L'informazione/divulgazione in materia
energetica segue essenzialmente due grandi filoni: uno
catastrofista-allarmista, l'altro ottimista e fondato sulla fiducia
nel futuro.
Il primo, per ragioni politiche (ad
esempio a sostegno delle tesi ambientaliste e della decrescita) o per
ragioni di business (giustificare l'aumento dei prezzi dei
carburanti, promuovere la costruzione di nuovi impianti, i programmi di
ricerca di nuovi giacimenti, lo sviluppo dei piani nucleari) pone
l'accento sugli elementi di crisi: il progressivo esaurimento della
disponibilità dei combustibili fossili (che è un dato innegabile
anche se non sappiamo quando questi diventeranno effettivamente
insufficienti alle necessità umane), l'inquinamento e i disastri
ecologici (il riscaldamento globale in primis ma si pensi ai numerosi
casi di petrolio riversato in mare da petroliere, da piattaforme
off-shore come nel Golfo del Messico, la situazione tragica del delta
del Niger) sempre più frequenti e devastanti quanto più diventano
estreme le condizioni di ricerca e di estrazione dei combustibili (da
ultimo il prelievo, altamente inquinante e distruttivo, del metano intrappolato nelle rocce), le decisioni strategiche contingenti dei Paesi fornitori (la
Russia di Putin con il suo gas, l'Opec) o le crisi politico-militari
che li riguardano (Libia, Iraq).
Sul versante ottimista e ispirato alla
fiducia nel futuro ci vengono proposte una serie di soluzioni che si
stanno prospettando o realizzando o semplicemente per rimarcare le
occasioni che ancora non siamo riusciti a cogliere: a cominciare da
Rifkin e la sua tesi di un'energia prodotta da una rete di micro
centrali domestiche e immagazzinata in idrogeno,
il solare (decisamente auspicato dal premio Nobel Rubbia),
l'eolico (con la Danimarca che conta di produrre energia entro il 2050 solo da fonti rinnovabili), le coltivazioni in mare di alghe da trasformare in biomasse, il
biogas, la geotermia (indicata come l'oro nascosto nel sottosuolo del sud), le opportunità che possono venire dal risparmio energetico e
dalla razionalizzazione della produzione e dei consumi (in tal senso, per citare solo alcuni esempi, gli impianti di microgenerazione realizzati dalla Volkswagen in grado di produrre
contemporaneamente calore ed energia elettrica e i brevetti, non presi in considerazione in Italia, per conseguire risparmi nei consumi di benzina delle auto).
E' impossibile per i profani riuscire a
districarsi tra tante suggestioni e informazioni (e se i tecnici non
sono in buona fede e sono condizionati dai loro conflitti di
interesse non possono illuminarci al riguardo).
Facendo la tara di quanto viene detto e
scritto, di stime e previsioni, provo a partire allora dalla
direttiva europea emanata nel 2008, a seguito degli accordi di Kyoto,
per la riduzione delle emissioni inquinanti: il piano 20-20-20.
Riduzione del 20 per cento delle emissioni inquinanti, riduzione del
20 per cento dei consumi attraverso interventi di efficienza
energetica, approvvigionamento del 20 per cento del fabbisogno energetico da
fonti rinnovabili.
Pur potendosi presumere che si sia
trattato di un programma prudenziale e frutto di compromessi tra i
vari interessi in campo, il risultato sostanziale atteso è di una
riduzione del 40 per cento del consumo di combustibili fossili. Si
può dunque immaginare che, anche tenendo conto dei progressi
scientifici e tecnologici intervenuti nel frattempo, spingendo
decisamente sull'acceleratore del risparmio energetico e dello
sviluppo delle energie rinnovabili, quel 40 per cento potrebbe
diventare il 60 o l'80 per cento di riduzione dell'utilizzo di fonti
fossili importate che, unito al gas ed al petrolio disponibile sul
nostro territorio, potrebbe fornire al nostro Paese una quasi totale
autosufficienza energetica.
E' da riconoscere che il mondo delle
rinnovabili non è tutto rose e fiori e presenta tutta una serie di
elementi allarmanti: l'intromissione delle mafie e comunque di
speculatori nella realizzazione di impianti solari ed eolici (prendi
gli incentivi e scappa, consumo di terreni agricoli), il pericolo per
il paesaggio costituito dagli impianti eolici, l'aumento dei prezzi
dell'energia almeno nell'immediato per gli utenti finali e la
necessità di ricorrere per lo sviluppo del settore agli incentivi e
alle sovvenzioni statali, l'arretratezza della tecnologia e della
produzione nazionale (che comporta ad esempio di dover importare
dalla Cina larga parte dei pannelli solari utilizzati), il fatto che le imposte sui
combustibili rappresentano una fondamentale entrata fiscale per lo Stato e che pertanto cambiando il 'sistema' andrà rimpiazzata in qualche modo.
Ma nel contempo appaiono troppo
importanti e assolutamente convincenti le ragioni per promuovere
decisamente sullo sviluppo delle rinnovabili: la tutela
dell'ambiente, la riduzione dell'inquinamento e conseguentemente
delle patologie che da esso derivano (con risparmi futuri, pensando
solo alle compatibilità finanziarie, nella spesa sanitaria); il
raggiungimento dell'indipendenza in un settore strategico per
l'economia senza dover più dover essere soggetti alle tensioni e ai
sommovimenti geo-politici così frequenti nel mondo (e sappiamo
quanto il petrolio sia all'origine dei conflitti armati recenti,
senza il petrolio non si comprenderebbe l'intervento militare in Iraq
e in Libia); lo sviluppo di tecnologie, professionalità, imprese,
occupazione; la possibilità di riequilibrare in misura sostanziale
la bilancia dei pagamenti con l'estero; le minori spese che
deriverebbero per il bilancio dello Stato da progressi nell'efficienza energetica degli edifici pubblici; il diventare uno
dei leader mondiali nella produzione di una 'merce' (fatta di
produzione di impianti e di strutture, di know how) esportabile
all'estero, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
E' poi da considerare, e non è
l'ultimo degli argomenti, la democratizzazione in termini sociali ed
economici e dunque politici che si conseguirebbe nel togliere il
controllo del rubinetto dell'energia a pochi soggetti (i petrolieri,
le grandi compagnie elettriche, i paesi fornitori di combustibili)
per trasferirlo nelle mani di una rete diffusa e molteplice di
cittadini ed imprese.
Un così vasto progetto (e peraltro
lo sviluppo delle rinnovabili era uno dei punti fondamentali, sostanzialmente disatteso come molti
altri, del programma che ha consentito ad Obama l'elezione a
Presidente degli Stati Uniti) evidentemente potrebbe essere
realizzato solo all'interno di un grande e complesso piano di
riconversione ecologica dell'economia nazionale per la cui
realizzazione si imporrebbero delle scelte nette per il reperimento
dei necessari mezzi finanziari: con il no alle grandi opere (a
cominciare dalla TAV) e con la fine dello scandalo del CIP6 (gli
incentivi per le rinnovabili pagate in bolletta dai consumatori che
hanno arricchito e arricchiscono, attraverso l'escamotage del termine
'assimilabile', i responsabili di alcune pratiche (l'utilizzo per la
produzione di energia degli scarti della raffinazione del petrolio,
l'incenerimento dei rifiuti non differenziati) che nulla a che fare
con le rinnovabili e con la tutela dell'ambiente e della salute dei
cittadini).
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