“Moriremo democristiani?” ci si chiedeva un tempo quando il regime DC sembrava destinato all'eternità.
“Moriremo sotto il liberismo capitalista?” dobbiamo chiederci ora e la domanda non è solo in senso figurato se si pensa alla scia di morte che questo sistema reca con sé nelle guerre, nell'inquinamento, negli scontri di civiltà, nella miseria e nelle migrazioni bibliche che produce nel mondo, nei presagi di disastri e di messa in discussione della sopravvivenza stessa del pianeta e dell'umanità di fronte al riscaldamento globale ed all'esaurimento delle risorse fondamentali per la vita, dissipate negli sprechi di uno sviluppo senza limiti, e degli inevitabili conflitti tra popoli che ne deriveranno.
Ma da dove ripartire, in Italia, per un'alternativa possibile? Con quali basi di consenso nella società? Con quale organizzazione e quali alleanze politiche? Come rapportarsi agli attuali partiti del centrosinistra? Che valore dare all'astensionismo? E bisogna dare per scontata la morte della sinistra ed il superamento della contrapposizione con la destra?
Per dire la mia rispetto a quest'ultima questione (ed è interessante al riguardo ciò che scrive l'ottimo Pellizzetti), mi sembra che la grande partecipazione popolare alla manifestazione della Fiom del 16 ottobre, l'incremento elettorale ottenuto con l'abituale fiuto politico da Di Pietro occupando gli spazi vuoti lasciati a sinistra, i sondaggi che premiano la proposta e l'immagine di Nichi Vendola, la resistenza sia pur sofferta dei comunisti della Federazione della Sinistra, l'ostinazione con cui la maggior parte degli elettori del PD continuano a considerare il proprio un partito di sinistra, tutto questo dimostra il contrario. Certo una sinistra che è minoranza nel Paese, piena di contraddizioni, lacerata tra un'idea emendativa del capitalismo ed il sogno di poter costruire una società nuova ma comunque una sinistra ancora viva.
Un atto di minima razionalità e responsabilità sarebbe oggi che le forze più radicali alla sinistra del PD dessero almeno vita, vincendo gelosie e rivalità, ad un coordinamento e ad un patto di azione comune per riuscire ad incidere su programmi ed alleanze elettorali.
Rifiutare la collocazione tra destra e sinistra (in qualche modo un leitmotiv per tanti movimenti, Grillo e i Verdi ad esempio, anche se abituale soprattutto, con finalità mimetiche, nelle organizzazioni della nuova destra, la Lega in primis) può avere anche un rilevante valore tattico, può servire ad attrarre e a parlare con chi non è mai stato di sinistra o che la rifiuta, soprattutto i giovani che l'hanno conosciuta solo nelle formazioni politiche che indegnamente ne incarnano oggi i principi ed i valori, nei loro compromessi, nei loro errori. Ma nel bilancio finale, se davvero si vuole diventare maggioranza e raggiungerla per rendere più giusta questa società, quanto si perde disorientando il proprio popolo, chiedendo di rinunciare ad una identità definita, ai propri simboli, alla propria storia?
Ed a prescindere dalle etichette e dalle definizioni, quali sono gli obiettivi e i valori su cui chi progetta un'alternativa né di destra né di sinistra vuole fondare la propria azione politica? Sono ancora l'eguaglianza, la giustizia sociale e l'attribuzione, per tali fini, di una funzione di regolazione e di intervento diretto da parte dello Stato nell'organizzazione economica e sociale, cioè 'cose' di sinistra, o sono altri?
Sono in tanti a cercare la bussola di un'alternativa non solo a Berlusconi ma a questo sistema nella sua interezza, a non ridurla ad una mera riproposizione dell'Ulivo, una coalizione cioè che farebbe le stesse cose della destra ma un po' di meno, magari guidata da un Papa nero (Draghi? Profumo? Montezemolo?), il nuovo Prodi, invocato da Veltroni e Scalfari, garante nei confronti delle oligarchie di potere dominanti del mantenimento dello status quo e della intangibilità dei propri privilegi.
Per alcuni l'unica forma di voto utile è l'astensione e attraverso questo negare il riconoscimento ad un sistema di cui si rifiuta la legittimità democratica per accelerarne la fine. Ma è una scelta, nella logica del 'tanto peggio tanto meglio', che lascia campo libero nell'immediato proprio ai nemici che si vogliono combattere e che pretende di dare un'unica chiave di lettura politica ad un fenomeno, l'astensionismo appunto, di grande complessità e originato da motivazioni e sentimenti tra loro contrastanti: la delusione per una politica che non fa il proprio dovere oppure il disinteresse, l'indifferenza e la neutralità verso una politica che si ritiene inutile o che comunque non si ritiene necessario dover contrastare.
Di fronte alla riconosciuta inadeguatezza dei partiti dell'opposizione, Flores D'Arcais chiede che la società civile si organizzi autonomamente per la formazione di una lista civica nazionale che affianchi i partiti di centrosinistra e imponga loro una svolta programmatica.
Dalla manifestazione della Fiom del 16 ottobre è nato un movimento, straordinariamente interessante, che tenta di unire, a sinistra, operai e studenti, precari e disoccupati, cittadini in lotta per l'ambiente ed il territorio.
C'è poi l'appello di 'Abbiamo un sogno' mentre il Forum per l'acqua pubblica, che ha raccolto intorno a sé un numero significativo di adesioni di partiti e movimenti ed un successo straordinario come numero di firme raccolte, non sembra voler compiere il passo, almeno per il momento, per diventare esso stesso promotore di una qualche proposta elettorale.
Nell'ambito della 'sinistra sinistra' sono interessanti le esperienze della Rete della Sinistra e del Movimento Radicalsocialista, entrambe rivolte ad una ricomposizione delle formazioni eredi della tradizione socialista e comunista. Un'area divisa principalmente tra la SEL di Vendola che accetta la sfida della governabilità, con l'obiettivo di condizionare il PD, e delle alleanze elettorali con i moderati e la Federazione della Sinistra di Ferrero che, sulla base del fallimento delle precedenti partecipazioni ai governi Prodi, intende concorrere alla sconfitta di Berlusconi ma non partecipare ad un possibile governo di centrosinistra, dando per scontate inconciliabili contrapposizioni con le altre anime dell'opposizione.
Manca tra questi il popolo viola che ha perso un'occasione storica, sull'onda del successo del NoBDay del 5 dicembre, per diventare un vero soggetto politico in grado di produrre proposte e contenuti, riducendosi a mero strumento di propaganda nelle mani di Italia dei Valori.
La discesa in campo di intellettuali e movimenti che abbandonando la propria visione settoriale e monotematica, di fronte alle meschinità ed ai fallimenti delle caste politiche, si sostituiscano a queste o quantomeno gli si affianchino e promuovano essi stessi una sintesi politica, la definizione di un programma o l'individuazione di alcuni punti non negoziabili per la realizzazione del bene comune, la definizione di metodi davvero democratici per la selezione di una nuova classe dirigente, è quanto da sempre personalmente auspico.
L'articolo con cui il sempre stimolante Jacopo Fo accompagna l'appello di 'Abbiamo un sogno' mi sembra ragionevole e realistico, sia perché si pone l'obiettivo, nella consapevolezza dei drammatici bisogni delle persone, di incidere nella realtà politica qui ed ora e non fra dieci anni, sia perché propone di provarci facendo i conti con quello che è il maggior partito di opposizione, il PD, senza il quale è inevitabile la vittoria della peggiore destra, per la quale ora spunta il nome di Marina Berlusconi, sicuramente temibile sul piano dell'immagine, quale possibile erede al trono del padre.
Mi sorprende piuttosto vedere tra i firmatari dell'appello anche Giulietto Chiesa che ha fondato il suo nuovo movimento Alternativa (ripetendo peraltro anche lui - proprio come Pierdinando Casini pochi giorni fa alla riunione del Terzo Polo - il mantra del superamento della contrapposizione destra-sinistra) ponendone tra gli elementi costitutivi il proposito di fare tabula rasa dell'attuale rappresentanza politica e di marcare l'incompatibilità e la diversità con essa, sia pure a costo di presentarsi alle elezioni con un partito destinato a percentuali da prefisso telefonico (e così scriveva il segretario di Alternativa Marino Badiale: "Condizione preliminare e irrinunciabile è però la rottura totale con l’intero arco della casta politica. Occorre rompere ogni contiguità rispetto alla casta, occorre rinunciare completamente all’idea di influenzare questo ceto politico.").
Quello che non mi convince nell'appello di 'Abbiamo un sogno', pur apprezzandone spirito, obiettivi e, nel suo pragmatismo, la possibilità di contare (se davvero vi aderissero tutti i movimenti che fanno parte del Forum per l'acqua pubblica …) nella vita politica nazionale, è l'idea di un governo degli onesti e del buon senso, dove i cittadini superate le proprie ideologie riescono a dar vita ad una forza politica in grado di perseguire realmente il bene comune. Una semplificazione che ricorda la convinzione di Grillo che attraverso internet si possa realizzare tout-court la democrazia e che rimuove la complessità delle questioni politiche, i rapporti di forza tra ceti sociali e gruppi di interesse, le scelte di governo che non sono solo il frutto di una cattiva amministrazione e di politici corrotti ma la risultante di un sistema capitalistico globale e dei potenti condizionamenti delle istituzioni economiche sovranazionali.
Vi sono decisioni (la precarizzazione del lavoro, il nucleare, gli inceneritori, lo smantellamento della scuola pubblica per citarne alcune) che rispondono a ben determinati interessi di parte, da contrastare e sconfiggere, e non costituiscono semplicemente un travisamento del buon senso.
L'ultimo interrogativo riguarda infine se esista una base sociale potenzialmente maggioritaria nel Paese che possa consentire di assumerne la guida a chi vuole cambiare realmente questa società e realizzare quelle cose che in fin dei conti coincidono, pur nella diversità di strategie e sensibilità, nella visione dei tanti soggetti in campo, della Fiom e degli elettori del PD, di Flores d'Arcais e Vendola, di Di Pietro e Ferrero, di Grillo e Jacopo Fo.
Il fatto che non riesca a prevalere elettoralmente dipende dal condizionamento e dal travisamento della realtà operata dal dominio pubblicitario e dei mezzi di comunicazioni di massa, che impedisce una presa di coscienza collettiva, dalla mediocrità e dai tradimenti dei politici che dovrebbero rappresentare questa area, oppure la realtà è che la maggioranza sono gli altri, coloro cioè che in questo sistema vedono realizzati i propri interessi e le proprie aspirazioni e non vogliono cambiarlo? E' più importante l'aspetto culturale, l'omologazione di desideri e valori tra operai e padroni nel comune assoggettarsi ad una entità superiore quale il Dio mercato, concetto richiamato da Umberto Galimberti per spiegare perché non vi sono, in Italia ed in Europa, le condizioni per una rivoluzione, oppure la reale stratificazione della società, il prevalere anche in termini numerici di chi ha non desiderio di sovvertirla: il popolo delle partite IVA e dell'impresa privata, in parte coincidente sotto la forma del 'nero', del secondo lavoro e dei legami parentali con lo stesso mondo dell'occupazione subordinata, dei boiardi di stato e del finto libero mercato (con le loro corti), dei ceti parassitari e che prosperano nell'illegalità?
E' un'area che ha una chiara rappresentanza politica che - supportata dall'ideologia oggi egemone dell'individualismo, dell'egoismo, della paura – ne cavalca i desiderata in tema di lassismo fiscale e di rispetto delle regole mentre la divisione dei lavoratori dipendenti in 'garantiti' e precari, tra cittadini italiani e immigrati indebolisce la possibilità di una coscienza e di una strategia unitaria.
Ha dunque ancora senso parlare di lotta di classe, soprattutto quando si deve constatare che anche gli iscritti alla CGIL votano Lega?
Forse solo riconoscendo che oggi lo sfruttamento avviene non esclusivamente attraverso il lavoro ma soprattutto attraverso la dittatura dei modelli di consumo e di vita, con l'imposizione di costi insostenibili per i beni prioritari (la casa anzitutto), con la conduzione di servizi pubblici inadeguati per il fatto di dover finanziare corruzione e ceti parassitari, nel degrado ambientale che pregiudica le condizioni di vita e la salute dei cittadini.
E che dunque un soggetto 'rivoluzionario, una maggioranza alternativa possa nascere dall'incontro di tutti coloro che avvertono l'ingiustizia e la ferocia di questa società: i lavoratori destinati tutti indistintamente ad un futuro di precarietà, i disoccupati, i vecchi, i disabili e le loro famiglie, le vittime dello scempio del territorio nelle forme della cementificazione, dell'inquinamento, delle discariche, della mancata prevenzione dei disastri naturali, gli abitanti delle grandi città prigionieri della follia del traffico e di tempi di vita alienanti, gli uomini e le donne ostaggio delle organizzazioni criminali, i giovani che vedono l'impossibilità di far emergere il proprio talento e le propria capacità.
Un popolo che dalla stridente contraddizione tra le proprie condizioni di vita e gli inaccettabili sprechi e privilegi di pochi troverà la forza per imporre la propria volontà di cambiamento.
Un popolo che dalla stridente contraddizione tra le proprie condizioni di vita e gli inaccettabili sprechi e privilegi di pochi troverà la forza per imporre la propria volontà di cambiamento.
Una vera alternativa potrebbe allora realizzarsi se accanto ad una strategia unitaria, lungimirante e generosa dei soggetti politici e dei movimenti di sinistra, si riuscisse a mettere insieme quella battaglia culturale, così spesso richiamata dal nostro Giandiego Marigo, per rimettere al centro la vera dimensione dell'essere umano, il suo bisogno di una socialità ricca e appagante e di armonia con l'ambiente naturale, di cui sono espressione tra le altre le lotte per i beni comuni, ed una solida prospettiva di intervento dello Stato, nei settori strategici dell'economia e della società, per garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni materiali vitali.
Restano peraltro altre due strade. Quella di un federatore, di un leader carismatico (che comunque non si vede all'orizzonte ...) che, in ossequio alla modalità oggi dominante della personalizzazione politica, abbia la forza di conquistare ed annettere movimenti e partiti realizzando una organizzazione egemone nella sinistra. Oppure che il futuro prossimo ci metta di fronte ad eventi catastrofici (guerre, default finanziario, esaurimento prima di quanto si possa prevedere delle risorse naturali fondamentali) che inevitabilmente comportino l'azzeramento delle attuali classi dirigenti e la necessità di una ricostruzione radicale e di nuove forme politiche.
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