"E' stato un omaggio a un grande uomo di Stato, ho salutato un amico" (Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, uscendo dalla camera ardente).
“Francesco Cossiga, figura di spicco del cattolicesimo politico democratico italiano, è stato essenzialmente un uomo di Stato” (L'Osservatore Romano),
"Informato della scomparsa del senatore Francesco Cossiga già presidente della Repubblica italiana e per lungo tempo protagonista della vita pubblica e generoso servitore delle istituzioni di codesto Paese, il Sommo Pontefice desidera far pervenire a Vostra Eccellenza e all'intera nazione italiana l'espressione del Suo profondo cordoglio, mentre eleva fervide preghiere di suffragio per l'illustre e caro defunto" (Messaggio di cordoglio del Papa recato personalmente dal segretario dello Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone).
“Il testamento lasciato dal presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, ai parlamentari, è quello di governare la Repubblica al servizio del popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico" (Schifani).
"Era una persona molto complessa, con tanti volti, ma è sempre stato molto attento alle condizioni dei lavoratori e soprattutto negli ultimi 15 anni ha avuto sempre un buon rapporto con la Cgil" (Guglielmo Epifani, segretario della CGIL).
“Salvaguardò la democrazia in momenti drammatici” (Gianfranco Fini).
“Un grande protagonista della vita democratica del nostro Paese” (Massimo D'Alema)
“Ha sempre agito con senso dello Stato e non ha mai rinunciato alla provocazione intellettuale” (Dario Franceschini).
“Un grande uomo democratico, uno dei cristiani autentici della politica italiana” (Luca Zaia)
“Un testimone coraggioso e fedele dei valori costituzionali” (Rosa Russo Iervolino)
“Anticomunista convinto, ha sempre sinceramente rispettato i comunisti. Lo ricordiamo con rispetto” (Oliviero Diliberto)
Non si prova solo disgusto nell'assistere al rituale con il quale la CASTA del Potere Politico e Religioso celebra la morte di un proprio aderente, nel leggerne le dichiarazioni di circostanza, tanto più ipocrite ed offensive di fronte allo storia politica di Cossiga (Giorgiana Masi, Gladio, Ministro degli Interni circondato, nei ruoli strategici delle indagini, da uomini della P2 quando Aldo Moro venne rapito ed ucciso, Presidente del Consiglio all'epoca delle stragi di Ustica e di Bologna, accusato di favoreggiamento verso il terrorista br figlio del compagno di partito Carlo Donat Cattin, il picconatore e destabilizzatore della Costituzione che ha gettato nel discredito la Presidenza della Repubblica, colui che definì con disprezzo Rosario Livatino, poi ucciso dalla mafia, il 'giudice ragazzino').
Si percepisce soprattutto la LORO estraneità al nostro mondo di comuni cittadini, il loro rispondere a diverse e specificatamente proprie leggi che ne regolano i sentimenti e le azioni.
Ingenuamente pensiamo che anche LORO, almeno nel momento in cui si percepisce l'approssimarsi della fine, siano costretti ad interrogarsi sul senso della propria vita ed a redigere intimamente un bilancio sincero ed onesto del bene e del male compiuto.
E così ci aspettiamo che un Cossiga, un Andreotti arrivati al capolinea dell'esistenza sentano la necessità di liberarsi la coscienza dal fardello del male visto e compiuto e dei segreti in cui tale male è custodito. Di riparare per quanto possibile a ciò che è stato compiuto. E invece ciò non succede mai o quasi mai.
Se per NOI il male è uccidere, rubare, mentire (o consentire e tollerare che ciò avvenga), per LORO tutto è lecito e giusto se utile alla Ragion di Stato, alle Istituzioni, per servire principi supremi come l'Anticomunismo o la Stabilità delle Alleanze Internazionali.
E' l'Andreotti della rappresentazione immaginaria ma plausibile del Divo di Sorrentino
E' il generale che diventa un eroe in base al numero dei nemici uccisi, senza alcun riguardo a quante vite innocenti siano state sacrificate.
E' il Craxi 'statista' che rubava per il Partito, è l'alto prelato che accetta di seppellire un boss della banda della Magliana in un una basilica per il 'bene' fatto alla propria congregazione.
E' il rovesciamento della scelta di Antigone nel momento in cui le regole del potere prevalgono sulla legge morale.
E' anche il bisogno tutto umano di costruirsi alibi e giustificazioni, ai quali non si potrà più rinunciare, che permettano di non trovarsi soli e nudi di fronte alla propria coscienza ed al timore del giudizio di Dio.
Forse in Cossiga, in quella instabilità psichica di cui parlano Eugenio Scalfari e Miriam Mafai, oltre il protagonismo narcisista e la pretesa di restare fino all'ultimo un artefice, a suo modo, del bene della Nazione, è stato presente il tormento di questa contraddizione insanabile tra la legge morale umana e le leggi del potere ma non è mai maturato in un pentimento morale e politico.
A LORO dunque si contrappongono quelli che convintamente credono che la democrazia, la sovranità del popolo, il potere della collettività di scegliere ciò che è più giusto ed utile per tutti, si fondi anzitutto sulla Verità. Verità o almeno onesta ricerca della Verità, quale condizione indispensabile affinché i cittadini possano liberamente e consapevolmente esercitare i propri diritti.
C'è da stupirsi dunque se nell'Italia repubblicana dilaniata da trame oscure di ogni genere ed ogni origine ed ostaggio dei misteri e dei segreti inconfessabili, custoditi gelosamente dalla Casta, non si sia mai realizzata la democrazia?
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