Con
la definitiva approvazione della controriforma del lavoro della
ministra Fornero (alias Frignero), improntata ad un marcato sadismo
sociale, giunge a compimento il divorzio dalla storia socialista,
comunista e financo del cattolicesimo sociale dei propri degeneri eredi
del PD che a detto provvedimento hanno garantito il proprio voto.
E
può indurre solo rabbia e sdegno che esponenti di quello stesso
partito (Fassina, Dominici), con la faccia di bronzo che solo i politici possono avere, si
presentino a convegni come quello di Bruxelles "Un'altra strada per l'Europa" dove si auspica una diversa idea
di Europa.
Sulla
natura della controriforma del lavoro e sui suoi effetti deleteri per
la vita dei lavoratori, privati della garanzia del reintegro nel caso di
licenziamento ingiustificato, non dovrebbero esserci più dubbi e nemmeno sull’ideologia della Fignero che arriva ad
affermare che il “lavoro non è un diritto”. A fronte di una
precarizzazione generalizzata del lavoro non sono peraltro nemmeno
giunti, come sbandierato e promesso per giustificare la controriforma,
né miglioramenti delle condizioni salariali e delle garanzie giuridiche
per i precari né l’estensione ed il rafforzamento degli ammortizzatori
sociali (anzi anche sotto questi aspetti si deve registrare un
arretramento).
Con questa legge, con l'inerzia complice con cui è stata affrontata dalle organizzazioni dei lavoratori, cambia anche il ruolo e la funzione del sindacato (o meglio si sanciscono le condizioni giuridiche perché non ci siano alternative a quella che era già una realtà di fatto). Non più rivolto alla difesa e alla conquista di diritti per i lavoratori (varrà per tutti i dipendenti la stessa paura dei precari di potersi mettere in cattiva luce, attraverso scioperi e attività politico-sindacali, nei confronti dei padroni) ma burocrazia di supporto alle dirigenze aziendali. E' evidente che nulla cambierà per i capi del sindacato: come i propri predecessori continueranno a svolgere, almeno per il momento, il potere simbolico di interlocutori dei governi, a gestire i soldi delle tessere e dei finanziamenti pubblici, ad occupare a fine carriera poltrone in qualche ente o istituzione politica o ad acquisire a prezzi di saldo immobili pubblici.
L’unica
consolazione è che, anche alla luce delle alleanze elettorali che vanno
profilandosi, ma che non destano evidentemente sorpresa, con l’accordo PD, UDC e probabilmente Vendola, dovrà essere
finalmente chiaro ciò che è di sinistra e ciò che non è sinistra (e
il più delle volte, parliamo dei tecnici al governo e delle forze politiche e sindacali che
li sostengono, non è nemmeno rispettabile).
Per
cortesia nessuno che si voglia definire di sinistra ci parli più di
primato del mercato, di liberalizzazioni e privatizzazioni che portano ricchezza e progresso al Paese, di flessibilità del lavoro come strumento
indispensabile per offrire opportunità a giovani e meno giovani con
quella stessa propaganda mistificatoria che fin dall’abolizione da parte
di Craxi della scala mobile ha accompagnato nell’ultimo trentennio la fino ad ora vincente lotta di classe da parte dei ricchi contro i ceti medio-bassi.
Basta
con questa favola del mercato quale strumento per il migliore e più
efficiente impiego delle risorse quando il mondo che ci circonda e
l’Italia in cui viviamo vede il blasfemo e folle spreco di tante energie
e creatività giovanili non utilizzate.
Da oggi chi è di sinistra e davvero aspira ad un'alternativa di società si faccia avanti.
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