Discutere dei massimi sistemi politici, in un pomeriggio d'estate a Trastevere di fronte ad un bicchiere di birra …
Il risultato non è, non può essere, mettere dei punti fermi ma realizzare un piccolo inventario dei pezzi di un puzzle arduo da completare, la catalogazione dei frammenti, sbrecciati e coperti di una spessa polvere, in cui si è frantumata un'antica opera d'arte, identificare i sentieri che vanno tutti percorsi ed esplorati per mettere a fuoco l'ideale di una nuova Polis.
La Costituzione della Repubblica Italiana, l'ideale di democrazia e la democrazia possibile.
Se il diritto romano è all'origine dello stato di diritto, sul quale si fonda qualunque forma di Stato e di Governo, non necessariamente prerogativa di uno Stato ‘repubblicano’ e di un Governo ‘democratico’, la Costituzione è il quadro di riferimento, il testo sacro, la condizione necessaria e sufficiente per realizzare concretamente la democrazia italiana.
E' il modello politico organizzativo ad oggi più aderente e funzionale al principio di uguaglianza, alla dichiarazione universale dei diritti umani e alle esigenze di bilanciamento tra dimensione individuale e dimensione collettiva.
Essa è la sintesi matura di un lungo percorso della storia del pensiero politico, giuridico, economico, sociale e morale.
Non potendo evidentemente prescindere dall'opera dell'uomo e delle sue scelte politiche, nella sua genesi come nella sua attuazione (non si è scritta da sola e non si attua da sola), la declinazione concreta della Costituzione, la sua applicazione attraverso la legislazione ordinaria e le scelte politiche di governo viaggia sulle gambe degli uomini, sulla base dei rapporti di forza esistenti nella società e del prevalere delle opzioni politiche contingenti.
Ma la sua mancata attuazione, il tradimento via via sempre più esplicito dei principi in essa sancita, non sono stati causati da limiti e difetti della Costituzione ma dall'azione di forze criminali (mafie, terrorismo interno o indotto da potenze straniere, ceti dirigenti corrotti della politica e dell'economia) che nulla hanno a che vedere con rapporti di forza politici e ancor meno con ‘opzioni politiche contingenti’. I primi come le seconde sarebbero infatti del tutto naturali in una democrazia e in essa fisiologici, purtroppo non vi sono stati e sono anzi stati impediti.
Uomini onesti e competenti, per quanto imperfetti, sarebbero in grado di attuare la Costituzione in modo più che soddisfacente. I disonesti incompetenti ed egoisti ovviamente no.
Ma come è possibile per gli uomini onesti sconfiggere oggi le forze criminali che hanno in ostaggio la democrazia italiana?
Decrescita si o no? Quale decrescita? Decrescita o ristrutturazione del sistema economico? Decrescita e progresso. Decrescita e democrazia. Decrescita o sviluppo compatibile? Il potere delle scelte economiche (consumatore, capitalisti, stato, altro?). Ottimismo o catastrofismo?
La decrescita è la nuova frontiera della lotta politica anticapitalistica, auspicabile per due motivi. Per la difesa e la conservazione della biosfera e per liberare l'uomo dalla dittatura del consumismo. Ma cosa intendiamo per decrescita? Il ritorno ad uno stato pre-moderno oppure l'aspirazione ad una condizione collettiva in cui non si rinuncia al progresso tecnico-scientifico ed alla emancipazione sociale, ad esempio per le donne, che proprio questo progresso ha contribuito a realizzare nella modernità ma soltanto a quella sovrabbondanza, limitata al mondo capitalistico sviluppato, di merci inutili che corrompono le nostre anime, mettono a rischio la sopravvivenza del pianeta e impongono una condizione di sfruttamento e di sottomissione a quei Popoli e Stati il cui ruolo - nell'economia globale - è solo quello di fornire manodopera e materie prime a basso costo?
Per inciso in questo senso, nell'osservazione del rapporto tra Paesi ricchi e Paesi poveri, possiamo recuperare, reinterpretare, rivalutare le previsioni e le teorie di Marx di un mondo destinato a dividersi in due uniche classi, quella della borghesia capitalista e quella del proletariato, e cioè che questo si è realizzato non all'interno delle singole nazioni capitalistiche ma nell'ambito globale dell'Umanità entro la quale le diverse classi sono costituite da intere Nazioni.
Decrescita dunque come forma contemporanea della lotta per il superamento del Capitalismo, delle ingiustizie che esso comporta e della sua irrazionalità nella allocazione delle risorse. Ma la decrescita porta con sé inquietanti interrogativi. E' realizzabile la decrescita come strategia deliberata oppure sarà ineluttabilmente la conseguenza dell'esaurirsi improvviso delle risorse? E' qualcosa di governabile democraticamente oppure in ogni caso, sia essa strategia volontaria o evento forzato, comporterà un'evoluzione autoritaria delle forme politiche per imporre il cambiamento degli stili di vita e per il governo e la distribuzione delle risorse (energia, territorio, acqua, cibo) non più sufficienti per tutta l'umanità?
Rovesciando il punto di osservazione e constatando che l’unica arma in nostro possesso è l’azione, pur limitatissima, di convincimento, di informazione, di diffusione di consapevolezza è davvero utile proporre scenari catastrofisti, magari indicando - con precisione profetica – l’anno o gli anni della crisi fatale ma così irrigidendo l’interlocutore e scoraggiando la sua disponibilità all’ascolto oppure al contrario è più utile far leva sugli aspetti positivi e di liberazione della vita umana derivanti dalla decrescita?
E ancora, in una visione che recuperi l'ottimismo nel futuro (e addirittura non consideri impossibile la realizzazione di uno sviluppo compatibile con la biosfera), non sarebbe più giusto definire la decrescita come una ristrutturazione del sistema economico, nel quale il lavoro e la produzione vengono trasferiti dagli impieghi funzionali unicamente al profitto delle oligarchie economiche a quelli in grado di soddisfare al meglio i bisogni dell'intera umanità? Eppure anche da questo deriva un interrogativo senza risposta e cioè come democratizzare realmente il potere delle scelte economiche (promuovendo e diffondendo welfare ed uguaglianza) strappandole ad una ristretta ed egoistica oligarchia senza affidarle ad una burocrazia centralizzata ottusa e cervellotica.
Oppure dobbiamo mettere in discussione la decrescita stessa quale quadro di riferimento?
E' vero, il petrolio è alla fine, e il pianeta soffre. Ma qualcosa si può fare, la tecnica può venirci in aiuto e questo deve alimentare la speranza e la speranza incardinarsi in un programma politico.
Alla luce di questa obiezione, se questa speranza fosse fondata, ne discenderebbero due conclusioni:
1) che il Progresso economico è ancora possibile (e senza progresso economico non si dà progresso civile)
2) Che la decrescita non è ineludibile. Né quella forzata, né quella regolata.
Inoltre, se la decrescita regolata può essere tale solo in presenza di uno Stato fortemente direttivo ed autoritario (nonostante la patina fiabesca con cui viene rivestito il discorso sulla decrescita), non significa che diventa contraddittorio combattere per la piena attuazione della Costituzione e della democrazia, quando si prefigura un mondo tutt'altro che democratico? A meno che qualcuno non dimostri che la decrescita regolata può essere fatta in maniera non autoritaria.
Fiducia nella tecnica non significa adesione ai valori del Capitalismo, né rinunciare ad immaginare una società più giusta. Anzi. Proprio perché la tecnica apre spazi di libertà (si prendano ad esempio le rivoluzioni della stampa, che ha permesso la diffusione della conoscenza, ed ora di Internet). Il problema è la logica mercantile, che asservisce la stessa Tecnica. Qui il ruolo di una forza autenticamente progressista. Cioè, di sinistra.
In conclusione, non dovremmo anzitutto definire quali i sono i fini che ci proponiamo di perseguire (uguaglianza, liberazione dalla miseria e dallo sfruttamento, libertà, pace, salvaguardia e conservazione della biosfera) ed in funzione di questi, sulla base dei vincoli costituiti dalle risorse disponibili e dal livello delle conoscenze tecniche, orientare strategia ed azione politica?
Quale cittadino per realizzare la democrazia? Un problema di ignoranza o un problema di valori?
Su di una cosa non possono esserci dubbi: è il cittadino al centro di qualunque speranza e progetto di trasformazione della società. Non sembrano esistere spazi per una svolta politica in tempi brevi fondata sulle alleanze politiche dei partiti tradizionali, anche di quelli anti-sistema e che si richiamano ai valori della sinistra, sull'emergere di nuove leadership, sulla discesa in campo di movimenti ed intellettuali, fin qui chiusi nel loro comodo particulare ed ottenebrati, con la pancia sazia ben rimpinzata dal sistema, dall'interesse personale. E questo tanto più in Italia dove, a differenza di gran parte delle democrazie europee, sussistono ulteriori o più marcati ed originali motivi di inquinamento della vita pubblica: la corruzione, il clientelismo, le mafie, il Vaticano, l'evasione fiscale. E perciò la moralizzazione dei costumi politici e della gestione amministrativa, la riappropriazione da parte della collettività dei beni economici e delle proprietà pubbliche dissipate (anche attraverso le privatizzazioni di Prodi, Ciampi ed Amato) a favore di corruttori e corrotti (politici, industriali, finanzieri, criminali, evasori fiscali) non può avere in questo momento la forza del consenso e della partecipazione popolare, soprattutto pensando alla realtà di una competizione elettorale falsata da leggi porcata e dall'inesistenza di un sistema informativo libero ed indipendente. La trasformazione della società, la realizzazione della Democrazia è possibile solo attraverso una rivoluzione culturale che renda l'essere umano un cittadino consapevole ed informato e non più semplicemente il soggetto passivo delle decisioni e dei messaggi calati dall'alto, un mero acquirente di prodotti, un meschino cliente chiuso nel suo egoismo consumerista. Un cittadino che possa pretendere finalmente la democrazia. Da qui l'importanza essenziale delle istituzioni scolastiche, la necessità di spezzare la dittatura della televisione e della pubblicità. Eppure ripensando alla Resistenza ed al protagonismo operaio ed alle lotte sociali e politiche degli anni cinquanta e sessanta, nelle quali i ceti dotati di una cultura medio-alta erano solo una minoranza non dovremmo chiederci se il cittadino si definisce tale non tanto per la propria istruzione e cultura ma piuttosto per i valori di cui è portatore? I valori della solidarietà, della libertà, della giustizia sociale, dell'affermazione del bene comune contrapposto all'egoismo individuale. Ed allora è giusto bocciare tout court quelle esperienze e quelle suggestioni di tipo mutualistico e comunitaristico, di condivisione di beni ed esperienze di vita, le uniche che sembrano in grado di ripristinare legami sociali positivi tra gli esseri umani premessa indispensabile per qualunque svolta politica democratica?
Poiché le prospettive di una svolta politica dipendono dall’evoluzione/rinascita dell'essere umano quale cittadino e dunque solo in un ambito temporale lungo o lunghissimo come rapportarsi alla quotidianità della rappresentazione e della lotta politica dell’oggi? Pur nella convinzione che tutte le forze in campo sono componenti della stessa casta e recitano il ruolo loro assegnato nella fiction democratica, la cui trama è scritta da poteri esterni ai rappresentanti politici e non legittimati democraticamente, è realmente giusto il rifiuto complessivo degli attori politici sulla scena? Oppure, oltre all'opportunità di combattere singole battaglie politiche (per l'acqua, contro il nucleare, contro il bavaglio, ecc.) bisogna comunque prendere in considerazione che può esistere un male minore? Un male minore, ad esempio, in funzione delle diverse sensibilità e dei diversi valori che esprimono i partiti che si richiamano alla sinistra e che dunque, attraverso le scelte concrete in materia di welfare e di lavoro, non è riconducibile semplicemente ad opzioni teoriche ma si riflette nella carne viva e nella vita concreta delle persone?
Destra e sinistra. L'antifascismo.
Nel quadro della situazione politica italiana e mondiale, nell'ambito del generalizzato decadimento morale e sociale, le questioni epocali sul tappeto, l'autentica espropriazione della democrazia, del potere dei popoli di autodeterminarsi realizzata a livello universale da soggetti tecnocratici, espressione delle oligarchie economiche dominanti, portano a loro volta ad ulteriori riflessioni ed interrogativi. Anzitutto alla constatazione che la complessità e l'interdipendenza planetaria dei problemi impone ormai la definizione di un governo democratico globale.
Il fatto, poi, che i partiti di sinistra si siano adattati al paradigma della globalizzazione capitalistica, il loro fallimento e la loro inadeguatezza comporta inevitabilmente anche la fine degli ideali e dei valori della sinistra? Oppure al contrario proprio perché tali ideali e tali valori sono la concreta realizzazione della democrazia, cfr. art. 3 della Costituzione, vanno rivendicati e ripresi e si devono loro fornire le gambe di altre forme, organizzazioni e rappresentanze politiche?
Perdere i propri punti di riferimento, i propri simboli ideali, in un mondo sempre più complesso e difficile da interpretare, rischia di disorientare e di far perdere come compagni di strada tutti coloro che solo quel linguaggio e quei simboli sanno riconoscere. Rischia di impantanare qualunque progetto di vera alternativa nelle sabbie mobili del populismo e del qualunquismo, di infantili ma diffuse interpretazioni complottiste e del gioco delle nuove destre che da sempre reclamano il superamento delle distinzioni destra sinistra ed abilmente utilizzano, per mascherare la propria vera natura, linguaggi, suggestioni e temi popolari, populisti ed anti-oligarchici.
Sicuramente l'Antifascismo, l'eredità dell'unica autentica rivoluzione democratica italiana la Resistenza, il rifiuto di ideologie che si fondano sull'uso della violenza nella lotta politica e sulla negazione dell'uguaglianza di dignità e diritti di tutti gli esseri umani, è uno dei punti di riferimento che non può essere abbandonato. Tanto più quanto la storia ci mostra come il fascismo tenda periodicamente a nascondersi per poi riemergere al momento opportuno, in forme anche nuove ed originali, come strumento di dominio dei ceti dominanti.
Se è vero che la sinistra ed il marxismo hanno individuato, così come il capitalismo, nello sviluppo e nella crescita economica il mezzo per realizzare il proprio progetto di società, nel momento in cui si deve rilevare che il mezzo prescelto per raggiungere la meta ha dimostrato inadeguatezza ed effetti nefandi sui passeggeri si deve certo cambiare il mezzo non la meta.
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