Fabio Fabio secondo Luca Peruzzi |
Sta passando in questi giorni sulle
reti Rai lo spot sul pagamento del canone. Mentre scorrono sullo
sfondo le immagini dei programmi “di punta” o presunti tali della
tv pubblica, ci viene propinato il messaggio che da quest'anno il
canone è più conveniente e più comodo da pagare. Si tratta
evidentemente di una colossale e spudorata mistificazione: il canone
non è il prezzo di un servizio liberamente scelto ma è la tassa
dovuta per il possesso degli apparecchi televisivi (o a questi
equiparati) che serve a finanziare la Rai in quanto servizio pubblico
radiotelevisivo. L'entità della tassa è stata ridotta a cento euro
(a quanto si è capito solo per il 2016) considerato che associarla
alla bolletta elettrica consente di recuperare gran parte
dell'evasione. Una comunicazione onesta e corretta (e che ciò non
avvenga dice tutto sull'attendibilità della Rai nell'informarci
sulle grandi questioni quali ad esempio le guerre e la crisi
economica) richiederebbe dunque di pronunciare esplicitamente parole
ed espressioni messe all'indice e considerate tabù per il pensiero
unico dominante: tasse e servizio pubblico.
Servirebbe cioè riconoscere che
esistono ambiti della vita sociale ed economica (quale è la cultura
nell'accezione più ampia: informazione, arte, musica, spettacolo,
cinema, teatro, letteratura) che devono essere sottratti alla
dittatura del profitto, della speculazione e delle multinazionali per
essere governati in funzione del bene comune, identificato come tale
dalla volontà popolare, e finanziati dalla fiscalità generale.
Che la Rai non possa evidenziare il
proprio ruolo di servizio pubblico è facilmente comprensibile: da
anni non svolge più tale funzione e ciò rende il canone una tassa
odiosa ed insopportabile soprattutto pensando agli onorari milionari
degli insulsi personaggi che la infestano.
La Rai è un carrozzone dove piazzare
politici trombati, amanti, parenti e amici dei potenti, è il
megafono del governo e comunque dei poteri dominanti e per questo
opera una sistematica disinformazione sulle grandi questioni
politiche, economiche e sociali, non inventa e non produce più
programmi ma si è ridotta (con tutta l'opacità amministrativa che a
questo consegue) a mera appaltatrice ed acquirente dei format delle
multinazionali del settore, è diventata la brutta copia delle tv
commerciali, continua ad essere lo strumento di propaganda
dell'ideologica cattolica con le fiction.
Il Servizio Pubblico è evidentemente
un'altra cosa: significa diffondere cultura ed una informazione
pluralista, significa sperimentare linguaggi e proporre forme
originali e non omologate di intrattenimento e di musica, significa
saper coniugare ed alternare spettacoli popolari di massa e
innovazione creativa. Tutte cose che la tv commerciale schiava della
pubblicità e dell'audience non può fare e solo questo potrebbe
giustificare il pagamento del canone alla Rai.
E' impossibile paragonare la Rai del
monopolio a quella attuale: si tratta di due epoche diverse, le
condizioni generali – sociali, economiche, politiche, tecnologiche
– sono completamente cambiate. Soprattutto la televisione e i media in generale non avevano l'odierno ruolo totalizzante sui sentimenti e le opinioni delle persone. Ma si deve riconoscere che la Rai fino all'avvento di Mediaset – per quanto
bigotta, lottizzata e oggetto della censura democristiana –
rappresentava davvero la più grande industria culturale italiana,
era capace di raccontare l'Italia, in essa potevano lavorare – cito solo qualcuno di coloro che mi vengono in mente – Soldati, Eco,
Pasolini, Nanni Loy, Arbore, Zeffirelli, Comencini, la Wertmuller,
Fellini, Dario Fo, Eduardo e Peppino De Filippo, Mina, Biagi.
Svolgeva davvero la funzione di unificazione del Paese almeno nel
linguaggio.
E' naturale che molti di noi la
rimpiangano così come rimpiangiamo i giochi infantili della nostra
infanzia confrontandoli con i sofisticati videogiochi di oggi o
proviamo nostalgia per il gusto dei cibi cucinati da nostra madre
rapportati ai sapori tutti uguali dei prodotti dell'industria
alimentare.
Ma non si tratta di pensare di poter
rimettere indietro le lancette della storia, non si tratta di
vagheggiare un autocastrante ritorno alla scarsità quando la scienza
e la tecnica ci hanno dato l'abbondanza potenzialmente per tutti, si
tratta semplicemente di riconoscere che la strada intrapresa –
nella televisione come negli altri aspetti della vita – non è
quella giusta e che bisogna cercarne un'altra.
Perché il telecomando, gli scaffali
pieni dei supermercati e l'invasione delle automobili non ci hanno
dato più libertà ma ci hanno coperto di immondizia e solo tra
l'immondizia ci è consentito oggi di scegliere e di vivere.
E' molto peggio la modifica della reversibilità della pensione del coniuge. Un altro furto di inestimabile valore...
RispondiEliminaSu questo siamo perfettamente d'accordo
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