Sono trascorse solo poche settimane dai festeggiamenti per il ventennale della caduta del muro di Berlino, l'evento simbolo del crollo del comunismo sovietico e dei suoi regimi satelliti, le terribili ed ottusamente burocratiche dittature ad esso legate.
La fine di quel mondo ha fornito l'occasione, come si usa dire, per buttare il bambino con l'acqua sporca, il sogno e gli ideali del socialismo insieme all'imperialismo russo.
Il PCI anziché mondarsi unicamente dal proprio peccato originale, il legame con la dittatura sovietica, ha rinnegato tutta la propria storia di lotta per la democrazia e per la liberazione degli esseri umani dallo sfruttamento, con l'obiettivo di accreditarsi, attraverso le progressive mutazioni della sua forma partito, come forza politica compatibile con le oligarchie di potere italiane e con gli Stati Uniti.
Nondimeno, con ineguagliabile senso dell'ironia, c’è ancora chi parla, almeno così fanno tuttora alcuni commentatori italiani, dell'egemonia culturale della sinistra quando invece la realtà italiana e mondiale è ormai dominata dal pensiero unico capitalista, l'identificazione assoluta del libero mercato quale il migliore, anzi l'unico, dei mondi possibili.
Eppure questo è il mondo dove milioni di uomini vivono e muoiono di schiavitù e fame e sono condannati all'inferno di migrazioni bibliche, dove guerre feroci dilaniano l'esistenza degli ultimi della terra, dove crisi finanziarie determinate dalla speculazione di pochi individui sono in grado di mettere a soqquadro l'economia del pianeta, dove la criminalità organizzata – moderna forma di multinazionale economica - assume ovunque un peso ed un'importanza sempre più forte, dove l'inquinamento determinato da uno sfruttamento irrazionale delle risorse naturali fa ormai temere per il futuro stesso della terra. Un mondo sempre più vulnerabile di fronte alle minacce terroristiche e alla corsa nucleare delle dittature del terzo mondo.
L'economia capitalista dovrebbe assicurare la più razionale allocazione delle risorse ma in realtà vive e si riproduce solo attraverso l'imperativo categorico di un inarrestabile e insostenibile incremento esponenziale dei consumi che, consentendo i profitti dell'impresa, giustifica la produzione e conseguentemente il lavoro.
Non è importante cosa si consuma, se si tratti di beni e servizi necessari o di cose assolutamente inutili: per chi è dentro questo sistema, ingranaggio della catena consumo-profitto-produzione-lavoro, consumare oltre ogni necessità è un obbligo, perché imposto dai modelli culturali dominanti che attribuiscono valore agli individui in base alla capacità di acquisto, e perché assolutamente funzionale alla sopravvivenza del sistema e dunque della stessa esistenza di chi ne fa parte.
Non conta chi è escluso, dentro le ricche società occidentali o al di fuori di esse: le moltitudini che premono alle porte del nostro mondo riportando alla mente la decadenza dell'impero romano d'Occidente prossimo ad essere travolto dalle invasioni dei popoli 'barbari'. Anzi esse stesse diventano deliberatamente, moderna rappresentazione del marxiano “esercito di riserva”, una ulteriore occasione di incremento dei profitti.
Non contano i costi: lo sfruttamento di miliardi di esseri umani, l'irreversibile inquinamento ed il prosciugamento delle risorse del pianeta e i conflitti che derivano dalla lotta per il dominio di materie prime sempre più insufficienti.
Ma anche la vita stessa di chi è dentro questo sistema è una vita di falsi agi ed ingannevole benessere, di rapporti personali distrutti dall'interesse, di inutile abbondanza di cibi adulterati e senza più sapore. Una vita caratterizzata dalla precarietà e dall'alienazione, in cui si è sempre meno padroni del proprio tempo e del proprio destino.
Gran parte della sinistra mondiale si è arresa alla dittatura culturale del capitalismo e così anche i governi di centrosinistra italiani, di Amato, Ciampi, Prodi e D'Alema, si sono adeguati ed hanno aderito alle direttive di Wto, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Unione Europea, determinando la dismissione della presenza dello Stato nell'economia a favore dei privati in ossequio alla logica dello Stato 'leggero', dell'efficienza dell'iniziativa individuale contrapposta agli sprechi della gestione pubblica.
La pretesa di privatizzare ed esternalizzare si estende ormai a quasi tutte le funzioni degli Stati, ovunque c'è la possibilità per le imprese di ottenere guadagni gravando la collettività del costo dei propri profitti: non solo tutti i servizi pubblici essenziali (energia, acqua, trasporti, comunicazioni, previdenza, sanità) ma addirittura si prefigura la gestione privata degli istituti di pena e si realizza la partecipazione di compagnie private (i contractors) alle azioni militari.
E quelle poche iniziative in controtendenza, come il progetto di Obama sulla sanità pubblica, incontrano la feroce opposizione dell'establishment capitalista.
Credo che, anche come cittadini italiani, siamo in grado ormai di fare un bilancio di queste politiche. Non è solo un problema di aggravio dei costi pubblici ma proprio dello stravolgimento e del tradimento delle linee guida che devono orientare il soddisfacimento dei bisogni collettivi.
Di certo non mancano le voci critiche di politici, di intellettuali, di scienziati, di associazioni, di esponenti religiosi, che denunciano questo sistema ma raramente si trova il riferimento a quella che è forse l'unica possibilità di uscire dalla ingiusta follia in cui è imprigionato il nostro mondo: il superamento della logica del profitto attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione.
Un'impresa non si pone spontaneamente problemi sociali, ambientali, culturali (a meno che ciò non sia una scelta d'immagine funzionale al target della propria clientela): deve remunerare il più possibile i propri azionisti ed i propri amministratori ricopriranno quel ruolo finché saranno in grado di raggiungere tale obiettivo.
Da cosa derivano, solo per citarne alcuni, i disastri e le morti di Bhopal, dell'eternit, della Thyssen, del petrolchimico di Mestre, dei quotidiani incidenti sul lavoro se non dall'adorazione del Dio guadagno?
Sono le vittime di una dittatura altrettanto feroce delle dittature comuniste.
Le imprese possono essere 'obbligate' a comportamenti virtuosi da leggi espressione dell'interesse generale (il rispetto della sicurezza e dei diritti dei lavoratori, dell'ambiente, degli obblighi fiscali, il non utilizzo di sostanze che siano nocive per i consumatori, ….). Ma contemporaneamente le imprese traggono dal potere della propria forza finanziaria la possibilità di imporre, in modo occulto o palese, i propri interessi su quelli della collettività e conseguentemente di sviare da quegli obblighi virtuosi.
Ci si affanna a costruire un sistema capitalistico caratterizzato dalla concorrenza perfetta, dal potere del cittadino consumatore, da authority che garantiscano la libera competizione delle imprese e la trasparenza del mercato, ma se pensiamo che vi sono multinazionali che hanno dimensioni più grandi di molti stati, se pensiamo a come gli interessi di determinate categorie di industrie (ad esempio del petrolio o delle armi) siano in grado di orientare la politica interna ed estera anche delle più grandi potenze del mondo, l'ideale di un capitalismo perfetto resta tale solo nelle teorie degli studiosi di economia e non nella realtà dei fatti.
E la crisi finanziaria ed economica mondiale cominciata nel 2008 ne è la più puntuale dimostrazione.
Attraverso azioni di lobby, legali ed illegali, operate nei confronti della politica, attraverso il bombardamento pubblicitario, attraverso il dominio dei mezzi di comunicazione, attraverso l'esercito di intellettuali e di avvocati di cui dispongono, sono le imprese che determinano le scelte della nostra società e la vita di ciascun individuo.
La stessa democrazia politica, il riconoscimento della sovranità del popolo attraverso propri rappresentanti liberamente eletti, si riduce dunque a poco più che una squallida finzione.
Come negare inoltre il peso sempre più preponderante che hanno assunto ovunque la corruzione e l'economia illegale, effetti collaterali del capitalismo che contribuiscono ancor di più ad espropriare i cittadini del loro legittimo potere?
La logica del profitto distorce i valori condivisi, mercifica qualunque cosa a partire dalle persone, il riconoscimento sociale viene conferito in funzione della propria ricchezza e non in funzione del contributo che l'individuo è in grado di dare alla società. La miliardaria star televisiva diventa più importante del ricercatore che lavora per scoprire cure a malattie che affliggono l'umanità.
Davvero pensiamo che il nostro presente ed il nostro futuro debba essere in mano a dei miopi e mediocri oligarchi e speculatori?
Sono le industrie petrolifere o nucleari a dover decidere come deve essere prodotta l’energia di cui abbiamo bisogno?
Sono le industrie farmaceutiche a dover decidere su cosa dovrà essere indirizzata la ricerca medica riguardante la nostra salute?
Sono i palazzinari a dover disegnare il territorio e le città in cui viviamo?
Sono le industrie di armamenti a dover orientare lo sviluppo dei rapporti internazionali?
Sono le multinazionali alimentari a dover definire quale cibo produrre e come produrlo?
Sono le industrie dell’auto o quelle interessate alla costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità a dover fornire le soluzioni ai bisogni di mobilità degli individui?
Quale altra strada allora per l'umanità, e per la stessa Italia, se non ricominciare a parlare di proprietà collettiva dei mezzi di produzione, almeno dei beni e servizi essenziali per la vita di ciascuno: oltre l'istruzione e la salute, i prodotti alimentari, l'energia, la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito, le costruzioni, i trasporti, le comunicazioni?
Solo la proprietà collettiva della produzione di questi beni è in grado, liberandoli dalle speculazioni, di renderli disponibili a tutti e di rimettere le decisioni cruciali per il nostro futuro nelle mani dei cittadini e dei loro rappresentanti.
Un nuovo socialismo, ancora tutto da progettare e costruire, che sia inscindibilmente legato, per esprimere a pieno la propria potenzialità positiva, alle libertà ed ai diritti inalienabili delle persone, alla democrazia politica, alla crescita della consapevolezza culturale dei cittadini indispensabile per consentirne il controllo sulle decisioni pubbliche e la partecipazione attiva alle stesse.
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