Decisamente la guerra in Libia non è la guerra del pensiero unico. Tante posizioni si accavallano e si fronteggiano intersecando trasversalmente destra e sinistra. Persino Enrico Mentana, un giornalista certamente non antagonista sul canale della Telecom, La7, contesta le ragioni ufficiali ed evidenzia le contraddizioni dell'intervento. La maggioranza di destra, che non ha mai fiatato di fronte alla guerra in Iraq e che continua a sostenere la sanguinosa, dolorosa, inutile e costosa (in termini di vite umane anzitutto ma anche di soldi) occupazione dell'Afghanistan, si divide tra chi è scopertamente contrario, la Lega, e chi fa finta di essere d'accordo, i berluscones.
Ci sono i pacifisti veri come Gino Strada che coerentemente, come hanno sempre fatto, contestano le azioni militari ma che nel contempo non hanno alcuna indulgenza nei confronti di Gheddafi.
Ci sono gli interventisti 'atlantisti' senza se e senza ma, con alla testa Napolitano: il grosso del PD, di IDV, del Terzo Polo di Rutelli, Fini e Casini. Per loro nessun dubbio sulla legittimità della risoluzione dell'Onu, nessun dubbio che i bombardamenti fossero l'unico modo per impedire il massacro dei ribelli libici (e che questi siano l'espressione di uno spontaneo e sincero moto democratico) da parte del regime di Gheddafi, la certezza che non sia stato violato, per l'ennesima volta, l'articolo 11 della Costituzione ed il trattato di amicizia, recentemente approvato, tra l'Italia e la Grande Giamahiria, nessun timore che le armi occidentali possano uccidere più civili di quanto avrebbe potuto fare lo stesso dittatore libico e sulle nefaste e durature conseguenze dei missili all'uranio impoverito.
Brandelli di ciò che rimane del popolo della sinistra prova a dire no contemporaneamente alla guerra e a Gheddafi, dolorosamente e intimamente lacerato tra la convinzione della necessità di impedire la rappresaglia del regime e la consapevolezza della strumentalità dell'intervento: perché non si sono perseguiti come si doveva e con la necessaria tempestività adeguati tentativi di soluzione diplomatica del conflitto, perché l'azione riguarda come d'abitudine un paese produttore di petrolio, con tutti gli appetiti e gli interessi che da esso conseguono, trascurando situazioni altrettanto o ancora più drammatiche (la Palestina), per l'orrore che suscitano bombardamenti massicci e sproporzionati. Sono sentimenti che trovano in qualche modo spazio nel Manifesto (ma non i tutti i suoi esponenti di punta), nella SEL di Vendola e nella Fds di Ferrero.
C'è infine quella strana e composita congerie, fatta di persone in buona e cattiva fede, che difende Gheddafi più che opporsi alla guerra. Ci sono Feltri, Belpietro e Sallusti, comprende antagonisti vecchi e nuovi, nostalgici dello stalinismo, trova credito soprattutto nell'opinione pubblica di destra e della Lega. Contesta anzitutto la legittimità dell'intromissione negli affari interni di uno Stato sovrano, le sue ragioni pro-Gheddafi traggono origine o dal fatto di considerarlo (immeritatamente) simbolo dell'anti-americanismo, dell'anti-colonialismo e dell'anti-sionismo (che in realtà nasconde in alcuni sostenitori di queste posizioni un deciso anti-semitismo) oppure per l'influenza economica che esso ha esercitato ed esercita in Italia e per il ruolo svolto nel controllo dei flussi migratori. Ammontano a 7 miliardi di euro le attività finanziarie in Italia controllate dall'ex (?) amico e socio in affari di Berlusconi 'congelate' a seguito delle deliberazioni dell'ONU. Un potere finanziario che è stato usato come pretesto (con la complicità libica?) per la defenestrazione da Unicredit di Profumo, banchiere non gradito al governo in carica, che è maledettamente essenziale per la sopravvivenza di tante nostre grandi imprese, che ha puntellato il potere economico e politico di Berlusconi, che ha potuto comprare chissà quante coscienze di neo-pacifisti.
Per costoro sembra non esservi spazio per l'umana pietà: non vi è l'auspicio del rafforzamento e la democratizzazione dell'Onu che possa consentirgli di intervenire ovunque (e non solo quando sono in ballo interessi economici) ci siano popolazioni da proteggere e per garantire la pace.
Ossessivamente parlano del petrolio e delle commesse industriali che l'Italia rischia di perdere, sono terrorizzati dai flussi migratori che, esaurito il ruolo di feroce cane da guardia svolto da Gheddafi, si rovesceranno sull'Italia. Come d'abitudine la Lega, che fa parte a pieno titolo di questo schieramento, esprime in modo rozzo e volgare questi argomenti: “Francia e Inghilterra si prendono il petrolio e a noi lasciano i profughi”.
L'arma usata per scoraggiare i profughi è lasciarli in condizioni vergognose a Lampedusa e con essi gli abitanti dell'isola.
In quella che è palesemente una guerra per il petrolio e che appare voluta più da Francia (anche per ragioni di politica interna) e Inghilterra che dagli Stati Uniti per regolare i conti con un vecchio nemico (si ricordi quanto successo nei cieli di Ustica nel 1980) approfittando nel contempo, per avere campo libero, della crisi politica italiana, tesi complottiste e retroscena spopolano come non mai, trovando uno spazio inconsueto nella stampa della destra di governo.
Le rivolte del mondo arabo ed il loro effetto domino sono ad un tempo l'effetto della crisi sistemica del potere imperiale degli USA e l'espressione del loro machiavellico tentativo di riaffermare e riconquistare il proprio dominio sul mondo, Inghilterra e Francia da tempo hanno infiltrato le tribù ribelli della Cirenaica e manovrato e comprato esponenti dissidenti del vecchio regime.
La diatriba tra Italia e Francia sulla guida dell'intervento nasconde palesemente il tentativo del governo Berlusconi di frenare le azioni militari e salvare Gheddafi così importante per il proprio potere.
Francia e Inghilterra ora parlano di una trattativa; sarebbe un bene se riuscisse ad essere protagonista in tal senso, come rivendica Frattini, Berlusconi: non mi provocherebbe disagio se per una volta dovessi riconoscergli un merito e se risultasse decisivo o almeno utile ad una mediazione che consenta di arrivare al cessate il fuoco ed alla pace tra le fazioni in lotta.
Se, come è probabile, è del tutto inadeguato, per capacità e credibilità, a svolgere tale ruolo, una iniziativa in tal senso venga adottata dai paesi neutrali o sostanzialmente equidistanti: Turchia o Brasile o Sud Africa ad esempio.
L'importante è che, da subito, tacciano le armi.
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