E'
impresa quasi impossibile riuscire a prefigurare gli scenari che
caratterizzeranno le future elezioni (quali liste, quali candidati,
quali alleanze) senza sapere non solo quando si svolgeranno ma
nemmeno con quale legge elettorale.
Al
momento si possono fare solo ipotesi osservando come si muovono
protagonisti e comparse della scena politica nazionale.
La
legge elettorale è l'ultima arma in mano rimasta alla vecchia
partitocrazia (PD, PDL, Terzo Polo, la maggioranza che sostiene
Monti) per riuscire a conservare la propria presa sullo Stato e sulle
Istituzioni. E' probabile che questi soggetti fossero convinti che
completato il lavoro sporco da parte di Monti potessero comunque
conservare la stragrande maggioranza dei voti espressi e dunque
reiterare l'esperienza del governo di salvezza nazionale o comunque
di un patto di non belligeranza anche nella prossima legislatura (con
annesse spartizioni di poltrone istituzionali). Casini lo ha sempre
detto esplicitamente e il PD ha dimostrato di non voler vincere con
una riedizione dell'Ulivo o dell'Unione (perché, per quanto se ne
possa denunciare l'ambiguità, IDV e SEL e ancora di più
Rifondazione e Comunisti Italiani sarebbero un continuo impaccio di
fronte alla 'necessità' di deliberare inceneritori, gassificatori,
grandi opere, missioni militari all'estero, controriforme del lavoro
e delle pensioni, leggi bavaglio e via discorrendo).
Il
problema (per loro) è che invece hanno subito (nelle amministrative
e nei sondaggi) un tracollo verticale ed oggi forse non totalizzano
tutti insieme (PD, PDL, Terzo Polo) più del 50 per cento dei voti
validi (e se considerassimo anche i dati dell'astensione e le schede
bianche e nulle rappresenterebbero una esigua minoranza dei cittadini
italiani).
Non
hanno tenuto conto dell'esplosione di Grillo e del Movimento 5
Stelle, arrivato nei sondaggi fino al 20 per cento dei voti.
Presumo
che Berlusconi, Bersani e Casini sarebbero orientati ad optare per il
mantenimento dell'attuale legge elettorale per ricompattare gli
elettori sulla (falsa) scelta tra destra e sinistra, tra i 'liberali'
e i 'comunisti', e contemporaneamente mantenere il potere di nominare
deputati e senatori.
Ma
la presenza dell'incognita Grillo al di fuori dei poli, fosse anche
con percentuali molto più basse di quelle oggi stimate, mette in
crisi tutti questi calcoli e gli equilibri tra le coalizioni
concorrenti. Rende più bassa la percentuale dei voti necessari per
vincere le elezioni (e ottenere il premio di maggioranza alla Camera
cioè il 51 per cento dei deputati, decisivi per l'elezione del
Presidente della Repubblica), aprendo la strada a possibili sorprese
e a nuovi partiti e movimenti obbligando le coalizioni per prevalere
a reimbarcare tutti coloro che oggi sono fuori o si vorrebbe far
fuori (Lega, Storace, IDV, SEL, FDS).
D'altro
canto votare con il proporzionale, anche in una versione 'greca' come
si era a suo tempo ipotizzato cioè con un premio di maggioranza per
il primo o i primi partiti, con il 'libera tutti' per gli elettori,
senza più il ricatto delle coalizioni contrapposte e del voto utile,
e stante l'attuale livello di consenso della maggioranza che sostiene
Monti, comporterebbe una quasi inevitabile ingovernabilità e
sicuramente l'impossibilità per la vecchia maggioranza di
controllare come ora gran parte del Parlamento.
E'
una situazione di empasse che colpisce soprattutto il PD prigioniero
della sua strategia: avrebbe la maggioranza solo insieme alla
sinistra ma con questa non può e non vuole governare (anzi per
alcuni il PD non vuole affatto vincere come dimostra il ritardo e
l'ambiguità con cui sta affrontando i temi delle alleanze e della
scelta del candidato premier). E nel contempo sarebbe un errore
considerare la destra in ritirata e sicuramente destinata alla
sconfitta. La sua base elettorale (piccoli imprenditori, partite iva,
sacche sociali che si alimentano nel clientelismo, evasori, corrotti,
collusi con la criminalità, clericali, fascisti e parafascisti) non
è certo venuta meno. Potrà ritrovarsi in Berlusconi che sta
meditando nuovi colpi di teatro (e ha sempre dalla sua il controllo
delle tv) o in nuove forme aggregative o nuovi leader (Montezemolo o
altri e tra questi non è da escludere Marina Berlusconi). Potrà
recuperare l'accordo con la Lega. I temi delle tasse, dell'euro, dei
sacrifici, di equitalia, dei suicidi per la crisi sono i temi che
saranno utilizzati anche dalla destra. E purtroppo gli italiani hanno
memoria corta e cortissima.
Fermo
restando che non sappiamo come evolverà il fondamentale e
determinante scenario futuro europeo (euro e default), sono dunque
partite le grandi manovre per recuperare consensi ai tradizionali
schieramenti. Ciò potrà avvenire riproponendo il teatrino dei due
poli contrapposti, creando liste civiche ad hoc per convogliare su di
essi e depotenziare la protesta antipartiti, tirando fuori dal
cappello qualche nuovo unto dalla Provvidenza. E qualche manina o
manona potrà contribuire per convincere gli elettori disillusi o
riottosi seminando il terrore: dicendoci nuovamente che siamo sul
baratro del fallimento finanziario e che dunque dobbiamo affidarci ai
politici 'responsabili e seri' e non possiamo correre l'avventura di
votare i 'populisti', agitando la minaccia del ritorno del terrorismo
con bombe qua o là o arresti di 'pericolosi' anarchici, trombando i
concorrenti scomodi con qualche inchiestina giudiziaria o
giornalistica ad hoc.
Mentre
IDV e soprattutto SEL di Vendola sono paralizzati nell'attesa delle
mosse del PD, ci sarebbe bisogno e ci sarebbe lo spazio politico per
una proposta autenticamente ed esplicitamente di sinistra. In linea
con quanto avviene in Europa, in Grecia con Syriza e negli altri
Paesi (Francia, Germania) dove il pendolo politico volge nuovamente
verso sinistra, anche se non si tratta il più delle volte di
proposte realmente radicali ma piuttosto in continuità con il
sistema capitalista dominante.
Ma
in Italia, bisogna riconoscerlo, non possiamo aspirare – con il PD
di D'Alema, Ichino, Letta - nemmeno a questo, nemmeno ad un modesto
programma socialdemocratico.
Questa
è l'anomalia italiana: l'assenza di un progetto condiviso e
sostenuto da grandi masse popolari in cui non si abbia paura e
reticenza ad usare la parola sinistra, intendendo con questo un
grande disegno di trasformazione sociale ed economica. Sinistra a cui
non poche 'cose' politiche democratiche e progressiste, più o meno
nuove, non intendono riconoscere significato: le liste civiche, i
movimenti ecologisti, IDV, lo stesso Movimento 5 Stelle. Anche se poi
in qualche modo, nei contenuti, la sinistra tenuta fuori dalla porta
rientra dalla finestra.
Come
scrive l'ottimo Matteo Pucciarelli sembra che gli elettori di
sinistra italiani siano condannati a dover assistere ai successi e
alle avanzate di qualche 'surrogato' progressista (e a dover farselo
bastare).
Quali
sono le cause di questa nostra peculiarità? Si può pensare che la
'tara' italiana sia costituita dall'ingombrante presenza del PD,
partito di sinistra nell'immaginario dei suoi elettori ma espressione
nei fatti della destra economica, dalla mediocrità e dagli egoismi
personalistici dei leader dell'opposizione, dalla forza, senza pari
in Europa, che hanno tutti gli elementi di distorsione del gioco
democratico: lo scarso senso civico dei cittadini e il familismo
amorale, i poteri economici e finanziari italiani e internazionali,
le mafie, il peso della corruzione e dell'evasione fiscale, il
Vaticano?
Queste
riflessioni vanno poi calate nel quadro della evoluzione delle
dinamiche sociali degli ultimi trent’anni che hanno visto la
progressiva perdita di diritti e di forza contrattuale per i
lavoratori, impressionanti trasferimenti di quote di reddito dai
salari ai profitti e alle rendite con il ristagno delle retribuzioni
dei lavoratori dipendenti italiani oggi agli stessi livelli del 1992,
il blocco della mobilità sociale, il peggioramento della qualità e
della estensione del welfare.
Il
governo Monti, con la colpevole e complice inerzia della CGIL della
Camusso telecomandata dal PD, ha ulteriormente infierito sulle classi
sociali più basse passando sopra di esse come un rullo compressore:
con l'austerità che ha aggravato la recessione ed è stata pagata
dai più deboli anzitutto con l'aumento della disoccupazione, con le
controriforme delle pensioni e dell’articolo 18. E altro sangue
dovrà esser tirato fuori per rispondere all’obbligo costituzionale
del pareggio di bilancio, al trattato sul fiscal compact che impone
all’Italia il rientro dal debito a colpi di 40 o 50 miliardi di
euro l’anno, alla spending review.
Il
Movimento Cinque Stelle sta operando una salutare e benefica rottura
del quadro politico, squarciando attraverso un linguaggio netto ed
esplicito il velo delle ipocrisie che copre sempre più a fatica le
responsabilità e la mediocrità delle classi dirigenti –
economiche, burocratiche, partitiche – italiane.
Ma
manca di quell'indispensabile retroterra ideologico e di analisi dei
rapporti di forza economici e del contesto internazionale che
determina le caratteristiche negative del nostro Paese e del mondo
nel suo complesso, di un progetto di società da costruire,
dell'identificazione dei ceti sociali da rappresentare e difendere,
di modalità di organizzazione del movimento e di selezione delle
classi dirigenti realmente trasparenti e democratiche.
Non
mi sembra sufficiente, anche se si tratta evidentemente di cose
indispensabili, attribuire alla partecipazione alla cosa pubblica
attraverso la rete e all'accesso a ruoli di governo di cittadini
onesti le uniche chiavi per cambiare l'attuale stato di cose.
Rimane
allora, a mio avviso, un solo soggetto sociale organizzato che
potrebbe, per il prestigio e la massa critica di aderenti di cui dispone, dare una svolta radicale al quadro politico italiano e garantire
rappresentanza ai ceti subalterni oggi conculcati e abbandonati al
proprio destino: la Fiom.
Al
di là delle colpe e delle complicità dei sindacati è infatti
inutile vagheggiare di scioperi generali o manifestazioni di piazza
quando i lavoratori, per la globalizzazione e la crisi che rende
pieni i magazzini, non hanno più potere contrattuale.
L’unica
risposta di cui potrebbe e dovrebbe farsi protagonista il sindacato è
dunque una risposta politica, dare vita ad una nuova organizzazione che si
presenti alle elezioni per dare voce, senza deleghe, ai ceti
subalterni ed ai lavoratori e difendere i loro interessi.
Storicamente
nell’Ottocento i partiti socialisti sono derivati proprio dal
sindacato quando ci si rese conto che la lotta sindacale non era
sufficiente a difendere i lavoratori in assenza di una rappresentanza
parlamentare.
La
Fiom ha mostrato piena consapevolezza di questo e nel corso del
convegno “Il lavoro prende la parola” Landini ha esposto un
programma che riprende quell'idea di sinistra a cui in tanti non riusciamo a rinunciare e che si compone di giustizia sociale, libertà e diritti civili, laicità, centralità del lavoro, legalità, ambiente, beni comuni, pace.
Se
ora non facesse seguire alle parole i fatti, diventando promotrice di
una grande alleanza per il lavoro proprio ora che sta giungendo a
compimento lo smantellamento dell'articolo 18 e con questo la fine
definitiva del ruolo del sindacato, commetterebbe un errore fatale.
Perderebbe
l'occasione per far nascere una coalizione potenzialmente vincente o
comunque determinante nella politica italiana. Una coalizione che
dovrebbe mettere insieme il progetto di ALBA e cioè il meglio
dell'intellettualità italiana di sinistra, movimenti vecchi e nuovi (e tra questi io vorrei ci fosse anche il Movimento 5 Stelle),
quello che si può recuperare dai vecchi partiti (FDS, SEL, IDV,
Verdi) e la lista civica nazionale (a dire il vero una delle tante di
cui ora si parla) da sempre auspicata da Paolo Flores D'Arcais (a
meno che la funzione di questa lista non sia solo, nella logica del
'Partito di Repubblica' da tanti ipotizzato, quella di supportare e
affiancare il Partito Democratico). Come si dice in questi casi, se non ora quando?
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