"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

sabato 19 marzo 2011

Le mie (poche) certezze sulla Libia


Gheddafi è un dittatore privo di scrupoli che, miscelando sapientemente propaganda ideologica (democrazia, socialismo, anticolonialismo, antimperialismo) ed una spregiudicata condotta politica, fatta di oscure trame terroristiche e di frustrate velleità espansionistiche, di affari petroliferi e finanziari, di trattative internazionali sottobanco con ogni soggetto disponibile (Israele ad esempio), con l'ignobile utilizzo della tragedia dei migranti quale arma di pressione nei confronti dell'Italia e dell'Europa, è riuscito a restare per quarant'anni sulla scena internazionale ed ha soggiogato il proprio Paese ed il proprio popolo, piegandolo ai propri interessi personali, della propria famiglia della propria tribù.
La sua fine politica sarebbe un bene per la Libia, per il mondo arabo, per la comunità internazionale.

Sarebbe cosa buona e giusta se l'ONU intervenisse, per ristabilire la pace e mettere in sicurezza le popolazioni civili, in ogni situazione in cui sono violati i diritti umani, tra i quali fondamentali sono i diritti alla libertà e all'autodeterminazione, e vi sono persone che subiscono un'omicida aggressione o repressione militare: in Palestina anzitutto o in Costa d'Avorio, Bahrein o Yemen solo per citare dei casi recenti.
Si tratta, è ovvio, di pura utopia tenuto conto che tra gli Stati che violano i diritti umani e le regole della democrazia vi sono anzitutto le più grandi potenze mondiali: gli USA, la Cina, la Russia. Le decisioni dell'Onu si ispirano perciò inevitabilmente non sui suoi principi fondativi e sul diritto internazionale ma sulla legge del più forte.
Le cosiddette guerre 'umanitarie' sono sempre precedute da campagne mediatiche fatte anche di menzogne (massacri di civili, aiuto al terrorismo, possesso di armi di distruzione di massa) per farle accettare all'opinione pubblica e attraverso le quali dittatori fino a poco tempo prima tollerati e blanditi (perché utili) diventano improvvisamente i pericoli pubblici numero uno da eliminare assolutamente per il bene dell'umanità. E sono guerre in cui le ragioni 'umanitarie' vengono riconosciute e si decide di difenderle solo laddove vi sono interessi strategici ed economici (in primis fonti di energia) da difendere e sviluppare.

Ciò che ora c'è da augurarsi è che non si arrivi in Libia ad uno scontro totale e che le prime azioni militari siano sufficienti a spingere Gheddafi ad accettare una tregua ed una trattativa diplomatica oppure che il Rais possa essere rimosso a seguito di un 'pronunciamento' del suo stesso esercito.
E' questo probabilmente il calcolo, si spera non azzardato, che ha mosso Usa, Francia e Inghilterra e la stessa Lega Araba, anche se è stato notato come il regime totalitario libico, a differenza di quanto successo in Tunisia ed Egitto, difficilmente potrà lasciare spazio a soluzioni di compromesso. L'alternativa è di trovarci di fronte una situazione simile a quella irachena o a quella afghana, un Paese lacerato e diviso incapace di ritrovare un'identità ed un'organizzazione statale unitaria, una guerra che costerà tantissime vite umane tra i libici e che potrà estendersi all'Europa e all'Italia anche attraverso azioni terroristiche, un focolaio di instabilità politica alle porte di casa nostra.

C'è un ulteriore aspetto da segnalare, certo di importanza di gran lunga inferiore rispetto alla tragicità degli eventi in corso ma che comunque non può essere ignorato: la totale inadeguatezza, inaffidabilità, il carattere assolutamente ridicolo dei nostri governanti: passati dall'esaltazione dello statista Gheddafi e dall'adozione di un trattato di amicizia (violato palesamente dall'azione militare), dagli atteggiamenti del socio in affari Berlusconi con il baciamani ed il riserbo nel contattarlo, al momento delle prime rivolte, “per non disturbarlo” alla completa fedeltà ed al pieno allineamento delle decisioni delle potenze occidentali. Senza alcuna capacità e credibilità nel proporre una mediazione e delle opzioni diverse dalla guerra.
Anche qui, ancora una volta, emerge quanti danni stiano facendo Berlusconi e il suo governo all'Italia, ai suoi interessi economici e strategici (con Sarkozy e la francese Total in prima fila nel voler sfruttare l'occasione per diventare il primo partner petrolifero libico), alla possibilità di affermare la propria sovranità, alla sua immagine sia nei confronti delle grandi potenze che verso i Paesi del terzo e quarto mondo.
Chissà che alla base di questa ennesima 'svolta' non vi siano dei meri calcoli personali: sfruttare l'opportunità che si presenta (la guerra) per allontanare per qualche altro mese la fine del governo e della maggioranza e prolungarne l'agonia.

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