"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

sabato 15 novembre 2014

PODEMOS: “NOI SIAMO QUI PER CREARE UN POPOLO”


Rispetto al tentativo di comprendere la natura di Podemos, il movimento politico spagnolo - un po' simile ai Cinque Stelle, un po' a Syriza - nato dalle mobilitazioni degli Indignados ed oggi proiettato dai sondaggi come uno dei primi se non il primo partito spagnolo, c'è una frase, tratta dall'articolo di Samuele Mazzolini dal Fatto Quotidiano che di seguito riporto, particolarmente stimolante e che comunque coglie, a mio avviso, il nocciolo di ciò che dovrebbe significare ricostruire la Sinistra (in Spagna, in Italia, ovunque): "Noi siamo qui per creare un popolo". Cioè ridare consapevolezza e coscienza di sé alle masse popolari, ricostituire un'egemonia culturale dell'uguaglianza e della liberazione dal bisogno rovesciando la dittatura del pensiero unico liberista e capitalista per il quale non esiste alternativa al primato del profitto, alla competizione ed alla guerra sociale di tutti contro tutti, alla inevitabilità della sofferenza per la stragrande maggioranza delle persone. Qualcosa che non contraddice necessariamente ma va ben oltre gli slogan sovranisti e di uscita dall'euro (utilizzati infatti largamente anche dalle destre).
Costruire un 'Soggetto Politico Nuovo' (che sorga dalle iniziative politiche e sociali di base già esistenti e con forme originali di organizzazione e di linguaggio) e non unire pezzi di ceto politico dei Partiti di Sinistra è qualcosa che abbiamo ascoltato tante volte (con ALBA, Cambiare si può, la Lista Tsipras). Di fatto in Italia è mancata fin qui una mobilitazione popolare spontanea e di massa (come in Grecia nelle lotte contro la Troika, come in Spagna con gli Indignados) che abbia fatto emergere un popolo per il quale e con il quale costruire un'Alternativa Politica. E così goffamente in Italia si sono sostituiti, quali promotori della ricostruzione del Partito Nuovo, i pezzi di ceto politico con pezzi di ceto intellettuale (di Repubblica, del Manifesto, dei movimento dei Beni Comuni) senza mai riuscire ad ottenere una esplicita e manifesta identificazione da parte delle masse popolari.


In questo senso, in vista della identificazione di un popolo che prenda coscienza della necessità di costruire una società diversa fondata sulla giustizia sociale e sull'uguaglianza, appare molto importante, pur con tutte le cautele del caso, la mobilitazione e le lotte che hanno cominciato ad attivare la Fiom di Maurizio Landini e la CGIL (e per le quali già agiscono con una propria originalità ed autonomia i sindacati di base). L'obiettivo deve essere quello di rendere evidente che le persone non vogliono (o non gli bastano) gli 80 euro di Renzi ma vogliono strategie economiche e industriali pubbliche, redistribuzione della ricchezza, reddito di cittadinanza, riduzione dell'orario di lavoro, rinascita di un welfare degno di questo nome.
In Italia di fronte ad un processo sociale e culturale e sociale che è appena all'inizio e che si scontra con le sue particolarità storiche, di fronte alla minaccia letale alla Democrazia e a ciò che resta di 'pubblico' da parte del Renzusconi, diventa dunque indispensabile, per chi abbia già la consapevolezza di quale e quanta strada sia da percorrere, trovare delle forme unitarie di organizzazione politica che sia possibile con raziocinio rendere immediatamente operative senza indulgere nell'attesa di ciò che ancora non c'è. E dunque l'elezione della Costituente di un Partito Unitario della Sinistra Radicale, pluralista e non settario, visibile anche grazie ad un proprio simbolo e a portavoce efficaci, presente sul territorio e nelle lotte sociali e ambientali, capace di un linguaggio popolare. Se in Spagna Podemos e Izquierda Unida convivono e collaborano perché non dovremmo provare anche in Italia a percorrere strade diverse ma che convergono tutte verso la stessa meta?

Spagna: l’enigma Podemos, quando la sinistra si reinventa e vince

di Samuele Mazzolini da Il Fatto Quotidiano
Per comprendere la natura di Podemos, può essere utile partire dal disarmante statement politico che ho ascoltato durante un evento organizzato a Londra nel mese di settembre: “Ci domandano se vogliamo unire la sinistra – apriva retoricamente Íñigo Errejón, stratega politico del partito, seguito da un attento Ken Loach – La nostra risposta è no. Noi siamo qui per creare un popolo”. Altro che costituenti e rifondazioni. Altro che geometrie elettorali per mettere insieme partitini, sette e famiglie politiche. Podemos punta in alto, mettendo a soqquadro le coordinate della sinistra europea, sconvolgendone i metodi, rivoluzionandone linguaggio e militanza. A cominciare dagli intenti.
Nato solo a gennaio di quest’anno, Podemos ha ottenuto un inatteso 8% dei consensi alle elezioni europee dando vita a un’incessante spirale mediatica che ha proiettato gli eredi degli Indignados persino al di sopra dei due maggiori partiti, quello socialista e quello popolare, secondo un recente sondaggio commissionato da El País. Vista attraverso i frettolosi ragguagli della stampa italiana, questa esperienza politica rimane un enigma inspiegabile, la storia di un successo esotico spiazzante e lontano. Presso la sinistra di casa nostra poi, il dramma dell’incomprensione si mischia con quello di una sottile invidia, che al contempo rimarca una distanza. Come spiegarsi d’altronde la storia del leader di Podemos, Pablo Iglesias, una vita nella sinistra radicale spagnola, un vecchio flirt con i nostri centri sociali e ora a capo di una formazione che si è presentata sulla scheda elettorale con l’effigie del suo volto? Come approcciare un partito figlio dei movimenti che preferisce parlare di “casta” piuttosto che di “tecnocrazia neoliberista”, che si rivolge con disinvoltura anche a coloro che non si sono mai sentiti di sinistra invece che ai soliti noti?
Per chi in Italia ha snobbato con altezzosità e saccenteria le esperienze dei governi populisti dell’America Latina, l’incomprensione è d’obbligo. Le biografie dei volti più in vista di Podemos la dicono lunga a riguardo. Molti di loro si sono formati in anni di collaborazione presso i governi dell’Ecuador, del Venezuela, dellaBolivia. Non ne replicano pedissequamente i modelli, ma ne importano lezioni politiche dirimenti. Quella principale è che la costruzione del soggetto popolare non ha niente a che vedere con la somma di fette di elettorato preesistenti: l’idea stessa della costruzione di un popolo si appoggia sulla convinzione di poter sradicare le identificazioni politiche correnti per generarne di nuove. Per fare ciò è necessario alterare sensibilmente il repertorio simbolico e dimostrare recettività verso le istanze di cambio sociale, due mosse che possono mettere in discussione assiomi e particolarismi e che presso la sinistra italiana suonano ad eresia.
Podemos in questo senso intercetta diversi malcontenti che covano presso la società spagnola e li articola attraverso allocuzioni semplici, rifuggendo l’immagine iperelaborata tipica della presunta lungimiranza di sinistra, evitando termini dogmatici e incomprensibili. Unisce così i pezzi più promettenti del senso comune e del nazional-popolare, dà loro vita, li plasma in un discorso fatto di parole e immaginari nuovi e li oppone ad un nemico comune. Chi è il nemico in Spagna, secondo Podemos? È la classe dirigente del Psoe e del Pp, senza distinzione: in un’espressione sola, il regime post-franchista del ’78, così come lo chiamano in molti. Nemici sono anche il sistema bancario, responsabile degli odiati sfratti che hanno scosso il Paese, così come la casta dei burocrati europei, quelli che Pablo Iglesias non si stanca di sferzare nei suoi irriverenti quanto rigorosi interventi al Parlamento di Bruxelles.
Nelle ultime settimane, Podemos ha iniziato un processo di definizione delle proprie strutture (oggi si chiude il processo costituente del partito con la votazione finale dei candidati alle cariche elettive), dei suoi quadri dirigenti, così come dei principi e programmi da adottare. Nella figura di Pablo Iglesias avviene la fusione di orizzontalità e  verticalità, di spinta democratica ed efficienza politica, grazie ad un team collaudato all’ombra dell’Università Complutense di Madrid, dove insegna Scienze politiche. Così, senza snaturare la propria missione di fondo, la sinistra si reinventa, abdicando persino al suo nome e ai suoi simboli più cari. La Spagna, così vicina eppure così lontana.

Nessun commento:

Posta un commento