Da un lato i fautori del default
italiano, convinti che l'uscita dall'euro e il disfacimento
dell'Unione europea darà l'avvio ad una gloriosa rivoluzione
comunista e alla riconquista della sovranità nazionale, senza
nemmeno prendere in considerazione le conseguenze che la paralisi
temporanea dell'economia (fallimento di banche e aziende)
determinerebbe per la vita delle persone, il rischio che il caos
favorisca la secessione di parti del Paese o un colpo di stato
militare, il fatto che il giorno seguente la bancarotta si dovrà
ricominciare ad acquistare all'estero, con una moneta svalutata
rispetto all'euro, petrolio, materie prime, tecnologie, grano,
medicine. Nessun timore che l'Italia ed ogni Paese europeo lasciato
in balia di se stesso cada nell'abisso di nuovi fascismi o diventi
teatro di guerra, in senso figurato e non figurato, tra vecchie (USA)
e nuove potenze (BRIC). Stranamente si tratta della stessa soluzione,
l'uscita dall'euro, sempre auspicata dalla Lega (si legga questa intervista del 2005 a Maroni).
Dall'altro i pasdaran e gli ultras, con
alla testa Giorgio Napolitano, della Bce e dell'Fmi la cui unica
preoccupazione, a costo di qualunque macelleria sociale, è quella di
rassicurare l'Europa, i mercati, la speculazione offrendo loro
sacrifici umani (la distruzione del welfare e i diritti dei
lavoratori) per placarli e ingraziarseli. Sono coloro che inseguono
una crescita del pil impossibile (e comunque non desiderabile) in un
mondo saturo di merci e di risorse naturali in esaurimento, per di
più con la contraddizione rappresentata dalla pretesa di farlo
riducendo i redditi reali delle persone che dovrebbero acquistare e
consumare.
Il tutto con un governo, quello di Lega
e PDL, screditato e incapace che ci costa per il solo fatto di essere
ancora in carica, in termini del differenziale dei tassi di interesse
che penalizza i titoli del debito pubblico italiano, miliardi di euro
all'anno. E con il sospetto, mica tanto campato in aria, che il
fallimento dell'Italia a Lega, Berlusconi, mafie, esportatori di
capitali all'estero non dispiacerebbe affatto. In ogni caso un governo privo di ogni autorevolezza e composto da dilettanti allo sbaraglio per negoziare alcunché con l'Europa.
Eppure in mezzo a questi due estremi ci
sarebbero tante cose che si potrebbero fare per risolvere la crisi
senza farla pagare ai ceti popolari: l'audit del debito per
verificarne la reale entità e legittimità, ridurre l'esposizione verso l'estero e riportare il massimo possibile dei titoli di stato nei portafogli dei risparmiatori italiani, la nazionalizzazione
delle banche, la patrimoniale (nella versione Modiano cento o
duecento miliardi per ridurre immediatamente il debito), il
ripristino dell'imposta di successione, un'imposizione straordinaria
sui capitali già rientrati dall'estero grazie allo scudo fiscale e che hanno pagato una sanzione risibile, la tassazione delle transazioni
finanziarie, la lotta all'evasione fiscale, agli sprechi della
pubblica amministrazione, alla corruzione, ai costi della casta, la
riduzione delle spese militari e dei privilegi elargiti al Vaticano,
norme davvero efficaci per la confisca dei patrimoni frutto di
attività criminali, la cancellazione di grandi opere inutili come il
Tav, i risparmi di spesa - sanitaria, sociale, della protezione civile - che deriverebbero dalla prevenzione delle catastrofi naturali, degli infortuni sul lavoro, degli incidenti stradali, dalla riduzione dell'inquinamento.
Nunzia Penelope nel libro “Soldi
rubati” ha fatto un po' di conti e ha stimato in diverse centinaia di miliardi
di euro le risorse che ogni anno vengono sottratti alla collettività.
Basterebbe recuperarne il dieci per cento all'anno per risolvere
gran parte dei nostri problemi, per rendere sopportabile il debito e
sviluppare e migliorare lo stato sociale e la vita dei cittadini.
E' come se vivessimo in un palazzo che
sta crollando, aspettando e accettando passivamente il corso degli
eventi. Qualcuno spera che sarà il collasso dell'edificio a
spingerci a cambiare le cose, ma il punto è di riuscire a prendere
coscienza di ciò che sta accadendo e di come impedirlo. Se non ne
saremo capaci, non cambierà nulla nemmeno dopo la catastrofe, se
prevarrà la razionalità e la consapevolezza potremo da subito, evitando morti e feriti,
puntellare e mettere in sicurezza la casa o, se necessario,
ricostruirla ex novo.
La soluzione allora non è il default
oppure obbedire ai diktat interessati (le banche francesi e tedesche
sono le più a rischio per l'entità dei crediti nei confronti dei PIGS) del duo Merkel –
Sarkozy ma che gli italiani si sveglino e impongano finalmente una
gestione della cosa pubblica onesta e corretta, rispettosa del bene
comune.
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