"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

mercoledì 30 ottobre 2019

Elezioni regionali in Umbria: niente di nuovo sul fronte della Sinistra radicale



Le elezioni in Umbria viste da Luca Peruzzi

Riguardo ai risultati delle elezioni regionali in Umbria esistono specifiche vicende (le dimissioni della giunta piddina a seguito dello scandalo della Sanità) che hanno certamente influito sull’esito delle stesse.
Dopodiché, detto che gli scandali influenzano inesorabilmente i consensi dei partiti cosiddetti progressisti e di centrosinistra ma mai di quelli di centrodestra, dai risultati delle elezioni regionali umbre credo si possano, ancora una volta, trarre alcuni insegnamenti.

Primo. La maggioranza dei votanti oggi richiede un cambiamento radicale del Paese e dunque i partiti che ottengono la maggioranza o che riscuotono i maggiori incrementi percentuali sono quelli che vengono percepiti come i partiti del cambiamento radicale. Poi, come qualcuno ha detto, si può convenire che si tratti di scelte elettorali di disperazione anziché fondate su di una razionale  e consapevole adesione a determinate visioni e progetti politici ma resta, a mio avviso, il dato di fatto: la richiesta di cambiamento radicale. 

sabato 18 agosto 2018

La privatizzazione di Autostrade: ve li ricordate i governi di Centrosinistra?



L'Italia venduta a pezzi by Lupe

In Italia dagli anni novanta in poi sono state attuate politiche che - attraverso le privatizzazioni, la cancellazione del ruolo attivo dello Stato nell’economia, l’attribuzione alla speculazione finanziaria del compito di fornire allo Stato le risorse monetarie necessarie per svolgere le sue funzioni, il “dimagrimento” dello Stato a vantaggio del privato (in base alla menzogna che il privato fosse più efficiente e conveniente per i cittadini a confronto del pubblico), la precarizzazione del lavoro, la progressiva demolizione dei servizi sociali pubblici essenziali (sanità, scuola, pensioni, trasporti, edilizia pubblica), l’ingresso nella gabbia dell’euro e delle regole europee della finanza e della concorrenza senza adeguate contropartite e senza reti di protezione - hanno realizzato il passaggio dall’economia sociale di mercato, prevista dalla Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza antifascista e frutto del compromesso tra comunisti e democristiani, al liberismo selvaggio (senza peraltro intaccare minimamente le incrostazioni della corruzione, delle mafie, del familismo che ammorbano la società e l’economia italiana).
I risultati di queste politiche, nelle condizioni di questo disgraziato Paese, sono ora sotto gli occhi di tutti.
Ma se si dimentica che queste politiche sono state in larga parte guidate e realizzate dai governi di centrosinistra (a cui partecipavano anche Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani), con il silenzio/assenso dei Sindacati complici (ivi compresa la CGIL), non si può capire perché oggi la Sinistra è morta in Italia.

lunedì 16 luglio 2018

È DAVVERO TROPPO CHE NON FACCIAMO OH YEAH!






di giandiego 




o
Per quelli che chiudono i porti … oh yeah!
Per quelli che , pubblicmente e palesemente inneggiano a quelli che chiudono i porti …. oh yeah!
Per quelli che, pubblicamente dileggiano, ma intimamente approvano quelli che chiudono i porti … molti, ma molti oh yeah!
Per quelli si sono adattati, in un modo o nell'altro, a questo modello di mondo, competitivo, crudele, fondato sulla furbizia e sulla legge del più ricco e del più forte … oh yeah!
Per quelli che fanno appelli per gli ultimi del mondo dalla terrazza di Portofino con o senza Rolex, poco c'importa … oh yeah!
Per quelli che misurano le buone intenzioni da un'orologio … oh yeah!
Per quelli che erano comunisti … oh yeah!
Per i moralisti, i bigotti, gli omofobi, i nazionalisti e i sovranisti … oh yeah!
Per quelli che senza L'uomo nuovo come si può fare qualche cosa che sia diverso dal vecchjo? … oh yeah!
Per quelli che sono ancora qui, in fondo, insieme agli ultimi e che per loro non cambia mai nulla … Re, Imperatori, Papi, Presidenti o Duci restano dove sono a spalare fango e a piangere lacrime e sangue … oh yeah!
Per i migranti ricchi che si chiamano turisti e che nessuno sembra accorgersi che si spostino … oh yeah!
Per quelli che sono giovani, Italiani e laureati, intelligenti e forti che se ne vanno, costretti dall'immanenza, lasciandoci qui, soli, con i mediocri … che sono tanti, tanti di più di quei migranti poveri che ci fan tanta paura … ciao ragazzi e oh yeah!





domenica 1 aprile 2018

ECCOCI DI NUOVO ED ANCORA LA RISPOSTA. È QUELLA DI SEMPRE:FARE RETE





di giandiego


Ieri mattina chiacchieravo con un vecchio amico, un intellettuale di spessore internazionale, direttore di rivista culturale (vera). Uomo di pensiero, anche se, forse, un poco troppo cattedratico e sistemico per i miei gusti selvaggi ed ignoranti.
Si parlava di editoria, grande e piccola, sistemica e non e si constatava come il problema di fronte al quale molti si arenano sia e resti La Distribuzione. Settore che diviene pretesto di super sfruttamento per Trangugia et Divora.
Cioè di come essa stia diventando la parte più rivelante e costosa dell'editoria moderna, nelle sue componenti fondamentali come la visibilità e la pubblicità, ma anche solo la reperibilità e la facilità di accesso.
É agghiacciante come, per esempio, qualsiasi velleità di auto-produzione si areni inesorabilmente e definitivamente di fronte a questa problematica, a quanti scrittori anche di valore rimangano al palo, nascosti ed ignorati solo perchè non sistemici, non famosi, non remunerativi., solo perchè sarebbero da seguire ed accompagnare.
Già il libro è merce … e nemmeno fra le più richieste e facilmente vendibili. Non conta il valore intrinseco, ma la vendibilità.
Si discuteva, quindi, di come si potesse sviluppare e vivificare una editoria alternativa. Una editoria che tenga conto dell'essere umano autore, dei suoi diritti … del suo lavoro. Che rispetti la proprietà intellettuale come valore prima che come fonte di business.
Due i sentieri individuati da questa amena discussione. Il primo “il coinvolgimento degli autori nella gestione editoriale”, cioè una via mista fra l'editoria tradizionale e l'auto-produzione che vede gli autori stessi associarsi e fare “editoria di qualità”, percorrendo le strade della cooperazione e del possesso collettivo e cedendo i ruoli organizzativi ad una struttura di servizio che abbia come prime finalità la “cultura popolare” ed i “beni comuni”.
Partendo da un ruolo ed una ridiscussione della figura dell'intellettuale e del produttore d'opera letteraria, piuttosto che musicale. L'intellettuale nel suo ruolo “sociale” e non come divo auto-referente o prodotto da vendere.
Il secondo, ovviamente, non può che riguardare la “distribuzione”. Fare Rete! … ( mi sovviene come a suo tempo con alcuni dei protagonisti chiamati in causa in questa lettera aperta, non solo se ne parlò ma si fondò anche una pagina su Facebook che titolava Fare Network, Fare rete, Fare movimento).
Sono un autore che si “picca” d'esser buono e dire qualche cosa, un Poeta e mi piacerebbe che quel che scrivo “sorgesse” da una esperienza di “diffusione” comune, una piattaforma condivisa che sia il “luogo della letteratura d'alternativa, di base, condivisa e realizzata dal basso”.
Che sia un luogo riconoscibile, conosciuto e di cui si parli. Un Luogo in cui la lettura si riconcilia con il lettore in cui sia facile trovare tutti quei libri che derivano da queste esperienze e che non sia mera “auto-produzione di poche speranze”, ma una proposta reale che abbia attinenza con la verità, con la cultura, con l'alternativa di sistema.
Utopia?
Forse pensare ad una letteratura non di sistema, ad una figura d'intellettuale fuori dal coro eppure “di spessore” è pura follia?
Eppure due Radio Web, che io amo ed un contenitore di notizie che stimo si sono , pur in tempi diversi, posti questo obbiettivo cercando la strada editoriale. Una di loro è il mio attuale editore e con essa collaboro , proprio nell'ottica di quella prima proposta di sviluppo della “nuova editoria”.
Ed allora io, nella mia infinita ignoranza ed ininfluenza mi chiedo
Perchè non cominciare da qui?
Dagli autori, e sono molti, che si dibattono in rete proponendo sé stessi con poche o nulle speranze di successo, pur avendo per le mani prodotti validi e credibili. Da questo epico e coraggioso tentativo delle due radio in questione di fare editoria accarezzando la cultura, la verità, l'onda anti-sistemica … perchè non fare sinergia, non condividere, non creare, per esempio una piattaforma comune di diffusione dell'edito, Una pratica comune di pubblicizzazione, una connessione che non sia mera coltivazione di orticelli, ma un vero colpo di zappa nell'immenso campo della cultura letteraria e musicale … perchè NO?
Scrivo questa mia con l'ovvia speranza di essere letto, nella speranza che succeda qualche cosa che questa antica perorazione Fare Network, Fare Rete, Fare Movimento diventi realtà … Chissà io aspetto e continuo disperatamente a scrivere

mercoledì 14 marzo 2018

Potere al Popolo: un contributo per l'assemblea del 18 marzo




Un commento sulle elezioni del 4 marzo e sulle possibili prospettive future di Potere al Popolo


Il primo inequivocabile dato che è emerso dalle elezioni del 4 marzo è quello della rabbiosa e rancorosa richiesta di cambiamento del popolo italiano. Lega e Cinque Stelle raggiungono insieme circa il 50% dei voti, se ad essi sommiamo altre forze di opposizione radicale o antisistema, di destra e di sinistra che non hanno superato il quorum emerge che la larga maggioranza di chi si è recato alle urne ha espresso questa richiesta. E' il risultato di un Paese da almeno trent'anni in inesorabile declino in cui la macelleria sociale e la cancellazione dei diritti conquistati attraverso decenni di lotte - in contemporanea allo smantellamento della struttura produttiva italiana innescato dalla globalizzazione capitalistica, dai diktat liberisti della UE e dalla partecipazione all'euro - si è innestata su di una struttura politico-burocratico-amministrativa ed imprenditoriale che è restata arretrata, inefficiente, corrotta, impregnata di familismo, collusa assai frequentemente con le mafie. E' sufficiente, ahimé, girare in questi giorni per le strade di Roma devastate dalle buche per qualche giornata di neve e pioggia, pensare alle condizioni delle zone terremotate del centro Italia tormentate dalla neve e dal gelo, trovarsi nel girone infernale di un Pronto Soccorso o alle prese con le bibliche liste di attesa delle prestazioni sanitarie pubbliche per toccare con mano la realtà di un Paese che non è più in grado di far fronte nemmeno alle sue funzioni e necessità fondamentali. La condizione reale del Paese è quella che emerge da tutti gli indici statistici: milioni e milioni di persone sotto la soglia di povertà e che hanno dovuto rinunciare a curarsi, disoccupazione, precariato, invecchiamento, mortalità e nuovi nati, abbandoni scolastici e universitari, mezzogiorno, deindustrializzazione delocalizzazioni e shopping di aziende nazionali da parte di soggetti stranieri e si potrebbe andare avanti a lungo. Rispetto a questa drammatica condizione reale non vengono più accettate le vecchie rappresentazioni e narrazioni politiche: centro sinistra e centro destra, la promessa che stiamo uscendo dalla crisi per uno zero virgola in più qui o li, che abbiamo bisogno di più Europa, che l'immigrazione è solo una risorsa e non anche un ulteriore problema sociale, che i problemi si risolvono con i bonus o tagliando qualche tassa. Da qui la crisi irreversibile della “vecchia” politica del Partito Democratico di Renzi (ma anche dei trasfughi di D'Alema e Bersani) e di Forza Italia di Berlusconi. Questo ce l'avevano detto anche le elezioni amministrative degli ultimi anni e soprattutto il referendum costituzionale del dicembre 2016 (nel quale è stato determinante il ruolo di Lega e 5 Stelle) laddove i cittadini avevano rifiutato esplicitamente la “normalizzazione” istituzionale in coerenza con la struttura del “sistema”, propagandata come indispensabile dall'establishment politico-economico e dal mainstream informativo. Da qui il fatto che la disperazione montante faccia sì che ci si aggrappi a qualunque promessa di cambiamento. Se vogliamo anche il 40% di Renzi alle Europee del 2014 poteva essere letto così: la percezione del cambiamento attraverso un tangibile provvedimento, ancorché inefficace e iniquo nell'esclusione proprio dei più poveri, a favore dei lavoratori di livello medio-basso quale il bonus degli 80 euro, la prima concessione sociale dopo anni e anni di macelleria sociale. Dopo sono venuti jobs act, buona scuola e la perpetuazione delle politiche di austerità e dunque il crollo del renzismo.

martedì 23 gennaio 2018

Potere al Popolo: intervista a Viola Carofalo





Ciao Viola anzitutto grazie per la tua disponibilità a questa intervista. Prima domanda: chi è Viola Carofalo? In breve puoi descrivere la tua storia personale e politica? Sarai candidata?

La mia storia politica e personale non è molto diversa da quella di tutti i militanti e gli attivisti di Potere al popolo: non ho un lavoro stabile; nello specifico sono ricercatrice precaria in filosofia all'università; ho militato per anni nei collettivi universitari, nelle occupazioni di spazi da dedicare alle attività sociali in città a fianco dei disoccupati, dei lavoratori e degli immigrati, e ho sempre partecipato ai cosiddetti movimenti “antagonisti”, che avevano come scopo quello di costruire e di proporre un’alternativa a quei cambiamenti della società, che si sono avverati negli ultimi vent'anni.
Per quanto riguarda la candidatura: no, non sarò candidata. Abbiamo dovuto scegliere un capo politico perché questa legge elettorale ce lo ha imposto; la scelta è caduta su di me, e ne sono felice; ma proprio per scardinare la logica personalistica delle elezioni politiche, abbiamo ritenuto opportuno che il capo politico non fosse anche candidato.

La Sinistra di Alternativa manca in Parlamento da dieci anni. Al di là degli errori e dei limiti dei dirigenti della Sinistra Radicale e d'ispirazione Comunista non pensi che ciò sia dipeso soprattutto dalla marginalità che nella cultura diffusa, nel senso comune hanno ormai le istanze di Sinistra? Cioè se parli con i giovani, con i precari, con i disoccupati, con i lavoratori poveri – a causa dell'enorme potere di persuasione esercitato dai media - si percepisce che per la maggioranza di loro questo mondo è l'unico mondo possibile, che non esiste altra strada alla competizione di tutti contro tutti, che le disuguaglianze, i super profitti, le super retribuzioni dei manager e delle star dello sport e dello spettacolo è la normalità. Che interessa di più l'ultimo modello di smartphone o di capo firmato che avere politiche egualitarie ed efficaci per il lavoro o la casa o la salute. E che la soluzione ai loro/nostri problemi non è il controllo collettivo e popolare sull'economia ma, di volta in volta, la guerra ai migranti, ai “vecchi” che con i loro privilegi avrebbero compromesso il futuro dei giovani, alle tasse, al debito pubblico, alle inefficienze e agli sprechi delle istituzioni pubbliche.

Se le cosiddette “istanze di sinistra” sono diventate marginali nella cultura di massa, questo è dipeso piuttosto dalle scelte di quella sinistra politica che negli ultimi anni, purtroppo, non ha fatto altro che rincorrere le scadenze elettorali. Io credo che sia necessario fare una distinzione, a proposito di questo argomento: dobbiamo distinguere, infatti, una rappresentazione delle istanze tradizionalmente di sinistra, che non ha trovato spazio nel discorso politico e massmediatico degli ultimi anni, e un sentimento “di sinistra” che invece accomuna molte persone che sono disposte a mettere tempo ed energie a disposizione, per portare avanti pratiche volte a scardinare il razzismo, il classismo, e insomma l’imbarbarimento che chi ci ha governato, negli ultimi anni (di qualsiasi “colore”) hanno cercato di incoraggiare con le loro scelte politiche. Considerato questo presupposto, è tuttavia vero che tra le classi popolari di questo paese si registra un tasso di rassegnazione enorme, che porta molte persone ad accettare le cose per come stanno. Questo senso di rassegnazione, però, si combatte proponendo pratiche diverse: progetti di mutualismo che oltre a risolvere un problema immediato (l’accesso ai servizi sanitari, il doposcuola, la raccolta di vestiti, o la consulenza legale per il diritto al lavoro), “educhi” quante più persone possibile, a rivendicare i diritti, chiederne di nuovi, e organizzarsi per cambiare realmente le cose, secondo quelle che sono le necessità che possono cambiare da territorio a territorio, da situazione a situazione. Potere al popolo ha proprio questo scopo: rafforzare questo tipo di coraggio, che esiste ma che troppo spesso non trova il il giusto spazio per esprimersi.

domenica 17 dicembre 2017

LA SINISTRA FRASTAGLIATA



(Torno con questo post, su Verità e Democrazia, sperando di essere gradito, dopo essermene allontanato , forse, per troppo tempo)


di giandiego

Di questa sinistra cosparsa, presunta e molto frastagliata mi preoccupa molto di più il dopo, piuttosto che non l'ora e qui. Un dopo elezioni che rischi di divenire un “liberi tutti” ed una debacle di fronte ad un ulteriore fallimento delle “buone intenzioni” e non parlo qui delle scelte di una pseudo sinistra di comodo, nata da propaggini piddine in sola funzione anti-renziana, pronta a ritornare all'ovile allo scattare delle sue dimissioni.
Resto personalmente convinto che il percorso per recuperare un'AreA socialista ed alternativa a questo sistema sia lungo, profondo ed, allo stato, appena accennato. Non credo che, nonostante le diverse gradazioni (alcune delle quali va detto, molto interessanti, sebbene forse fuori tempo massimo) le proposte attualmente in campo possano essere adeguate e definitive.
Il Lavoro da compiere è ancora immane, perchè immane e profondissima, culturale e motivazionale è stata la crisi dell'AreA.
Sono personalmente convinto, opinione per altro condivisa da alcuni componenti della Sinistra Europea che questo giro di giostra si potesse e forse si dovesse saltare, dedicando energie e creatività al lavoro territoriale, culturale e politico, al radicamento, all'affermazione della Via Maestra del Solidarismo, della Mutualità e della Condivisione Orizzontale.
Cercando nelle cose e nelle azionie nell'essere “L'uomo Nuovo” il recupero della credibilità perduta e quel rapporto, fondamentale nell'analisi e nella pratica con quel popolo di cui saremmo interpreti e portavoce e che oggi manca quasi totalmente.
Detto questo comprendo anche le necessità ed i desiderata di un'AreA che vorrebbe trovare, finalmente, una degna rappresentanza.
Non ritengo però che quella individuata con Potere al Popolo la “indicazione definitiva” ma solo una ulteriore ed in fondo un poco disperata risposta ad una contingenza generata per altro dal vizio formale della convinzione che l'elettoralismo sia l'unico campo valido ed importante nel quale un'AreA di Progresso e Civiltà si debba cimentare.
Ritengo invece che sia altra l'esigenza, culturale, politica e spirituale … nonché filosofica ed etica in cui oggi quest'AreA si dibatte.
Non elettoralismo quindi ma radicamento, territorialità e pratica dell'autodifesa e dell'auto-organizzazione popolare.
Dal basso, ma partendo dal basso e non guardandolo dall'alto per prenderne atto e coscienza.
Può sembrare un bisticcio di parole, non lo è, molto si parla di “territorialità” nei progetti e nella “propaganda” di questa nuova sinistra.
Riescono a porla come conditio sine qua persino i nuovi comitati elettorali di Grasso quei “Liberi ed Uguali” in sfondo amaranto, che con la bocca parlano di sinistra mentre “sottotraccia” preparano un futuro di alleanza con Il Neo-Liberismo soft del PD.
Eppure la “territorialità” non è sfizio, ma definizione fondamentale. In questo senso esistono, allo stato, embrioni importanti come Je so pazzo, piuttosto che alcune compagini dei GAP (Gruppi di acquisto popolari) e dei R@P (Rete dell'Auto-organizzazione Popolare) o dell'area associativa e volontaristica che si sono messi in gioco in questo “onesto tentativo” di assalto alla Duma. che forse si sono giocati troppo presto, buttando sul tavolo le proprie carte all'ultima mano trascinati nella mischia dal fallimento dell'operazione Brancaccio.
Il timore è che essi si brucino, nel tentativo, non necessariamente facile, anzi reso complicato dal Sistema Elettorale Nazionale e, soprattutto, Regionale (ricordiamo che per esempio in Lombardia le elezioni rischieranno di essere congiunte), di raccogliere le firme e di guadagnare il consenso necessario per superare gli ostacoli posti, ad arte, per rendere complessa ed incompleta la rappresentanza.
Perchè è il dopo questa consultazione elettorale ad essere veramente importante, cosa farà questa compagine improvvisata, chiamata in campo dalla disperazione di Rifondazione, e della sua area in forte crisi? Come reagirebbe ad un insuccesso, quanto pagherebbe al dazio di un ulteriore fallimento? Cosa faranno i vagabondi dell'AreA che oggi vagano anche nelle paludi del non voto di fronte alla confusione di mille sinistre e nessuna vera alternativa sistemica?
Repetita iuvant dicevano i nostri avi, forse era meglio fermarsi e preparare con lavoro minuto, culturale ed alfabetizzante ed EXTRAPARLAMENTARE (purtroppo siamo a dover spiegare cosa sia davvero il Socialismo)una affermazione fortemente radicata nei territori, municipale e potente, proprio perchè originata da una partecipazione vera, conquistata con le pratiche e con l'essere, sul campo.

Quale in fondo I GAP ed Je so' pazzo in realtà embrionalmente sono, ma che sono ben lungi dall'essere patrimonio comune e metabolizzato dalla compagine che si mette in gioco. Senza parlare per ragioni di assoluto verticismo e strumentalità delle sinistre para-PD che a mio umilissimo ed inutile parere sono dannose persino di più di un'affermazione della destra.

venerdì 9 dicembre 2016

Renzi, il Referendum, il Popolo


Il NO al Referendum secondo Luca Peruzzi
Alcune considerazioni sulla vicenda referendaria e sull'esito del voto che ha visto una grande partecipazione popolare ed uno straordinario 59% di NO alla manomissione della Costituzione.

Gli obiettivi della deforma costituzionale di Renzi. La prima cosa da chiarire è il senso e la direzione del percorso di “riforma istituzionale” promosso da Matteo Renzi accelerando e mettendo in atto quanto avviato su sollecitazione di Giorgio Napolitano all'inizio di questa legislatura (il Presidente della Repubblica che sostituiva al ruolo di Garante della Costituzione quello di manipolatore degli equilibri istituzionali, con la commissione di saggi e l'iniziale progetto di poter modificare la Costituzione scavalcando l'articolo 138 che ne regola le procedure di revisione). Il quadro generale è quello della caduta verticale di credibilità e di legittimazione popolare delle cosiddette Istituzioni democratiche (in Italia come nelle altre “democrazie” liberali dell'Occidente) e contemporaneamente della richiesta ultimativa del Grande Capitale di rimuovere lacci e lacciuoli che ostacolano o impediscono di cogliere pienamente le occasioni di profitto (diritti sociali e dei lavoratori, economia in mano pubblica, difesa dell'ambiente). La risposta dell'Establishment alla crisi della Politica e di consenso dei governi “amici”, tanto più forte quanto più si diffonde la consapevolezza che questi sono unicamente al servizio degli interessi del Potere Economico e non del Bene Comune, si è esplicitata seguendo due direttrici: da un lato utilizzando l'arma della paura (il terrorismo, la guerra, il fallimento finanziario dello Stato) e dall'altro attivando gli strumenti dell'ingegneria costituzionale ed elettorale per restringere gli spazi della rappresentanza democratica in nome della governabilità. Mentre sullo sfondo resta drammaticamente aperta, extrema ratio perché in palese contraddizione con l'ideologia della libertà assicurata solo dai mercati, l'opzione della dittatura poliziesca. In questo contesto il tentativo di Renzi e della sua cricca è stato il tentativo di soddisfare (e utilizzare) le richieste del Grande Capitale per assicurarsi il dominio sull'Italia per i prossimi vent'anni. Il cronoprogramma predisposto da Renzi testimonia la logica del suo disegno: approvazione con referendum della schiforma/deforma costituzionale e subito dopo al voto con l'Italicum per diventare, grazie al premio di maggioranza e all'azzeramento dei contrappesi istituzionali, il Padrone incontrastato del Paese. Un progetto da giocatore d'azzardo che cerca di far saltare il banco e portar via tutta la posta sul tavolo. Ed anche un progetto rispondente ad una logica banditesca in cui si cerca di fregare i vecchi sodali (il Berlusconi del patto del Nazareno) scappando con il bottino senza dividerlo con nessuno. Il Piano B, una volta che l'eventualità della bocciatura della deforma diventava sempre più probabile, era quello di minimizzare la sconfitta attribuendosi comunque il ruolo di forza maggioritaria del "cambiamento". Per raggiungere questi obiettivi Renzi le ha tentate tutte senza rispettare alcun dovere di lealtà istituzionale: la sovrapposizione del ruolo di "Costituente" e di Presidente del Consiglio, il quesito fuorviante sulla scheda referendaria, la data del referendum stabilità in funzione delle proprie opportunità di propaganda, le manovre (assai opache tanto per usare un eufemismo) per conquistare il voto degli italiani all'estero, l'utilizzo della legge di stabilità per acquisire consenso, l'endorsement di giornalacci, vip e dei potenti della Terra, l'occupazione - come nemmeno Berlusconi era riuscito a fare - della Rai e la saturazione delle tv, l'utilizzo di temi spudoratamente populistici (“se vuoi ridurre i politici vota si”) mentre nel contempo si attribuiva il ruolo di argine all'antipolitica e al populismo, l'insulto sistematico ai sostenitori del NO, la prefigurazione (il ricatto) dello scenario minaccioso dell'avvento di barbari, locuste, tecnici, troike e default dello Stato in caso di mancata vittoria del si, la falsa e ipocrita contestazione della Merkel e della Commissione Europea sui vincoli di bilancio. Tutto questo andava a sommarsi all'originario e insanabile vizio d'origine della deforma Napolitano-Renzi-Boschi-Verdini: il fatto di essere stata approvata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale ed in cui alla maggioranza dei voti in Parlamento non corrispondeva nemmeno lontamente una maggioranza di voti nel Paese.

martedì 6 settembre 2016

I 5 Stelle, i Partiti e la Politica


Virginia Raggi by Luca Peruzzi

Per esprimere la mia opinione a proposito della Raggi e delle difficoltà che sta incontrando la giunta romana per diventare operativa faccio due premesse.

La prima. Non ho mai considerato i 5 Stelle come la nuova forma politica in grado di cambiare radicalmente in meglio l'Italia. Contemporaneamente non ho mai considerato i 5 Stelle come i nuovi barbari (o i nuovi fascisti) destinati a completare la distruzione dell'Italia. E non so se fa più ridere o piangere che questa ossessione sia coltivata da chi vota o votava Renzi e Berlusconi o da chi non riesce ad esprimere nemmeno l'uno per cento dell'indignazione che ha per i 5 Stelle nei confronti di chi ci ha condannato alla gabbia dell'austerità liberista e dell'Unione Europea, di chi ha smantellato quel poco di civiltà sociale che avevamo (scuola, pensioni, sanità), di chi galleggia tra mafie e corruzione, di chi ha portato l'Italia in guerra, di chi ha osato progettare la deforma costituzionale (la “svolta autoritaria”) per di più con un parlamento eletto con una legge incostituzionale. I 5 Stelle sono un fenomeno complesso e contraddittorio: in parte incarnazione – nelle forme che possono oggi realizzarsi nel contesto culturale e sociale esistente - del bisogno di ribellione di chi sta in basso contro le élites (ed in questo sta l'aspetto positivo e progressivo dei 5 Stelle), in parte strumento – consapevole o inconsapevole – di “manutenzione” del sistema e di controllo e sedazione della rabbia e della protesta sociale (nella misura in cui non viene messa in discussione l'economia capitalista). Ma ad oggi non avrei esitazioni a votare il Partito di Grillo in un eventuale ballottaggio contro Renzi o chi per lui.


La seconda. Per quelli che sono attualmente i poteri e le risorse a disposizione di un'amministrazione comunale, Roma e i suoi cittadini sopravviveranno anche con una giunta non funzionante. Così come d'altro canto anche una giunta eccellente – con i cordoni della borsa stretti dalle politiche criminali del governo centrale prono ai diktat della UE – non sarebbe in grado di risolvere i problemi di Roma: ridare un senso e un progetto urbanistico alla città, realizzare 100 chilometri di metropolitane, ridurre almeno del 50 per cento la circolazione delle auto private e lo smog che soffoca la città, intervenire in modo significativo sul disagio sociale (diritto alla casa, agli asili nido, ad una istruzione di qualità, al reddito/lavoro, all'assistenza sociale e sanitaria), raggiungere l'obiettivo dei rifiuti zero, garantire per quanto è necessario il decoro della città (la pulizia delle strade, la manutenzione di parchi e giardini, la sistemazione quotidiana delle buche), riattivare iniziative culturali di massa che mancano dai tempi di Renato Nicolini. Stiamo tranquilli: per quanto “pasticcioni” i grillini non potranno mai fare più danni di chi li ha preceduti e cioè le giunte amiche dei palazzinari e delle cricche di mafiacapitale. Certamente i grillini non regaleranno l'ACEA a Caltagirone né favoriranno il consumo di territorio (la speculazione edilizia) più di quanto fatto e deciso in passato.

martedì 24 maggio 2016

Perché a Roma voto il comunista Mustillo





Ciò che ha contraddistinto, negli ultimi decenni, le cosiddette democrazie liberali del cosiddetto libero Occidente è stata la sempre più marcata subordinazione della Politica, quale espressione della volontà generale, al grande potere economico e finanziario, ai Mercati (la speculazione), alle entità tecnocratiche (BCE, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale) che pur prive di una legittimazione democratica e di un mandato popolare sono stati i veri artefici delle scelte di governo che hanno determinato e determinano le nostre vite.
Attraverso l'Unione Europea (in attesa del TTIP che ne renderà inutili larga parte delle funzioni), l'euro, la delocalizzazione delle attività produttive dai Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo, il libero commercio internazionale, la circolazione libera e senza regole dei capitali - la globalizzazione – si è realizzata, di fatto e sul piano del diritto, tale subordinazione.
Gli Stati i cui governi si mettono di traverso o che non sono funzionali al sistema, presidiato da un mastodontico complesso militare (Stati Uniti, Nato, Israele), vengono ridotti all'obbedienza per mezzo della guerra economica (il crollo degli indici di borsa, il crollo del prezzo delle materie prime qualora tali Paesi fondassero la propria esistenza sulla produzione ed esportazione di questi beni, facendo innalzare esponenzialmente i tassi del debito pubblico) oppure sottoposti a manovre destabilizzatrici a volte cruente (il terrorismo, la guerra) a volte fondate su di una martellante e mistificante propaganda mediatica e sull'esplosione di scandali giudiziari creati ad arte o quantomeno ingigantiti nella loro dimensione.
In questo contesto i governi nazionali non possono che limitarsi a percorrere strade e binari preordinati ed i politici sono ridotti a semplici testimonial/venditori di decisioni prese in altre sedi. Non a caso si è coniato il termine di pilota automatico: qualunque partito vada al governo non cambiano (non possono cambiare) gli indirizzi politici fondamentali.

lunedì 18 aprile 2016

Referendum: se tredici milioni di voti vi sembrano pochi


Renzi e le trivelle by Luca Peruzzi
I numeri

Voti per l'abrogazione delle norme sulle trivelle:      13.334.754
Voti di Renzi alle Europee del 2014:                          11.202.231

Sarebbe servito un miracolo per raggiungere il quorum nel referendum sulle trivelle, cioè quel cinquanta per cento più uno necessario a rendere efficace sul piano legislativo la volontà espressa dai cittadini. Un miracolo pensando all'Italia della passività e dell'ignavia ma anche della disperazione e della sfiducia e tenendo conto del mancato accorpamento con le amministrative, della disinformazione profusa a piene mani dai giornalacci e dalle tv di regime a cominciare dalla Rai renziana (certe trasmissioni di Rai 3 in cui si affermava che si votava solo in nove regioni rappresentano veri e propri “casi criminali di scuola”), dal punto di partenza rappresentato dal fatto che ormai 3-4 italiani su 10 non vanno più a votare in qualsivoglia elezione  e sul quale i fautori del No hanno fondato la propria campagna per l'astensione, dalla marginalità sostanziale del tema oggetto del referendum (la proroga automatica alla scadenza delle concessioni già in essere per l'estrazione di gas e petrolio, nei tratti di mare entro le dodici miglia), dal fatto che i cittadini delle regioni che non si affacciano sul mare non si sono sentiti (egoisticamente) coinvolti nella questione. Vale la pena ricordare che per il raggiungimento del quorum (invertendo una tendenza che durava da molti anni) nei referendum del 2011 che riguardavano oltre che l'acqua pubblica anche il nucleare ebbe un impatto fondamentale la tragedia di Fukushima in Giappone verificatasi poco tempo prima. E comunque i referendum sulla questione trivelle erano stati già vinti nel momento in cui, con l'ultima legge di stabilità, il governo Renzi aveva abrogato la possibilità di nuove concessioni entro le 12 miglia proprio per non doversi confrontare con i cittadini su quella sciagurata decisione.

domenica 20 marzo 2016

Il Referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare: dove sono i paladini delle prossime generazioni?


Il PD: il partito dei bugiardi seriali


Il prossimo 17 aprile siamo chiamati a votare nel referendum sulle trivellazioni in mare destinate alla ricerca ed allo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio nei tratti di mare sotto costa.
Ciò su cui andremo “tecnicamente” ad esprimerci riguarda la possibilità che le concessioni attualmente attive per lo sfruttamento di giacimenti di gas e petrolio entro le dodici miglia marine dalla costa possano continuare ad operare anche dopo la scadenza delle concessioni fino all'esaurimento dei giacimenti. Se prevarranno i SI questa possibilità sarà esclusa, se vinceranno i NO o non verrà raggiunto il quorum necessario a rendere validi i referendum (la partecipazione al voto del 50% più uno degli aventi diritto) tale possibilità verrà mantenuta.
E' coinvolto in effetti un piccolo numero di piattaforme estrattive, con un modesto apporto al fabbisogno energetico nazionale e gli effetti del referendum si avrebbero (in base alla durata delle singole concessioni) non prima di cinque o dieci anni: dunque nessun shock petrolifero all'orizzonte e nessuna prospettiva di licenziamenti di massa.
Per capire cosa c'è in ballo (é evidente che il valore simbolico e politico del referendum va ben oltre il quesito in essere) è necessario fare un po' di cronistoria. Tutto nasce con lo Sblocca Italia, la legge con cui Renzi pianifica la devastazione definitiva dell'ambiente con un incontrastato e criminale via libera alla cementificazione, agli inceneritori e alle trivellazioni nei tratti di mare sotto costa.
In soldoni distruggere l'Italia, compromettere la salute dei cittadini, far fallire vitali attività economiche locali (nel turismo, nella pesca, nell'agricoltura) per i profitti di pochi mascherando il tutto con la promessa della crescita del PIL (se va bene qualche frazione decimale in più).