Se qualcuno avesse conservato il dubbio o, a seconda dei casi, la speranza che il PD rappresentasse ancora un partito di sinistra, la reazione dei suoi massimi esponenti e dirigenti di fronte all'ignobile e inusitato attacco di Marchionne ai diritti e alla dignità del lavoro, questione che oggi riguarda gli operai della Fiat e domani coinvolgerà tutti gli altri lavoratori, consente di dissipare ogni incertezza.
Ciò che è in ballo, se non lo si fosse capito, è la negazione del diritto di sciopero, di scegliere i propri rappresentanti sindacali, di un contratto nazionale in grado di tutelare i lavoratori di fronte all'arbitrio a cui sarebbero condannati se abbandonati ad una trattativa azienda per azienda o addirittura individuale, sono condizioni e tempi del lavoro.
Ciò che è in ballo è l’idea e il modello di società in cui si crede, se questa debba continuare a fondarsi sulle diseguaglianze e sull’annientamento - anche ideologico, anche morale - dei più deboli, su di una pretesa di sviluppo, che cozza sempre più con la realtà ed i limiti ambientali e sociali, della produzione e del consumo piuttosto che sul perseguimento del benessere della generalità dei cittadini.
A fronte di tutto questo, a fronte della drammaticità delle scelte e dei sacrifici che si impongono agli operai della Fiat nessuna reale garanzia per il futuro, nessuna chiarezza sull’effettiva dimensione degli investimenti e sulle possibilità di successo delle future produzioni (e dell’occupazione) in Italia; il mostrare i muscoli di Marchionne sembra esclusivamente diretto (stante anche l’incidenza limitata, il sette o l’otto per cento, delle retribuzioni dei dipendenti sul costo totale del prodotto auto) a sostenere un mero espansionismo finanziario e la definitiva conquista, quale novello Eroe dei Due Mondi, dell’americana Chrysler.
O la borsa (intesa come speculazione, profitto, stock option) o la vita (quella vera delle persone).
Se tanti esimi commentatori economici non hanno alcun dubbio da che parte stia il bene, la modernizzazione, il progresso senza chiarire perché mai nel Paese dell’evasione fiscale, delle mafie, della corruzione, dei costi esorbitanti della politica, dei sussidi al Vaticano, del clientelismo la prima categoria da colpire, sempre, è quella del lavoro dipendente anche il PD, rinnegando quasi un secolo di storia del PCI di lotta per l'emancipazione dei lavoratori ed il miglioramento delle loro condizioni di vita e financo i principi di quel cattolicesimo sociale che pure è stato l'altro proprio elemento fondativo, si è schierato dalla parte del capitalismo e del liberismo.
Esplicitamente con alcuni suoi importanti esponenti: Fassino, Chiamparino, Renzi (il nuovo del PD!), Ichino. In modo ipocrita e vigliacco negli altri, i D'Alema, i Bersani, i Veltroni, la Finocchiaro, pretendendo di affermare una neutralità che significa solo accettare passivamente il sistema dominante e dunque, in uno scontro come quello in corso, stare dalla parte del più forte.
Dell'esperienza storica del Partito Comunista Italiana, calpestati e dimenticati i sacrifici, i sogni, le speranze di milioni di uomini che hanno creduto nella possibilità e nella necessità di costruire una società migliore e più giusta, restano solo gli errori storici. La disponibilità al compromesso e al disinvolto tatticismo (ieri la svolta di Salerno e l'accettazione del governo Badoglio, il voto nell'Assemblea Costituente a favore del Concordato, l'amnistia ai fascisti), oggi il mancato contrasto a Berlusconi (con la bicamerale, con il mancato intervento sul conflitto di interessi e la rinuncia a definire severe regole antitrust nel sistema televisivo, con l'assicurazione fornita a Berlusconi - confessata da Violante in un intervento parlamentare – di non toccare le sue aziende).
Con l'aggravante che agli statisti del passato, Togliatti e Berlinguer per i comunisti, De Gasperi Moro o Enrico Mattei per il cattolicesimo democratico, si sono sostituiti oggi mediocri e incapaci personaggi.
Se compito della politica è di indicare una strada e di creare le condizioni per poterla percorrere, e per un partito di sinistra raccogliere le forze intorno ad un progetto di cambiamento che persegua giustizia sociale ed eguaglianza, suscita indignazione il pilatismo del PD, l'accettazione supina dello status quo, il non sapere e volere proporre un'alternativa a questa società ingiusta e chinarsi alla dittatura della globalizzazione, della precarizzazione del lavoro, alla messa a repentaglio dell'esistenza di milioni di persone.
E suscita eguale indignazione la passività degli elettori del PD che si sentono e si dichiarano di sinistra ma che continuano a riconoscersi, senza ribellarsi e scandalizzarsi, in questa mostruosità politica.
Dalla relazione della Direzione del PD del 13 gennaio 2011
7. Fiat. La scelta che avverrà in queste ore è da rispettare. Noi teniamo all’investimento per Torino e per l’Italia. L’accordo prevede condizioni nuove non semplici per l’organizzazione del lavoro, ma su queste decideranno i lavoratori.
In questa vicenda ci sono però anche riflessioni ed iniziative che toccano alla politica. A cominciare dalla solitudine estrema in cui si svolge questa scelta che rischia di coinvolgere tutti, mentre il governo o è assente o lavora per favorire soluzioni corporative e arretrate che in altri settori non contribuiscono alla produttività. Basti pensare al ministro della Giustizia che sta facendo fare la riforma delle professioni di fatto agli ordini professionali. Non è giusto che gli sforzi per l’aumento della produttività debbano gravare solo sulle spalle dei lavoratori.
Le regole che derivano da questo accordo non sono inoltre accettabili in termini sistemici. Non è solo questione di Fiat o di Marchionne, è una questione di sistema. Noi dobbiamo introdurre con urgenza nuove regole sulla rappresentanza.
Infine è una vergogna l’assenza di una politica industriale e il silenzio totale del governo: le cose non sono chiare, al di là dell’investimento di Mirafiori, su Fabbrica Italia, su quali siano le condizioni della ricerca Fiat in Italia, su quale sia l’esito di altre scelte, per esempio su Termini Imerese.
La posizione del Pd è dunque netta e chiara. Anche se il Pd non accetta di ridurre la propria linea a una questione di tifoseria. La vicenda Fiat non è il derby Milan-Inter,
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