Pur nella evidente e francamente ridicola demagogia pre-elettorale di fine legislatura, nella gara che hanno fatto i maggiori leader dell'opposizione democratica – Bersani, Di Pietro e Vendola – a farsi fotografare mentre salivano sul tetto della Facoltà di Architettura di Roma per portare la propria solidarietà a studenti e ricercatori universitari in lotta contro la riforma Gelmini si deve cogliere, mi sia perdonato un inguaribile ottimismo, un aspetto positivo.
Il riconoscimento cioè da parte dell'opposizione democratica che quello della cultura, della scuola, dell'università, della ricerca è, insieme al tema del lavoro e dello stato sociale, il campo fondamentale in cui può declinare la propria visione alternativa non solo al berlusconismo ma anche al tecnicismo filoliberista del polo moderato di Fini, Casini e Montezemolo.
Nella scuola, nell'Università, nella cultura, nella ricerca si gioca molto del futuro dei giovani e dell'intero Paese. Se questo debba fondarsi su di un modello di società in cui l'istruzione ed il sapere siano subordinati e meramente funzionali alle esigenze dell'impresa capitalistica oppure strumento di inclusione, di elevazione e mobilità sociale fondata sulle capacità e sul merito e non cristallizzata dal privilegio dell’origine familiare, di educazione alla cittadinanza basata sulla conoscenza, sul libero pensiero, sulla capacità di analisi critica.
Se la ricerca, per di più sottoposta a riduzioni di stanziamenti insensati e suicidi, debba essere al servizio del profitto privato ovvero del bene comune e del progresso di tutti.
Se i giovani debbano essere inesorabilmente mortificati nei propri talenti e condannati ad un futuro di precarietà e se il personale docente debba essere considerato un peso morto, un orpello burocratico e parassitario, oppure se se ne debba riconoscere il ruolo fondamentale per la crescita ed il progresso civile della società.
Nella privatizzazione del sistema scolastico ed universitario, nel feroce taglio dei fondi pubblici ad esso destinato vi è il chiaro proposito di costruire una istruzione di élite per i ricchi accanto ad una scuola di serie B sempre più squalificata per tutti gli altri. Vi è la negazione dell'idea di eguaglianza delle opportunità, la cancellazione dell'impegno costituzionale a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Molti commentatori e analisti hanno correttamente ricordato in questi giorni che la riforma Gelmini non è che l'ultimo atto di un attacco all'istruzione pubblica a cui hanno dato inizio, così come successo per il precariato, i governi di centrosinistra con Prodi e con Berlinguer ministro della pubblica istruzione.
Mentre Fini dichiara, pur condividendo alcune ragioni della protesta, che voterà la riforma dell'università proposta dal governo Berlusconi, quale migliore occasione dunque per Bersani, Di Pietro e Vendola, consapevoli che quello degli studenti e degli insegnanti è parte fondamentale del proprio popolo e che ciò che questi reclamano è essenziale nella visione che i propri partiti dicono di sostenere, di invertire finalmente quella rotta, di dare concretezza al gesto propagandistico di salire sui tetti attraverso una proposta unitaria per ridare al sapere il valore di bene comune e di impegnarsi a realizzarla in caso di ritorno al governo?
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