La crisi della sinistra è anzitutto
una crisi culturale, è il suo essere spiazzata e resa inattuale dai
sentimenti e dai valori oggi dominanti, è il suo non saper offrire
una prospettiva condivisa e accettata di cambiamento e di governo. I
sentimenti e i valori dominanti sono oggi quelli dell'individualismo
e dell'affermazione personale che si realizzano nel desiderio di
potere e di possesso di beni materiali. Il contesto culturale
dominante è quello che forgia e rafforza questi sentimenti: sta
nella realtà travisata e manipolata dalla narrazione dei principali
media, nell'esistenza ridotta a competizione per la vittoria e il
primato, nei divi miliardari dello sport e dello spettacolo assunti a
miti e modelli da adorare e da imitare, in alcune merci - l'ultimo
gadget elettronico, l'automobile di lusso, il capo firmato, il
viaggio nei luoghi esotici – insieme alle conquiste sessuali da
esibire quali prede e trofei identificate come le uniche cose per cui
vale la pena di vivere. Di fronte a questo quadro di valori il
degrado morale ne è diretta conseguenza: tutto è lecito per
raggiungere il successo e la ricchezza, qualunque persona si può
vendere o comprare. Grillo, Renzi e Berlusconi sono tre varianti
tutte interne a questa cultura e a questo sistema: il loro messaggio
politico comune è che bisogna consentire e facilitare l'affermazione
e il successo individuale e non cambiare il sistema e i rapporti di forza economici e sociali che lo caratterizzano. Combattendo le caste e i privilegi che
impediscono la mobilità sociale o eliminando i lacci e lacciuoli o
le tasse e le regole che si mettono di traverso al pieno dispiegarsi
del 'mercato', della libera impresa, di un preteso 'merito' assunto a
dogma ignorando la realtà delle disuguaglianze.
Di fronte a questa egemonia culturale
dell'individualismo, dell'egoismo personale e di gruppo, al venir
meno del sentirsi parte, con tutti i vincoli e i doveri che ne
conseguono, di comunità più ampie, termini come lotta di classe,
solidarietà, giustizia sociale diventano per la maggioranza, anche e soprattutto dei giovani, parole
vuote o incomprensibili o comunque prive di una reale forza di
seduzione.
La Sinistra dovrebbe allora ripartire
ponendo come propria premessa la felicità ed il diritto alla
felicità perché ciò consente di incunearsi in questo contesto
culturale ed evidenziarne le contraddizioni. Consente cioè di
lavorare su due piani contemporaneamente: quello del concetto di
felicità come 'essere', come ricchezza e completezza delle relazioni
sociali e umane e come possibilità di liberare la propria essenza interiore, anziché come 'avere' e quello del 'bagaglio' minimo
(lavoro, casa, ambiente, servizi sociali, istruzione e cultura) che
deve essere garantito ad ogni essere umano perché possa realizzare
pienamente sè stesso. Felicità dunque che disvela e si riconnette alla
necessità del controllo collettivo sulla produzione e sulla
distribuzione della ricchezza, sulla convenienza a far prevalere il
bene di tutti sul profitto e sull'interesse individuale.
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