Non è mia intenzione, non ne avrei il tempo, non ne sarei in grado, di ripercorre la storia di Fiat ed ENI.
Ma rispetto all'eterno dibattito tra Stato e Mercato, soprattutto ora che il nuovo Governo intende spingere sull'acceleratore di privatizzazioni e liberalizzazioni in funzione della realizzazione di un più libero mercato e della crescita, credo sia utile fermarsi un momento a pensare sull'attuale rispettivo ruolo di Fiat ed ENI.
Per entrambe queste grandi aziende esistono inquietanti buchi neri nella propria storia: per la Fiat le accuse di compromissione con il fascismo del proprio fondatore, i procedimenti penali riguardanti la schedatura di operai e sindacalisti e per il pagamento di tangenti e per il falso in bilancio; per l'ENI il progetto di Enrico Mattei di farne una macchina da guerra per le proprie ambizioni politiche, innumerevoli vicende di corruzione e tangenti, un elevato costo ambientale pagato dai cittadini.
Entrambe sono state protagoniste dello straordinario sviluppo industriale italiano del secondo dopoguerra. Uno sviluppo che non è solo una storia gloriosa di capacità imprenditoriali ma soprattutto il frutto del sacrificio e della vita di milioni di lavoratori.
La differenza fondamentale però è nell'oggi.
L'azienda privata Fiat, dopo decenni in cui è stata sovvenzionata dallo Stato con i soldi dei contribuenti e che ha goduto della scelta politica di un modello di sviluppo dei trasporti, confacente al proprio interesse particolare, fondato sul trasporto individuale su gomma e sulla realizzazione di autostrade anziché su quello collettivo, pubblico e che privilegiasse la rotaia, ridimensiona ora la propria presenza in Italia. Rinuncia al suo ruolo di guida dell'industria e dell'economia italiana, abbandona al proprio destino decine di migliaia di lavoratori impegnati direttamente o nell'indotto, contribuisce alla desertificazione industriale di territori in cui è sempre stato elevatissimo il potere della criminalità. Perché il suo mestiere di impresa privata, questo è il libero mercato, è di andare dove maggiore può essere il profitto (e lo fa con l'arroganza di Marchionne e senza nemmeno dare atto dei benefici che ha ricevuto nel tempo dallo Stato e dell'impegno degli uomini e delle donne che, alle dipendenze della Fiat, hanno contribuito a farne la storia).
L'azienda ancora a prevalente controllo pubblico, l'ENI, al contrario continua a rappresentare un asset strategico dell'economia italiana, impiega tuttora decine di migliaia di dipendenti, versa annualmente nelle casse dello Stato la sua quota di dividendi pari a centinaia di milioni di euro, promuove una ricerca tecnologica di cui beneficeranno anche i cittadini italiani, garantisce l'approvvigionamento delle fonti di energia per il nostro Paese soprattutto attraverso accordi internazionali in cui di fatto opera quasi come un un ministero degli Esteri conservando all'Italia, in questo campo, un ruolo cruciale nel mondo.
Cosa farebbe un'ENI privatizzato e diventato la succursale di qualche multinazionale olandese, russa, francese o americana in caso di crisi della disponibilità delle fonti di energia? Che non è un'eventualità che nasce dalla fantasia di qualche menagramo catastrofista ma qualcosa che si è più volte verificato (e si verificherà ancora) nella storia, per le guerre o per le rivendicazioni politiche dei paesi produttori, e tenendo conto che prima o poi dovremo fronteggiare il progressivo esaurimento dei combustibili fossili.
Darebbe comunque la priorità ai bisogni italiani oppure sarebbe costretto a privilegiare gli interessi e gli obiettivi della Nazione di appartenenza della Casa Madre?
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