E' un'illusione e un inganno pensare
che una buona legge elettorale ed una funzionale architettura
costituzionale possano determinare la buona qualità ed il dignitoso
funzionamento delle istituzioni democratiche rappresentative in assenza di
un diffuso senso civico dei cittadini e di un sistema informativo
libero e pluralista che diffonda conoscenza e consapevolezza.
Elementi che sono determinanti per assicurare la selezione di una
classe dirigente onesta e capace.
Ma certo il cul de sac in
cui è finita la democrazia italiana, con una frammentazione politica
ed il discredito generalizzato in cui sono cadute le organizzazioni
partitiche che rendono impossibile la formazione di un nuovo Governo
salvo riprodurre quegli inciuci PD-PDL-centro montiano che hanno
sospinto ancora di più l'Italia nel baratro della crisi, impone
l'immediata a radicale riforma della legge elettorale, il famigerato
Porcellum, e probabilmente, con tutte le cautele del caso, anche
dell'assetto istituzionale.
Riforme che
dovrebbero contemperare due esigenze egualmente fondamentali e tra
loro contrapposte: la tutela e la rappresentanza delle minoranze e la
governabilità. E insieme a queste garantire il Paese da possibili
futuri colpi di mano sulle regole generali del sistema (Costituzione,
legge elettorale) da parte di minoranze 'maggioritarie'.
La mia idea è che
queste due esigenze - tenendo conto da un lato della natura del
nostro Paese con i suoi mille campanili geografici, culturali,
politici e dall'altro dell'architettura costituzionale complessiva
che si fonda sulla rappresentanza proporzionale - potrebbero e
dovrebbero essere realizzate differenziando le funzioni delle due
Camere legislative (prevedendo comunque per entrambe il dimezzamento
dei membri, il ripristino della preferenza, norme a garanzie della
presenza femminile) e nel contempo stabilendo per il Presidente del
Consiglio l'elezione con la formula attualmente adottata per i
sindaci, con un sistema a doppio turno e con il ballottaggio dei due
candidati più votati se nessuno ottiene più del cinquanta per cento
dei voti al primo turno.
Al Senato, nel
quale la maggioranza assoluta dei membri verrebbe attribuita al
partito o alla coalizione espressione del Presidente del Consiglio
vincente ed unico organo legislativo del quale il Governo dovrebbe
mantenere la fiducia, andrebbero assegnate competenza esclusiva sulle
materie specifiche di governo quali, ad esempio, politica estera e di
difesa, sicurezza, bilancio, economia e finanza, istruzione, sanità,
ambiente.
Invece la Camera
dei Deputati, da eleggere con un sistema proporzionale puro, terrebbe
per sé le funzioni di indagine, di controllo (la commissione sui
servizi segreti, le commissioni di inchiesta sulla mafia, la
commissione di vigilanza sulla RAI), di interpellanza degli organi di
Governo, di concorrere o di averne il potere in via esclusiva per
quanto attiene l'elezione degli organi costituzionali e di garanzia
(il Presidente della Repubblica, i membri della Corte Costituzionale
e del CSM, i membri della authorities), il potere di sottoporre
all'eventuale esame della Corte Costituzionale, su richiesta di un
numero significativo dei suoi membri, i provvedimenti legislativi, il
potere di proposta legislativa e di esaminare le leggi di iniziativa
popolare, il potere di partecipare alla funzione legislativa per
quanto attiene ai diritti civili e di libertà (ad esempio
per tutta la materia dell'informazione), le modifiche costituzionali e le regole di sistema.
Ovviamente a fronte
di questo schema così rudimentalmente descritto andrebbero valutate
e definite ulteriori decisive fattispecie quali la titolarità del
potere di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni o
l'eventualità di dimissioni volontarie o di impedimento da parte del
Presidente del Consiglio.
Fermo restando che
queste riforme elettorali-costituzionali necessitano poi di essere
accompagnate da ulteriori interventi legislativi sui costi della
politica e sul finanziamento pubblico ai partiti (da riformare ma, a
mio avviso, non da abolire), sull'attuazione legislativa della
previsione costituzionale del necessario 'carattere democratico' di
partiti e sindacati, sulla moralizzazione della vita pubblica e sulle
regole di ineleggibilità / incompatibilità (anagrafe patrimoniale
dei candidati e degli eletti, carichi penali pendenti, norme sul
conflitto di interesse, divieto di mantenere incarichi politici
plurimi, numero massimo di mandati elettivi, abolizione o drastico
ridimensionamento del potere di nomina politica degli amministratori
delle società partecipate o controllate dallo Stato e dagli enti pubblici come RAI,
municipalizzate o ASL), sulla massiccia immissione di pezzi di
democrazia diretta nella vita istituzionale, la mia convinzione è
che l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, pur portando con
sé il rischio di un ulteriore rafforzamento della personalizzazione
della politica, rappresenti la migliore soluzione possibile.
Perché dentro il
contesto delle istituzioni democratiche rappresentative (questo è il
meglio di quello che ci ha trasmesso, come sistema di governo, la
storia!) garantirebbe efficienza e trasparenza nella governabilità, perché
il bicameralismo imperfetto così come descritto rappresenterebbe una
sufficiente tutela da colpi di mano costituzionale sempre possibili,
come dimostra il ventennio berlusconiano, con il maggioritario puro,
perché le elezioni a doppio turno a differenza di quelle a turno unico non
comportano la prevalenza ineluttabile del centro ma lasciano aperta
la strada a scelte inaspettate e radicali (un caso per tutti quello
dell'elezione di De Magistris a sindaco di Napoli) e nel ballottaggio
finale danno la possibilità ai cittadini di scegliere in modo
trasparente e diretto ciò che preferiscono o ritengono meno peggio.
Sulla
demonizzazione poi della personalizzazione della politica
bisognerebbe riflettere sulle vicende recenti del Sud America dove
proprio dei Presidenti eletti dal popolo – Chavez, Morales, Lula,
Mujica, Correa – hanno consentito il prevalere di istanze
socialiste o popolari.
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