chiamavano sussidiarietà


Alcune considerazioni/riflessioni mentre ci massacriamo e ci ubriachiamo di indignazione per l'ennesima inchiesta giudiziaria che scoperchia l'ennesimo caso di connessione tra criminalità, politica e affari (questa volta con la direzione, peraltro non una novità per Roma, di residuati fascisti) con il coinvolgimento bipartisan, per l'ennesima volta, dei protagonisti politici dell'ultimo ventennio di storia italiana: il PD e e il PDL.
Primo. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che la degenerazione morale e criminale della vita politica, sociale, economica non è determinata dalla deviazione di singoli individui, da una casta corrotta che va sostituita con nuovi elementi provenienti da una società civile intrinsecamente sana (qui sta la debolezza dell'analisi grillina e travaglina a cui pure va riconosciuta la coerenza ed il coraggio della denuncia del malaffare), dall'insufficienza di regole e di strumenti di controllo e di prevenzione. Qui siamo di fronte ad un sistema – quello dell'economia di mercato - che contiene in sé i germi della corruzione politica ed economica. Quando le decisioni politiche e l'impiego dei fondi pubblici può determinare enormi arricchimenti e vantaggi a favore di soggetti privati questi saranno disposti a comprare, con le buone e con le cattive, chi detiene il potere di spesa e di determinarne la propria fortuna. E se c'è qualcuno disposto a comprare ci sarà sempre qualcuno disposto a vendersi, anzi la selezione della classe dirigente avverrà in funzione della contiguità e dell'arrendevolezza nei confronti dei torbidi interessi in gioco (la ricattabilità è uno dei requisiti fondamentali per essere cooptati nei ruoli politici).