C'è chi ha sempre osteggiato
Berlusconi, prima ancora della discesa in campo nel 1994, fin dagli
anni ottanta durante i quali l'entrata a pieni uniti di questo
personaggio in due ambiti fondamentali in cui si forma e si esprime
la coscienza collettiva della società italiana e la cultura
popolare, le televisioni e il calcio, il legame a doppio filo con il
corrotto Craxi, suo protettore e protetto, l'adesione alla loggia
massonica eversiva P2 di Licio Gelli, avevano mostrato in modo
inconfutabile la sua predisposizione e la sua capacità di corrompere
i costumi morali italiani e di cavalcarne i peggiori, di trasformare
tutto ciò che toccava in oro per sé e le sue aziende e in melma per
la maggioranza dei cittadini.
Eppure, di fronte alle sue dimissioni,
gli oppositori più intransigenti ma più consapevoli a Berlusconi e
al berlusconismo non riescono a gioire: il peggior governo della
storia della Repubblica italiana termina il suo percorso non perché
l'hanno sconfitto, con il voto e la mobilitazione nella società, i
cittadini ma perché così hanno voluto gli speculatori, i cosiddetti
'mercati', le istituzioni finanziarie sovranazionali prive di
legittimazione democratica quali BCE e FMI, Obama, Merkel, Sarkozy
(fino al colpo forse decisivo del crollo del valore di borsa delle
azioni di Mediaset).
All'orizzonte non appare alcuna catarsi
nazionale, non vi sarà una resa dei conti, intesa non come vendetta
ma come realizzazione della giustizia per punire almeno moralmente,
con la riprovazione pubblica e l'esclusione dalle cariche elettive
chi è il responsabile di questo interminabile e terribile ventennio
berlusconiano (ammesso che possa considerarsi effettivamente
concluso). Chi ha dato fuoco alla casa è ora in prima linea nella
guida di coloro che dovrebbero spegnere l'incendio: Fini e Casini per
tanti anni alleati del padrone di Mediaset, D'Alema e Veltroni che
recano su di sé la colpa di non aver fatto approvare quando ne
avevano la possibilità le norme sul conflitto di interessi ed
applicare quelle sull'incompatibilità tra cariche politiche e
titolarità di pubbliche concessioni che avrebbero potuto
disinnescare o almeno ridurre la minaccia berlusconiana, il Vaticano
e la Confindustria che hanno sempre preferito incassare i vantaggi
che garantiva loro il governo delle destre invece di contestarne la
palese violazione dei principi democratici e del dovere di agire per
la realizzazione del bene comune, lo stesso PDL, il partito di
Berlusconi, che è chiamato a sostenere e a definire, in una
posizione tutt'altro che marginale, i contenuti dell'azione del nuovo
governo.
E Super Mario Monti, l'economista
'competente', l'uomo senza macchia e senza paura, il Salvatore
designato della Patria dov'è stato in questo ventennio? Mentre negli
anni del fascismo vi furono professori universitari che rifiutarono
di giurare fedeltà al regime con il coraggio di rispondere solo alla
propria coscienza e senza mettere al primo posto la conservazione del
proprio incarico, Mario Monti ha per lungo tempo condiviso, e
riscosso i relativi dividendi quale la nomina a Commissario europeo,
la filosofia di Berlusconi. Al più ha contestato (e non sempre) a
questo governo alcune decisioni sotto l'aspetto tecnico ma mai negato
la legittimazione democratica e morale, mai denunciato
l'incompatibilità – lui preteso liberale e adoratore della
concorrenza perfetta – tra la posizione di monopolista delle tv ed
il ruolo di capo del governo.
E' sufficiente al riguardo ricordare
alcune affermazioni del professor Mario Monti
“Berlusconi
va ringraziato, perché nel ’94 ci ha salvato dalla Sinistra di
Occhetto aprendo alla rivoluzione liberale.“
a Otto e mezzo
"In Italia, data la maggiore influenza
avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura
liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’opinione
pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla
rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla
rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto,
anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della
competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce
spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso
ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di
recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e
a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’
ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare
ricerca, nel fabbricare automobili."
Mario Monti,
Corriere della Sera, 2 gennaio 2011
Ma il governo Monti, delle larghe
intese e dell'emergenza nazionale, pone altre e ben più importanti
questioni.
La questione della democrazia
anzitutto: la soluzione che è stata adottata non è quella scelta
dal popolo sovrano ma quella imposta, con la sponda complice del
Presidente Napolitano, dai nostri potenti protettori: gli Usa, la
Germania, la Francia, l'Unione Europea, la BCE, l'FMI.
Mi riferisco non alla formula politica
del nuovo governo ma alle scelte che questo farà: e qui non esiste
una pretesa neutralità e imparzialità tecnica, come se si trattasse
di un medico che di fronte ad una determinata patologia ha davanti
solo un tipo di cura o di operazione. Esistono decisioni (se e come
rispondere alle richieste dell'Europa, chi deve pagare il prezzo del
risanamento finanziario, quali interessi e quali ceti sociali vanno
tutelati o danneggiati) che sono tutte politiche e che devono
rispondere, se si crede ancora alla democrazia, alla volontà dei
cittadini.
Come spiega mirabilmente Ida
Dominijanni sul Manifesto, anche se Monti riuscisse nel miracolo di
salvare l'economia italiana con rigore ed equità, l'idea che sia
possibile imporre ad un Paese – prescindendo da ciò che chiedono i
cittadini – le soluzioni 'giuste' rappresenta la negazione della
democrazia, apre una ferita che sarà difficile rimarginare nell'idea
di quel patto di rappresentanza che deve legare le istituzioni ai
cittadini.
E' singolare che a rivendicare la
necessità di rivolgersi al popolo sia stata larga parte della destra
(la Lega, gli ex AN, Ferrara e Feltri) nonostante i sondaggi
elettorali sfavorevoli per la coalizione di Berlusconi (forse perché
sono ancora convinti delle virtù carismatiche del proprio leader e
della sua capacità di colmare lo svantaggio, perché le elezioni
sono funzionali al mantenere certi assetti di potere e una
determinata 'classe dirigente' politica oppure perché confidano in
certi 'trucchetti' in cui è maestra la destra per guadagnare il
consenso anche all'ultimo momento) mentre il centro sinistra, dato
per super favorito, non lo vuole preferendo un periodo di
decantazione forse addirittura fino alla scadenza della legislatura
nel 2013 (evidentemente perché il PD guarda con terrore ad un governo di sinistra
per non perdere il ruolo di interlocutore dei poteri forti).
Di fatto ciò che emerge è quella di
un'Italia trattata come un paese 'bambino', che suscita ilarità e
sorrisi per le sue marachelle (Berlusconi), ma che poi quando esagera
e diventa pericoloso deve essere messo sotto tutela e posto sotto
l'assidua sorveglianza dei più grandi.
E poi quali sono le risposte giuste ed efficaci alla crisi? L'Italia è sotto il ricatto della speculazione, il Presidente
Napolitano ha affermato che non sarebbe stato possibile oggi
affrontare nuove elezioni e l'incertezza che esse avrebbero
determinato, con la sospensione della possibilità per il Governo di
agire nella pienezza dei propri poteri, perché lo Stato deve
richiedere al mercato – da qui all'aprile 2013 – 200 miliardi di
euro per la sottoscrizione di titoli di Stato.
E allora quale soluzione si vuole
adottare per l'Italia? La stessa macelleria sociale imposta da FMI e
Bce alla Grecia senza modificarne affatto la situazione economica ma
anzi peggiorandola?
Dalla crisi dei mutui
subprime, tra il 2007 e il 2008, negli Stati Uniti fino ad arrivare
al panico sui debiti sovrani dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia,
Grecia e Spagna), ciò che si è chiarito e disvelato con disarmante
chiarezza in questi anni è la follia e l’iniquità del capitalismo
finanziario (il turbo capitalismo) dell’ultimo trentennio, quello
del fare i soldi attraverso i soldi e che ha preso il sopravvento
sull'economia reale sopravanzandone di numerose volte la dimensione
quantitativa.
Un periodo
caratterizzato dalla dittatura liberista (quella a cui non c’è
alternativa secondo Margaret Thatcher) attraverso cui – nei paesi
“ricchi” - ampie quote di ricchezza sono state trasferite dai
ceti popolari a quelli parassitari detentori di capitali, con lo
smantellamento del welfare e l’attacco ai diritti dei lavoratori,
dall'ulteriore e tragico impoverimento di gran parte dei paesi poveri
e dalle conseguenti grandi migrazioni di milioni di esseri umani, dalla crisi ambientale e dal
riscaldamento globale, dall’approssimarsi dell’esaurimento delle
risorse naturali (che porta a guerre – a volte combattute con la
pressione delle armi economiche, a volte con gli eserciti – per
accaparrarsi quelle residue).
Ne hanno parlato in tanti e per quanto mi riguarda in modo
esauriente e convincente, solo per citarne alcuni nel panorama
italiano, Giorgio Ruffolo, Giulietto Chiesa, Guido Viale, Guido
Rossi, Luciano Gallino, gli editoriali di Sbilanciamoci e del
Manifesto.
Come reazione a questo mondo e all’incapacità della politica
tradizionale, anche di sinistra, di interpretarlo e di offrire una
prospettiva di trasformazione, sono nati spontaneamente innumerevoli
movimenti e tra questi quello degli indignati che - da New York a Tel Aviv, da
Madrid a Londra - protestano contro la dittatura della finanza; le
tematiche dei no-global sono diventate in qualche modo sentire
comune, a volte addirittura riconosciute – strumentalmente o meno non
importa - dall'establishment finanziario ed economico; un paese come
l’Islanda ha rifiutato di accettare i diktat dell’FMI e ha
cominciato il percorso per costruire, dal basso e con la
partecipazione diretta dei cittadini, una nuova costituzione; in Italia sono stati promossi e sorprendemente vinti, nonostante il boicottaggio mediatico, i referendum popolari fondati sulla filosofia dei beni comuni e della difesa dell'ambiente; la
stessa Chiesa Cattolica si è espressa contro un’economia che non è
al servizio dei bisogni dell’uomo ma esclusivamente delle smanie di
profitto dei capitalisti.
Si è richiamata la necessità che la politica, intesa come
processo attraverso cui i cittadini possono perseguire il bene comune
e scegliere il proprio destino, riprendesse il proprio primato sulla logica dittatoriale dei capitali e dei mercati.
Eppure quando si tratta di venire al dunque, inevitabilmente ed
immancabilmente, ciò che ci viene riproposto è sempre lo stesso
copione e gli stessi interpreti: privatizzazioni, liberalizzazioni,
riduzione del welfare e della spesa pensionistica, dimagrimento dello
Stato, licenziamenti più facili, che gli 'esperti' (i soliti economisti e tecnocrati) pretendono siano
le uniche cose che bisogna fare e si devono fare.
A Monti va certo riconosciuta la conoscenza tecnica (a differenza
di Berlusconi e Tremonti) nella materia finanziaria e monetaria, è
comunque positivo il fatto che le prossime elezioni non saranno
gestite con Berlusconi alla Presidenza del Consiglio (e i suoi uomini
e quelli della Lega nelle condizioni di poter manipolare
l'aggregazione dei risultati elettorali) e che non vedremo più sulle
poltrone di ministro personaggi improbabili e indecenti, ma perché
dovrebbe essergli affidato il compito di ridisegnare completamente
questo nostro Paese, senza una specifico mandato del popolo e solo
potendo contare sulla fiducia (insieme alla debolezza) di una classe
politica completamente priva di credibilità?
Mi sembra che si confonda (Napolitano in primis) la coesione nazionale, l'esistenza di una religione civile fatta di regole e principi condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini con l'inciucio tra le forze politiche che ormai riscuotono la fiducia solo di una piccola parte degli italiani.
Un governo di emergenza avrebbe senso al
massimo con un orizzonte temporale limitato, con il
compito di affrontare le scadenze più prossime relative
all'emissione dei titoli del debito pubblico e garantire la
regolarità delle prossime elezioni – da tenersi al più presto -
con una nuova legge elettorale.
Se Prodi e Padoa Schioppa erano
riusciti a contenere a 37 punti lo spread tra titoli italiani e bund
tedeschi il 'fenomenale' Monti, il Salvatore della Patria da fare Santo subito o almeno Senatore a vita,
potrebbe - non dico fare altrettanto essendo obiettivamente le
condizioni generali assai diverse e ben più difficili – almeno
riuscire, dall'alto della propria competenza tecnica, a limitare i
danni, a riuscire ad ottenere dall'Unione Europea garanzie comuni per i debiti sovrani e la trasformazione della BCE in una Banca centrale con funzioni e prerogative analoghe a quelle di tutti i paesi del mondo.
Ma non sembra questo il mandato che è
stato affidato a Monti che anzi rivendica il compito di realizzare –
questo è il mantra che televisioni e giornali ripetono
ossessivamente - le 'riforme che l'Europa ci chiede'. Ma quali
sarebbero queste riforme, quali sono i privilegi da eliminare che
bloccano l'economia e la società italiana?
Si può pensare ad una seria lotta
contro l'evasione fiscale, le mafie, la corruzione, il potere
parassitario di cricche, caste, mafie, vaticani, burocrazie, di imprese che
prendono i contributi pubblici e poi scappano e che socializzano le
perdite e privatizzano i profitti, con questo Parlamento di nominati,
di inquisiti e corrotti? Si può pensare, in queste condizioni, ad una riduzione delle spese militari, ad
una legge elettorale che ripristini almeno la possibilità per gli
elettori di scegliere i propri rappresentanti, ad una riforma della
giustizia che non garantisca più la sicura impunità agli inquisiti
e riduca i tempi del processo penale e civile, alla riduzione degli
esorbitanti ed inutili costi della politica, ad una riforma fiscale
che redistribuisca a favore dei ceti popolari almeno parte della
ricchezza che è stata loro depredata dalle oligarchie dominanti e
attraverso i meccanismi di un capitalismo finanziario selvaggio?
Oppure i privilegi (e i costi da
eliminare per lo Stato) a cui Monti pensa sono esclusivamente la possibilità di andare in pensione ad una età
utile per consentire ad un lavoratore di godersi serenamente gli
ultimi anni della vita, i servizi sociali come scuola e sanità
pubbliche da rendere ancora più indecenti di come sono già ora, la stabilità del posto di lavoro – rendendo più facili i
licenziamenti - equiparando nell'angoscia della precarietà i vecchi
ai giovani?
Chi si oppone a Monti è chi non vuol
più sentire parlare di crescita (si legga al riguardo ancora una volta Viale), competitività, sviluppo quali
dogmi da professare e feticci da adorare e vuole al contrario
un'organizzazione sociale ed economica fondata sui diritti e la
dignità delle persone, sulla qualità della vita che significa
sicurezza, assistenza, lavoro, reddito, ambiente da tutelare e
proteggere, cultura, istruzione, informazione, opportunità per
coltivare il proprio talento.
Che la crisi italiana sia la risultante
o meno di un complotto, che sia auspicabile il default oppure il
risanamento finanziario e la permanenza nell'euro e nell'Unione
Europea, bisognerebbe riaffermare che i mercati non vanno
tranquillizzati ma messi in condizione di non nuocere o, al più,
ricondotti ad una funzione di efficiente allocazione delle risorse e
non a quella di signori e padroni che determinano le nostre vite.
Il mondo si può ricostruire solo
riconoscendo che il capitalismo, che il potere dei grandi potentati
economici e finanziari e delle multinazionali non è compatibile con la democrazia
e con il bene comune dell'umanità.
C’è infine un ultimo
aspetto da considerare e riguarda le dinamiche italiane tra partiti e
schieramenti.
Un governo di destra (una
destra sobria, tecnocratica, seria … almeno apparentemente) si
sostituisce ad un altro governo di destra (la destra berlusconiana e leghista stracciona,
eversiva, populista).
Assistiamo dunque all'ennesima occasione persa da parte della
sinistra per cambiare l'Italia, sfruttando l'opportunità che si presentava con la sconfitta della destra
berlusconiana.
La sinistra, quella che molti ancora si ostinano a considerare
sinistra (il PD), ha preferito consegnare il Paese ai poteri forti
piuttosto di farsi promotore di un progetto di rinnovamento e di
trasformazione in senso egualitario, ecologista, popolare.
Se da un lato, e questo è positivo, verrà meno l'equivoco che
ancora avvolge il partito di Bersani e D'Alema, palesemente organico
alle oligarchie dominanti, dall’altro si pongono inquietanti
interrogativi per il futuro. Se Monti vincerà la sua sfida (o se i
grandi media riusciranno a farlo credere) ciò che ci aspetta è un
lungo periodo di un nuovo dominio democristiano; se le cose andranno
male (per le condizioni delle finanza
pubblica e soprattutto per la vita delle persone), così come è prevedibile, è probabile che la
protesta popolare possa nuovamente indirizzarsi verso le forze populiste di
destra (Bossi e Berlusconi) 'rigenerate' dalla momentanea lontananza
dal potere.
E' dunque sempre più indispensabile la nascita di una nuova
formazione politica di massa della sinistra che possa offrire un’alternativa
ai ceti sociali svantaggiati e a chi ritiene ineludibile proporre la costruzione di un
nuovo mondo e di una nuova Italia.
I cittadini, i movimenti, i politici, gli intellettuali di
sinistra o che comunque vogliono un'alternativa a questo sistema che
non lo capiscono o che ancora preferiscono racchiudersi nelle
proprie nicchie di potere o di identità ideologica, senza
la disponibilità a far parte di una grande costituente unitaria,
commettono un grave errore di cui pagheremo tutti per lungo tempo le conseguenze.
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