Nel frastagliato e contraddittorio fronte dell'opposizione democratica e di sinistra c'è anche chi teme la fine del governo Berlusconi, convinto che il dopo possa essere anche peggio: che cioè, spazzato via un governo costretto praticamente all'inazione dalla debolezza che deriva dal declino umano del padrone di Mediaset, dalle sue pendenze giudiziarie, dai suoi interessi personalissimi inconciliabili con la guida di una Istituzione dello Stato, possa dispiegarsi nella sua interezza il programma sociale ed economico della Confindustria e di Marchionne, l'ulteriore attacco alle condizioni di vita e di lavoro dei ceti popolari. Brandendo le parole d'ordine di sviluppo, produttività, competitività, nel quadro di un insostenibile debito pubblico, a finanziare non la ripresa ed il risanamento economico ma il profitto privato e la speculazione saranno ancora una volta le spese sociali, i diritti e l'esistenza dei più deboli.
Le stesse riforme costituzionali volte a stravolgerne l'impianto democratico in senso presidenzialista e nella negazione dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge potrebbero diventare realtà senza più ostacoli.
E' interessante, ad esempio, quanto scrive al riguardo Bifo Berardi.
Si tratta di opinioni che hanno un loro fondamento. La crisi della maggioranza uscita vincente alle ultime elezioni si realizza infatti per volontà di una parte della destra e non a fronte di una sconfitta elettorale e di una mobilitazione democratica e progressista; ciò che Fini contesta non è il programma e l'ideologia berlusconiana ma l'incapacità di Berlusconi di realizzarli. In un'Italia in cui il centro destra, dall'UDC a Storace passando per Fini, il PDL e la Lega, ha nei sondaggi quasi il 60% dei consensi elettorali, i possibili scenari futuri, se non sarà proprio Berlusconi a succedere a sé stesso, sono quelli di un governo tecnico con PD, Fini e Casini per fare le riforme gradite ai poteri forti, con la prospettiva che anche la CGIL - oltre CISL e UIL - si renda complice di tale disegno garantendo la pace sociale, o della conquista da parte di Fini della leadership dell'intera destra.
Ma l'uscita di scena di Berlusconi è comunque un atto dovuto. Qualcosa di non più procrastinabile, una sacrosanta liberazione per cui bisognerà festeggiare. Un fatto di decenza, di decoro, la restituzione di un minimo di dignità al nostro Paese, la possibilità di ricominciare a pensare la politica come il luogo dove si compiono le grandi scelte che riguardano la collettività, di sfuggire dalla prigione di un buco nero dove confluiscono tutte le nostre energie, ostaggi di deprimenti discussioni pro o contro, di scontri tra tifosi in cui l'oggetto del contendere sono reati e processi, amicizie e legami vergognosi e inaccettabili, comportamenti che contraddicono l'obbligo costituzionale di servire la Patria con disciplina e onore.
E' liberare, momentaneamente, la casa comune dai rifiuti che si sono accumulati e dal fetore che essi provocano, sapendo che non basterà una rinfrescata alle pareti per renderla di nuovo abitabile, sapendo che servirà una ristrutturazione profonda e che si dovranno rafforzare le fondamenta per evitare che crolli tutto l'edificio.
Ma coscienti che il progetto e la direzione dei lavori saranno ancora in mano a chi ha portato l'Italia in queste condizioni.
Ed allora, liberati dall'ossessione narcotizzante di Berlusconi, sarà proprio questo il terreno per tornare a fare politica, per un'opposizione intransigente e consapevole, per la ricerca di un'alternativa a questo sistema, a partire da quelle forze, da quei movimenti, da quei cittadini che sono scesi in piazza con la Fiom lo scorso 16 ottobre.
Credo sia un augurio che in tanti ci facciamo...
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