"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

venerdì 18 novembre 2011

All'opposizione del governo Monti. Noi vogliamo un altro mondo.



C'è chi ha sempre osteggiato Berlusconi, prima ancora della discesa in campo nel 1994, fin dagli anni ottanta durante i quali l'entrata a pieni uniti di questo personaggio in due ambiti fondamentali in cui si forma e si esprime la coscienza collettiva della società italiana e la cultura popolare, le televisioni e il calcio, il legame a doppio filo con il corrotto Craxi, suo protettore e protetto, l'adesione alla loggia massonica eversiva P2 di Licio Gelli, avevano mostrato in modo inconfutabile la sua predisposizione e la sua capacità di corrompere i costumi morali italiani e di cavalcarne i peggiori, di trasformare tutto ciò che toccava in oro per sé e le sue aziende e in melma per la maggioranza dei cittadini.
Eppure, di fronte alle sue dimissioni, gli oppositori più intransigenti ma più consapevoli a Berlusconi e al berlusconismo non riescono a gioire: il peggior governo della storia della Repubblica italiana termina il suo percorso non perché l'hanno sconfitto, con il voto e la mobilitazione nella società, i cittadini ma perché così hanno voluto gli speculatori, i cosiddetti 'mercati', le istituzioni finanziarie sovranazionali prive di legittimazione democratica quali BCE e FMI, Obama, Merkel, Sarkozy (fino al colpo forse decisivo del crollo del valore di borsa delle azioni di Mediaset).
All'orizzonte non appare alcuna catarsi nazionale, non vi sarà una resa dei conti, intesa non come vendetta ma come realizzazione della giustizia per punire almeno moralmente, con la riprovazione pubblica e l'esclusione dalle cariche elettive chi è il responsabile di questo interminabile e terribile ventennio berlusconiano (ammesso che possa considerarsi effettivamente concluso). Chi ha dato fuoco alla casa è ora in prima linea nella guida di coloro che dovrebbero spegnere l'incendio: Fini e Casini per tanti anni alleati del padrone di Mediaset, D'Alema e Veltroni che recano su di sé la colpa di non aver fatto approvare quando ne avevano la possibilità le norme sul conflitto di interessi ed applicare quelle sull'incompatibilità tra cariche politiche e titolarità di pubbliche concessioni che avrebbero potuto disinnescare o almeno ridurre la minaccia berlusconiana, il Vaticano e la Confindustria che hanno sempre preferito incassare i vantaggi che garantiva loro il governo delle destre invece di contestarne la palese violazione dei principi democratici e del dovere di agire per la realizzazione del bene comune, lo stesso PDL, il partito di Berlusconi, che è chiamato a sostenere e a definire, in una posizione tutt'altro che marginale, i contenuti dell'azione del nuovo governo.
E Super Mario Monti, l'economista 'competente', l'uomo senza macchia e senza paura, il Salvatore designato della Patria dov'è stato in questo ventennio? Mentre negli anni del fascismo vi furono professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al regime con il coraggio di rispondere solo alla propria coscienza e senza mettere al primo posto la conservazione del proprio incarico, Mario Monti ha per lungo tempo condiviso, e riscosso i relativi dividendi quale la nomina a Commissario europeo, la filosofia di Berlusconi. Al più ha contestato (e non sempre) a questo governo alcune decisioni sotto l'aspetto tecnico ma mai negato la legittimazione democratica e morale, mai denunciato l'incompatibilità – lui preteso liberale e adoratore della concorrenza perfetta – tra la posizione di monopolista delle tv ed il ruolo di capo del governo.

E' sufficiente al riguardo ricordare alcune affermazioni del professor Mario Monti

Berlusconi va ringraziato, perché nel ’94 ci ha salvato dalla Sinistra di Occhetto aprendo alla rivoluzione liberale. a Otto e mezzo
"In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili."

Mario Monti, Corriere della Sera, 2 gennaio 2011
Ma il governo Monti, delle larghe intese e dell'emergenza nazionale, pone altre e ben più importanti questioni.
La questione della democrazia anzitutto: la soluzione che è stata adottata non è quella scelta dal popolo sovrano ma quella imposta, con la sponda complice del Presidente Napolitano, dai nostri potenti protettori: gli Usa, la Germania, la Francia, l'Unione Europea, la BCE, l'FMI.
Mi riferisco non alla formula politica del nuovo governo ma alle scelte che questo farà: e qui non esiste una pretesa neutralità e imparzialità tecnica, come se si trattasse di un medico che di fronte ad una determinata patologia ha davanti solo un tipo di cura o di operazione. Esistono decisioni (se e come rispondere alle richieste dell'Europa, chi deve pagare il prezzo del risanamento finanziario, quali interessi e quali ceti sociali vanno tutelati o danneggiati) che sono tutte politiche e che devono rispondere, se si crede ancora alla democrazia, alla volontà dei cittadini.
Come spiega mirabilmente Ida Dominijanni sul Manifesto, anche se Monti riuscisse nel miracolo di salvare l'economia italiana con rigore ed equità, l'idea che sia possibile imporre ad un Paese – prescindendo da ciò che chiedono i cittadini – le soluzioni 'giuste' rappresenta la negazione della democrazia, apre una ferita che sarà difficile rimarginare nell'idea di quel patto di rappresentanza che deve legare le istituzioni ai cittadini.
E' singolare che a rivendicare la necessità di rivolgersi al popolo sia stata larga parte della destra (la Lega, gli ex AN, Ferrara e Feltri) nonostante i sondaggi elettorali sfavorevoli per la coalizione di Berlusconi (forse perché sono ancora convinti delle virtù carismatiche del proprio leader e della sua capacità di colmare lo svantaggio, perché le elezioni sono funzionali al mantenere certi assetti di potere e una determinata 'classe dirigente' politica oppure perché confidano in certi 'trucchetti' in cui è maestra la destra per guadagnare il consenso anche all'ultimo momento) mentre il centro sinistra, dato per super favorito, non lo vuole preferendo un periodo di decantazione forse addirittura fino alla scadenza della legislatura nel 2013 (evidentemente perché il PD guarda con terrore ad un governo di sinistra per non perdere il ruolo di interlocutore dei poteri forti).
Di fatto ciò che emerge è quella di un'Italia trattata come un paese 'bambino', che suscita ilarità e sorrisi per le sue marachelle (Berlusconi), ma che poi quando esagera e diventa pericoloso deve essere messo sotto tutela e posto sotto l'assidua sorveglianza dei più grandi.

E poi quali sono le risposte giuste ed efficaci alla crisi? L'Italia è sotto il ricatto della speculazione, il Presidente Napolitano ha affermato che non sarebbe stato possibile oggi affrontare nuove elezioni e l'incertezza che esse avrebbero determinato, con la sospensione della possibilità per il Governo di agire nella pienezza dei propri poteri, perché lo Stato deve richiedere al mercato – da qui all'aprile 2013 – 200 miliardi di euro per la sottoscrizione di titoli di Stato.
E allora quale soluzione si vuole adottare per l'Italia? La stessa macelleria sociale imposta da FMI e Bce alla Grecia senza modificarne affatto la situazione economica ma anzi peggiorandola?
Dalla crisi dei mutui subprime, tra il 2007 e il 2008, negli Stati Uniti fino ad arrivare al panico sui debiti sovrani dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), ciò che si è chiarito e disvelato con disarmante chiarezza in questi anni è la follia e l’iniquità del capitalismo finanziario (il turbo capitalismo) dell’ultimo trentennio, quello del fare i soldi attraverso i soldi e che ha preso il sopravvento sull'economia reale sopravanzandone di numerose volte la dimensione quantitativa.
Un periodo caratterizzato dalla dittatura liberista (quella a cui non c’è alternativa secondo Margaret Thatcher) attraverso cui – nei paesi “ricchi” - ampie quote di ricchezza sono state trasferite dai ceti popolari a quelli parassitari detentori di capitali, con lo smantellamento del welfare e l’attacco ai diritti dei lavoratori, dall'ulteriore e tragico impoverimento di gran parte dei paesi poveri e dalle conseguenti grandi migrazioni di milioni di esseri umani, dalla crisi ambientale e dal riscaldamento globale, dall’approssimarsi dell’esaurimento delle risorse naturali (che porta a guerre – a volte combattute con la pressione delle armi economiche, a volte con gli eserciti – per accaparrarsi quelle residue).
Ne hanno parlato in tanti e per quanto mi riguarda in modo esauriente e convincente, solo per citarne alcuni nel panorama italiano, Giorgio Ruffolo, Giulietto Chiesa, Guido Viale, Guido Rossi, Luciano Gallino, gli editoriali di Sbilanciamoci e del Manifesto.

Come reazione a questo mondo e all’incapacità della politica tradizionale, anche di sinistra, di interpretarlo e di offrire una prospettiva di trasformazione, sono nati spontaneamente innumerevoli movimenti e tra questi quello degli indignati che - da New York a Tel Aviv, da Madrid a Londra - protestano contro la dittatura della finanza; le tematiche dei no-global sono diventate in qualche modo sentire comune, a volte addirittura riconosciute – strumentalmente o meno non importa - dall'establishment finanziario ed economico; un paese come l’Islanda ha rifiutato di accettare i diktat dell’FMI e ha cominciato il percorso per costruire, dal basso e con la partecipazione diretta dei cittadini, una nuova costituzione; in Italia sono stati promossi e sorprendemente vinti, nonostante il boicottaggio mediatico, i referendum popolari fondati sulla filosofia dei beni comuni e della difesa dell'ambiente; la stessa Chiesa Cattolica si è espressa contro un’economia che non è al servizio dei bisogni dell’uomo ma esclusivamente delle smanie di profitto dei capitalisti.
Si è richiamata la necessità che la politica, intesa come processo attraverso cui i cittadini possono perseguire il bene comune e scegliere il proprio destino, riprendesse il proprio primato sulla logica dittatoriale dei capitali e dei mercati.
Eppure quando si tratta di venire al dunque, inevitabilmente ed immancabilmente, ciò che ci viene riproposto è sempre lo stesso copione e gli stessi interpreti: privatizzazioni, liberalizzazioni, riduzione del welfare e della spesa pensionistica, dimagrimento dello Stato, licenziamenti più facili, che gli 'esperti' (i soliti economisti e tecnocrati) pretendono siano le uniche cose che bisogna fare e si devono fare.
A Monti va certo riconosciuta la conoscenza tecnica (a differenza di Berlusconi e Tremonti) nella materia finanziaria e monetaria, è comunque positivo il fatto che le prossime elezioni non saranno gestite con Berlusconi alla Presidenza del Consiglio (e i suoi uomini e quelli della Lega nelle condizioni di poter manipolare l'aggregazione dei risultati elettorali) e che non vedremo più sulle poltrone di ministro personaggi improbabili e indecenti, ma perché dovrebbe essergli affidato il compito di ridisegnare completamente questo nostro Paese, senza una specifico mandato del popolo e solo potendo contare sulla fiducia (insieme alla debolezza) di una classe politica completamente priva di credibilità?
Mi sembra che si confonda (Napolitano in primis) la coesione nazionale, l'esistenza di una religione civile fatta di regole e principi condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini con l'inciucio tra le forze politiche che ormai riscuotono la fiducia solo di una piccola parte degli italiani.
Un governo di emergenza avrebbe senso al massimo con un orizzonte temporale limitato, con il compito di affrontare le scadenze più prossime relative all'emissione dei titoli del debito pubblico e garantire la regolarità delle prossime elezioni – da tenersi al più presto - con una nuova legge elettorale.
Se Prodi e Padoa Schioppa erano riusciti a contenere a 37 punti lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi il 'fenomenale' Monti, il Salvatore della Patria da fare Santo subito o almeno Senatore a vita, potrebbe - non dico fare altrettanto essendo obiettivamente le condizioni generali assai diverse e ben più difficili – almeno riuscire, dall'alto della propria competenza tecnica, a limitare i danni, a riuscire ad ottenere dall'Unione Europea garanzie comuni per i debiti sovrani e la trasformazione della BCE in una Banca centrale con funzioni e prerogative analoghe a quelle di tutti i paesi del mondo.
Ma non sembra questo il mandato che è stato affidato a Monti che anzi rivendica il compito di realizzare – questo è il mantra che televisioni e giornali ripetono ossessivamente - le 'riforme che l'Europa ci chiede'. Ma quali sarebbero queste riforme, quali sono i privilegi da eliminare che bloccano l'economia e la società italiana?
Si può pensare ad una seria lotta contro l'evasione fiscale, le mafie, la corruzione, il potere parassitario di cricche, caste, mafie, vaticani, burocrazie, di imprese che prendono i contributi pubblici e poi scappano e che socializzano le perdite e privatizzano i profitti, con questo Parlamento di nominati, di inquisiti e corrotti? Si può pensare, in queste condizioni, ad una riduzione delle spese militari, ad una legge elettorale che ripristini almeno la possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti, ad una riforma della giustizia che non garantisca più la sicura impunità agli inquisiti e riduca i tempi del processo penale e civile, alla riduzione degli esorbitanti ed inutili costi della politica, ad una riforma fiscale che redistribuisca a favore dei ceti popolari almeno parte della ricchezza che è stata loro depredata dalle oligarchie dominanti e attraverso i meccanismi di un capitalismo finanziario selvaggio?
Oppure i privilegi (e i costi da eliminare per lo Stato) a cui Monti pensa sono esclusivamente la possibilità di andare in pensione ad una età utile per consentire ad un lavoratore di godersi serenamente gli ultimi anni della vita, i servizi sociali come scuola e sanità pubbliche da rendere ancora più indecenti di come sono già ora, la stabilità del posto di lavoro – rendendo più facili i licenziamenti - equiparando nell'angoscia della precarietà i vecchi ai giovani?

Chi si oppone a Monti è chi non vuol più sentire parlare di crescita (si legga al riguardo ancora una volta Viale), competitività, sviluppo quali dogmi da professare e feticci da adorare e vuole al contrario un'organizzazione sociale ed economica fondata sui diritti e la dignità delle persone, sulla qualità della vita che significa sicurezza, assistenza, lavoro, reddito, ambiente da tutelare e proteggere, cultura, istruzione, informazione, opportunità per coltivare il proprio talento.
Che la crisi italiana sia la risultante o meno di un complotto, che sia auspicabile il default oppure il risanamento finanziario e la permanenza nell'euro e nell'Unione Europea, bisognerebbe riaffermare che i mercati non vanno tranquillizzati ma messi in condizione di non nuocere o, al più, ricondotti ad una funzione di efficiente allocazione delle risorse e non a quella di signori e padroni che determinano le nostre vite.
Il mondo si può ricostruire solo riconoscendo che il capitalismo, che il potere dei grandi potentati economici e finanziari e delle multinazionali non è compatibile con la democrazia e con il bene comune dell'umanità.

C’è infine un ultimo aspetto da considerare e riguarda le dinamiche italiane tra partiti e schieramenti.
Un governo di destra (una destra sobria, tecnocratica, seria … almeno apparentemente) si sostituisce ad un altro governo di destra (la destra berlusconiana e leghista stracciona, eversiva, populista).
Assistiamo dunque all'ennesima occasione persa da parte della sinistra per cambiare l'Italia, sfruttando l'opportunità che si presentava con la sconfitta della destra berlusconiana.
La sinistra, quella che molti ancora si ostinano a considerare sinistra (il PD), ha preferito consegnare il Paese ai poteri forti piuttosto di farsi promotore di un progetto di rinnovamento e di trasformazione in senso egualitario, ecologista, popolare.
Se da un lato, e questo è positivo, verrà meno l'equivoco che ancora avvolge il partito di Bersani e D'Alema, palesemente organico alle oligarchie dominanti, dall’altro si pongono inquietanti interrogativi per il futuro. Se Monti vincerà la sua sfida (o se i grandi media riusciranno a farlo credere) ciò che ci aspetta è un lungo periodo di un nuovo dominio democristiano; se le cose andranno male (per le condizioni delle finanza pubblica e soprattutto per la vita delle persone), così come è prevedibile, è probabile che la protesta popolare possa nuovamente indirizzarsi verso le forze populiste di destra (Bossi e Berlusconi) 'rigenerate' dalla momentanea lontananza dal potere.
E' dunque sempre più indispensabile la nascita di una nuova formazione politica di massa della sinistra che possa offrire un’alternativa ai ceti sociali svantaggiati e a chi ritiene ineludibile proporre la costruzione di un nuovo mondo e di una nuova Italia.
I cittadini, i movimenti, i politici, gli intellettuali di sinistra o che comunque vogliono un'alternativa a questo sistema che non lo capiscono o che ancora preferiscono racchiudersi nelle proprie nicchie di potere o di identità ideologica, senza la disponibilità a far parte di una grande costituente unitaria, commettono un grave errore di cui pagheremo tutti per lungo tempo le conseguenze.

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