Di fronte all'ostinata resistenza di Berlusconi al
governo, il suo rifiuto – come dicono i politici di professione –
di passare la mano o fare un passo indietro, la necessità delle sue dimissioni non è più quasi una
questione politica ed istituzionale: è semplicemente un fatto di
pubblica decenza, un atto dovuto.
E' come pretendere che un intervento
chirurgico sia affidato ad un medico e non ad un laureato in legge o
a un ragioniere o un geometra, che il progetto di un palazzo sia
firmato da un ingegnere e non da un cantante o da un professore di
lettere.
Poi è giusto discutere del dopo,
temere cosa potrà succedere, dubitare sul fatto che il
'professionista' che sarà chiamato a sostituirlo (e la maggioranza
politica e sociale che lo sosterrà) sia all'altezza del compito e possa fare gli interessi di
tutti gli italiani e non di determinati gruppi di potere, aspettarsi
che un nuovo governo – sia di destra o di centrosinistra - sia
ancora più pericoloso in termini di provvedimenti antipopolari ma se
non è questo il momento, di fronte ad una crisi economica epocale,
in cui tornare a confrontarsi sulle diverse opzioni politiche e non
sul bunga bunga e sulle escort cosa dobbiamo ancora aspettare?
Il caso Berlusconi (tra scandali
sessuali, dichiarazioni e telefonate imbarazzanti e irripetibili, processi in corso, amici e collaboratori condannati per mafia, corruzione di
giudici ed evasione fiscale) è un caso forse unico al mondo (dove ci
si dimette per contributi non pagati alla colf, per un sms osé, per
un rimborso irregolare di qualche centinaia di euro) che ha gettato
nel discredito e nel ridicolo il nostro Paese.
Chi ha amici e familiari all'estero
riferisce dell'imbarazzo provocato dallo scherno che devono subire
dai propri amici e colleghi di lavoro stranieri, i nostri connazionali nel mondo votano spesso
contro Berlusconi non per fiducia in un'alternativa di
governo ma per non dover continuare ad essere presi in giro.
Quanto successo alla conferenza stampa della Merkel e di Sarkozy, a conclusione della riunione del Consiglio Europeo, in cui i due leader (la cui autorevolezza peraltro potrebbe essere facilmente contestata) e tutta la platea dei giornalisti ridono al sentire il nome di Berlusconi è, per quanto possa ricordare, un fatto del tutto inedito nella storia della diplomazia mondiale soprattutto pensando a quali siano le regole di prudenza e di riservatezza a cui tradizionalmente ci si attiene nei rapporti tra gli stati.
Che Berlusconi (impegnato nei processi e nella difesa delle sue aziende) non voglia dimettersi è comprensible, che continui a sostenerlo quella cerchia di sanguisughe parassite che grazie a lui (ma a spese degli italiani) ha arraffato soldi e cariche pubbliche è (tristemente) naturale, ma che non stacchi la spina al governo chi in passato affermava di propugnare la difesa dell'interesse, dell'orgoglio e del prestigio nazionale è profondamente immorale.
Che il Presidente Napolitano non prenda carta e penna per scrivere al Parlamento e richiamare deputati e senatori alle proprie responsabilità nei confronti della Nazione è francamente incomprensibile o forse, ancora di più, sospetto.
Che si voglia o no, Berlusconi rappresenta l'immagine dell'Italia all'estero. Il suo ruolo costa al nostro Paese, solo per il deficit di credibilità che determina, miliardi di euro di aggravio dei conti pubblici, determinati dal differenziale del tasso di interesse dei titoli pubblici rispetto, ad esempio, alla Spagna che non si trova certo in condizioni economiche e finanziarie più floride delle nostre.
Il permanere di un governo fantoccio come quello sostenuto da Lega e PDL penalizza pesantemente l'economia italiana. Ci espone ai diktat delle istituzione europee e dei maggiori partner occidentali (di per sè inaccettabili e da respingere in toto) senza avere nemmeno la possibilità di trattare sul contenuto. Fa sì che ci venga sfilata da sotto il naso la supremazia in un tradizionale mercato di approvvigionamento delle fonti di energia e di commesse per le nostre imprese come la Libia. Argomento che non è certo rilevante per chi si è opposto alla guerra per ragioni umanitarie ma che va comunque ricordato ai fautori di certe posizioni di alternativa politica che ponevano tra le ragioni del no all'intervento in Libia (e che sembrano quasi essere indifferenti alla caduta del governo Berlusconi) quelle della difesa degli interessi nazionali.
Insomma fino a quando durerà questa agonia della nostra democrazia, fino a quando dovremo sopportare questo scempio dell'immagine dell'Italia e soprattutto delle regole costituzionali e del bene dei cittadini?
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