"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

giovedì 2 febbraio 2012

Ricominciamo a discutere di futuro

L'argomento, palesemente subdolo e che denota la volontà di manipolare l'opinione pubblica, con cui Monti e i suoi sostenitori (Scalfari in primis) giustificano i sacrifici, l'aumento delle tasse e la perdita di potere d'acquisto per i cittadini, la rinuncia a garanzie e diritti, è che tutto ciò sia necessario per garantire un futuro migliore all'Italia ed in particolare alle giovani generazioni.
Ancora una volta per costoro non c'è alternativa.
L'unico elemento necessario che deve accompagnare i sacrifici è che tutte le categorie e i ceti sociali vengano 'nominati' (l'equità), non importa poi in che misura e in che proporzione, tant'è che come sempre a pagare di più sono i ceti medio-bassi.
Già il fatto di constatare che chi auspica tali misure sono coloro (professori universitari, giornalisti, politici, industriali) che vivono al caldo dei propri ricchi redditi e patrimoni sarebbe sufficiente a qualificarne la credibilità e le motivazioni tutt'altro che disinteressate che li ispirano (vale sempre, si scusi la volgarità, quanto disse Ricucci: “è facile fare i froci con il culo degli altri”).
Da buon liberale (o liberista?) Mario Monti più volte ha avuto modo di enunciare la propria concezione etica, richiamandosi all'etica della responsabilità da contrapporre all'etica dell'intenzione.
In un editoriale sul Corriere della Sera così affermava:
"In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili."
E nel reseconto sull'Unità di una delle sempre più numerose comparsate televisive:
“Sulle tematiche del mercato del lavoro «vanno quindi certamente garantiti diritti e tutele ma dando pari importanza agli effetti sull'attività. Troppe volte - osserva Monti - si è guardato più all'etica dell'attenzione e meno all'etica della responsabilità e quindi alle conseguenze dirette sui soggetti interessati. Serve invece pragmatismo. Anche il capo dello Stato, del resto, ha sottolineato come la coesione sociale sia un valore anche economico, ma va conseguita con strumenti che non penalizzino la competitività». “

Ricavo da Wikipedia la seguente definizione.
"Max Weber analizzando il rapporto tra etica e politica chiama "etica della convinzione" quella che fa riferimento a valori morali tali che l'azione da questi ispirata possa essere valutata come giusta o ingiusta, senza tener conto delle possibili conseguenze. Questa etica si ritrova in tutte quelle ideologie, politiche o religiose, che esprimono principi assoluti tali che sia impossibile dubitarne così da giustificare un'azione rivoluzionaria o l'obbedienza cieca a degli imperativi. Vi è poi, secondo il sociologo tedesco, l'"etica della responsabilità" che si esprime nella vita sociale dove le conseguenze possibili delle proprie azioni vanno accuratamente valutate in base al principio dell' «agire razionale rispetto allo scopo»”.
Provando a tradurre (in modo terra terra): se si ritiene che gli obiettivi sociali e politici da perseguire siano la piena occupazione, l'eguaglianza, la lotta alla povertà (ma sono questi quelli di Monti?) si può pensare che la via diretta per realizzarli sia porre in essere misure di sostegno ai redditi dei cittadini a carico del bilancio dello Stato, espropriare le aziende private per porle sotto il controllo della collettività o promuovere l'intervento pubblico nell'economia per creare ricchezza e lavoro. Salvo poi, questa è la convinzione di Monti, dover ammettere che ciò conduce all'inefficienza e dunque all'impoverimento generale. Seguendo l'etica della responsabilità al contrario debbono prevalere le conseguenze delle misure adottate: se assicurando un più libero mercato, riducendo il peso dello Stato nell'economia, riducendo le garanzie di cui godono i lavoratori si aumenta il prodotto disponibile per la collettività e dunque si rendono disponibili le risorse che potranno essere redistribuite si realizza la possibilità di ridurre diseguaglianze e povertà.
E' impossibile, credo, negare la ragionevolezza dell'assunto che “le conseguenze possibili delle proprie azioni vanno accuratamente valutate in base al principio dell' «agire razionale rispetto allo scopo»” ma nel merito delle concrete misure adottate (e che si vorrebbero adottare in tema di mercato del lavoro) dal Governo Monti si possono e si devono opporre due obiezioni.
Primo: chi garantisce che l'austerità e l'estensione della libera iniziativa privata assicurano il raggiungimento di una maggiore futura ricchezza nazionale da distribuire a tutti i cittadini? Dobbiamo fidarci di quanto dice Monti insieme a quelli che sono stati i protagonisti di quella deriva liberista che ci ha condotto alla crisi attuale -  la BCE e l'FMI – e che ciò che va fatto è sostanzialmente perpetuare, rafforzandolo o al massimo correggendolo in modo limitato, il modello economico che ha dominato gli ultimi trent'anni della storia italiana e mondiale?
Oppure dobbiamo dare credito a chi chiede delle svolte radicali o quantomeno una riforma del capitalismo in senso keynesiano (attraverso cioè un maggiore intervento pubblico) e per rovesciare i rapporti tra economia reale e finanza?
Secondo: quando si parla del futuro delle giovani generazioni (fermo restando che esiste un presente in cui gli esseri umani non possono essere lasciati senza reddito, senza lavoro, senza servizi sociali) a quale futuro si pensa?
Il mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti è un mondo in cui i valori preminenti siano quelli del profitto, della logica della produzione a cui sottomettere anche la conservazione dell'ambiente, della sottomissione alle regole della finanza, della precarietà assunta a condizione ineludibile della vita, della competizione globale permanente (in una ininterrotta lotta tra popoli e Stati, da combattere senza esclusione di colpi, per la conquista di quote di mercato)?
E' consapevole Monti, siamo consapevoli tutti, che questo è il mondo in cui la lotta per accaparrarsi risorse e mercati conduce inevitabilmente alle guerre, al peggioramento della condizione di vita degli individui, alla distruzione della natura e che costringe milioni di uomini a fuggire nella disperazione dalla propria patria per cercare altrove, nei paesi 'ricchi', i mezzi per sopravvivere?
E' un caso che Monti non citi mai nei suoi discorsi la parola ambiente ed anzi nei provvedimenti del suo Governo si ritrovino la conferma della TAV, la liberalizzazione della gestione delle scorie nucleari e delle ricerche petrolifere anche nelle aree costiere destinate a diventare parchi marini?
Cosa dice Monti dell'esponenziale incremento del consumo di suolo che sta distruggendo il paesaggio italiano (e che fa vittime ogni volta che cade un po' più di pioggia del normale)?
Non è l'ambiente insieme al patrimonio culturale e artistico l'eredità più importante che si deve lasciare alle generazioni future (anche a quella bambina di due anni e mezzo, che come riportato sul sito della Presidenza del Consiglio, avrebbe indicato in nonno Mario 'quello che dice le cose giuste per il futuro'?)
Non è un modello sociale fondato sulla giustizia, sulla umanizzazione dei rapporti economici, sulla disponibilità per tutti gli individui dei beni indispensabili a soddisfare i propri bisogni vitali che derivi anzitutto dalla cooperazione, dalla condivisione e dalla solidarietà e non dalla competizione, sulla qualità della vita che si compone anche di stabilità e di certezze e di armonia con la natura, quello che consente di valorizzare e promuovere al meglio la condizione umana? Non è questo il mondo in cui vorremo vivere e vorremmo che vivessero i nostri figli e nipoti?
Non è ora che i cittadini e la politica, senza firmare cambiali in bianco a quei tecnici che si pretendono neutrali ma che sono espressione del dominio di determinate classi sociali e ben individuati interessi, tornino ad interrogarsi su quale società e quale futuro vogliono costruire e solo dopo, in funzione degli obiettivi che si vogliono perseguire, tornino a discutere di spread, di debito, del rapporto tra intervento pubblico e libero mercato?

Prendo allora un'altra definizione da Wikipedia (Hans Jonas).
"L'etica della responsabilità viene estesa da Hans Jonas nel tempo e nello spazio, nel senso che le nostre azioni vanno valutate per le conseguenze non solo nei confronti dei contemporanei ma anche di coloro che «non sono ancora nati» e verso l'intera biosfera che dobbiamo tutelare dalle nostre compromissioni. Nella sua opera Il principio responsabilità ("Das Prinzip Verantwortung"), edito nel 1979, Jonas esprime il principio cardine di un'etica razionalista applicata in particolare ai temi dell'ecologia e della bioetica. Egli sostiene la necessità di applicare il principio di responsabilità ad ogni gesto dell'uomo che "deve" prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti.
Dopo la crisi della razionalità etica provocata dalle elaborazioni di Friedrich Nietzsche, si registra nel pensiero del XX secolo l'esigenza di restituire l'etica alla plurale concretezza del mondo e della vita, osservando che la ricerca di principi universali condiziona le decisioni e le scelte sull'ambiente, sull'economia, sulla comunicazione e, in sintesi, sulla vita del genere umano. Tale esigenza, che porta ad una ripresa dell'universalismo kantiano e dell'idea di “dovere” quale fondamento della morale, si rinviene nel pensiero e negli scritti di Hans Jonas, teorico dell'"etica della responsabilità", che elabora, così come Weber, un concetto di etica orientata al futuro. Hans Jonas inserisce la propria proposta teorica nel provocatorio progetto della fondazione dell'etica nell'ontologia, in nome della salvaguardia dell'essere e dell'umanità nell'Universo minacciato dalla tecnica, con le sue conseguenze distruttive sul piano planetario. L'imperativo dell'etica della responsabilità viene così kantianamente formulato: "Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana"."


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