Non c'è mai troppo da attendersi dai discorsi di fine anno dei Presidenti della Repubblica, sempre intrisi di retorica e banalità. Con l'eccezione, per quanto mi riguarda, di Sandro Pertini l'unico che sapesse unire la capacità oratoria con la saldezza di principi e valori ben piantati nella credibilità e nel prestigio fondati su di una esemplare storia personale di onestà e correttezza.
Ma stante la drammatica situazione italiana, nella quale Napolitano sta svolgendo un ruolo ben diverso dal consueto Notaio della Repubblica avendo operato come l'ostetrico che con il forcipe ha portato alla luce il governo Monti (telefonata o non telefonata della Merkel: certe 'aspettative' si colgono senza bisogno di ordini espliciti), risultava interessante conoscerne il messaggio.
E allora, al di là della retorica di rito, ci sono aspetti che decisamente non convincono.
Le affermazioni sulla non inutilità dei sacrifici e sull'auspicio della crescita economica e la fiducia che essa possa tornare, cioè assunti che sono ormai contestati e negati se non da consistenti forze partitiche certamente da numerosi cittadini.
L'apologia delle missioni militari italiane di guerra all'estero in palese contrasto con il dettato costituzionale.
Ma è questo, a mio avviso, il passaggio che più colpisce negativamente (anche se non stupisce in chi a suo tempo è stato fautore del dialogo con il corrotto Craxi e in chi è passato dalla obbedienza all'URSS sull'invasione dell'Ungheria al più totale appiattimento alle politiche della Nato e degli USA):
"Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi – nessun gruppo sociale – può sottrarsi all’impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell’Italia. Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive."
Vi è qui una ricostruzione mistificatoria, e in piena sintonia con certa vulgata liberista, della storia italiana almeno degli ultimi decenni: che cioè serva più mercato e meno Stato e che il debito pubblico e la crisi finanziaria siano la conseguenza di un tenore di vita degli italiani al di sopra delle proprie possibilità e a spese dell'Erario e non il frutto avvelenato delle ruberie e degli sprechi di ben determinati soggetti e caste (con l'evasione fiscale, con la corruzione, con gli sprechi del ceto politico, con il peso sempre maggiore assunto dalla criminalità organizzata).
Se si fanno due conti, moltiplicando per dieci o venti anni, le centinaia di miliardi a cui ammontano questi autentici tumori della società italiana si fa presto ad arrivare ai 1.900 miliardi a cui ammonta attualmente il debito pubblico.
Dire oggi che siamo tutti sulla stessa barca e che nessuno può sottrarsi ai sacrifici, senza prima presentare il conto a chi ha determinato questa situazione e non ha nemmeno cominciato a pagarla, è offensivo per l'intelligenza dei cittadini e per la drammatica condizione di tanti di essi.
Complimenti per il tono pacato usato per commentare le assolute bugie del Capo dello Stato.
RispondiEliminaPer quel che riguarda" a chi presentare il conto",
purtroppo non c'è alcuna possibilità!Molta sofferenza e dolore per gli ultimi....Ma mi è sempre piaciuta la battuta,o meglio il gesto di Fra' Cristoforo,che alzando il dito in alto avvertì Don Rodrigo:"Verrà il giorno....."