Talvolta nella vita e dunque anche nella politica si realizza quel fenomeno definito 'eterogenesi dei fini'. Si compie un'azione per raggiungere determinati scopi e se ne conseguono degli altri. Per i dirigenti della CGIL la manifestazione di San Giovanni del 25 ottobre scorso era anzitutto il mezzo con cui garantire la sopravvivenza dell'organizzazione che guidano ma anche del proprio ruolo individuale minacciati dalla pretesa di Renzi di annientare la funzione del Sindacato. Ma di fronte alla chiusura ad ogni possibilità di compromesso e di mediazione da parte di Renzi (perché il grande capitale non lascia oggi alcuno spazio in tal senso) il milione di lavoratori, di disoccupati, di precari in Piazza San Giovanni ha sancito l'avvio di un percorso di mobilitazione e di lotta per rovesciare le politiche che in vent'anni hanno portato al disastro questo Paese. Per ottenere maggiore occupazione, maggiore reddito, maggiore uguaglianza - questi sono gli obiettivi dichiarati della CGIL - bisogna lottare per sconfiggere le politiche liberiste e di austerità. E dunque bisogna imporre l'intervento pubblico nell'economia (investimenti, politiche industriali, sostegno ai redditi, rafforzamento del welfare), fermare le privatizzazioni, allargare e non diminuire i diritti, ottenere le risorse finanziarie necessarie rifiutando i diktat per il pareggio di bilancio dell'Unione Europea, stroncando l'evasione fiscale ed imponendo una tassazione straordinaria sui grandi patrimoni e le grandi ricchezze. Con tutto il rispetto e l'apprezzamento per i sindacati di base e per le iniziative di mobilitazione spontanee ed autogestite solo una grande organizzazione come la CGIL poteva portare in piazza, con una preparazione di poche settimane, un milione di persone e risultare da subito una minaccia concreta per il governo e per il sistema.
Questo percorso di mobilitazione e di lotta porta con sé poi necessariamente la contestazione del pensiero unico liberista e capitalista, il rovesciamento del senso comune diffuso, a reti e testate unificate, dai media secondo cui il lavoro si crea con la flessibilità, riducendo il costo del lavoro, liberando le imprese private da lacci e lacciuoli, favorendo gli investimenti privati. E dunque rappresenta l'occasione e la premessa per una 'rivoluzione' politica nel nostro Paese. Che la CGIL si sia screditata in decenni di compromessi e di complicità con il sistema non impedisce che ora possa esserne alla guida: i lavoratori sono ben capaci di comprendere chi è realmente dalla propria parte e chi agisce per i propri interessi.
E' evidente però che la reale volontà della dirigenza della CGIL di portare fino alle estreme conseguenze questa lotta e che sia possibile trovare forme sostenibili ed efficaci per realizzarla sono tutte da verificare. Certamente non sarà sufficiente una giornata di sciopero generale e sia le disperate condizioni dei lavoratori e dei precari fiaccati da anni di crisi, sia gli scarsi risultati che derivano oggi dall'astensione dal lavoro richiederanno tattiche innovative e creative per poter giungere al successo finale.
Ma intanto si è aperta una nuova fase nel Paese e questo di sé è qualcosa di molto importante.
Di queste speranze e di questi dubbi si trova ampio spazio nell'intervento di Giorgio Cremaschi, sindacalista coerente ed integerrimo, pubblicato su Micromega.
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