E' largamente diffusa nel
sentire comune la convinzione che riconoscere gli errori del passato
possa aiutare a non ripeterli nel corso della propria esistenza. Non
so se ciò valga realmente per gli individui, assai frequentemente
prigionieri di una coazione a ripetere nel tempo le stesse scelte del
passato, e tanto più per gli organismi sociali più o meno
complessi.
Sicuramente questa
capacità di elaborare le proprie esperienze fallimentari è fin qui
mancata completamente a quell'area politica e ideologica variamente
definita di sinistra radicale o di ispirazione marxista e
comunista/socialista o di alternativa anticapitalista. Questa area
politica non è più presente in Parlamento dal 2008, nel 2013 con
Rivoluzione Civile ha raggiunto risultati ancora più modesti della
Lista Arcobaleno e regolarmente manca il quorum necessario a portare
propri rappresentanti nelle Assemblee elettive (si guardi, per
citarne solo alcuni, agli esempi delle elezioni regionali in Sicilia
e per il sindaco di Roma).
Tralascio qui di
richiamare le analisi che attraverso la ricostruzione delle
trasformazioni sociali, economiche, culturali, valoriali intervenute
nel nostro Paese e degli errori tattici e strategici commessi dai
propri dirigenti provano a dare conto della crisi anzi, per meglio
dire, della scomparsa della sinistra in Italia (caso forse unico in
Europa) per limitarmi al mero aspetto, per così dire, del marketing
politico.
L'ambito del marketing
politico è certo aspetto secondario e risulta per noi di sinistra
particolarmente odioso prenderlo in considerazione.
Ma, al netto dei contenuti
programmatici, di radicamento sociale e territoriale, di selezione
dei candidati, delle convinzioni e delle consapevolezze diffuse tra
le persone, dei fattori di distorsione della nostra democrazia
(mafia, corruzione, voto di scambio, informazione, Vaticano, sistema
elettorale maggioritario) non si può comprendere - in un Paese dove
esisteva il più importante partito comunista dell'Occidente insieme
ad un partito socialista che, prima di Craxi, era il partito
socialista di Pertini, di Nenni, di Lombardi oltre alle feconde,
ancorché minoritarie, esperienze della sinistra extraparlamentare –
che una lista di sinistra radicale non riesca oggi, pur in una
situazione storica completamente diversa dal passato, a raggiungere a
livello nazionale un misero 4 o 5 per cento senza prendere in
considerazione anche l'attrattività del 'marchio' sinistra.
E allora con un sistema
dell'informazione monopolizzato, nell'ambito delle forze di sistema,
dal qualunquismo berlusconiano e dalla falsa sinistra del PD (leggi
alle voci Fabio Fazio, Formigli, Ballarò, Repubblica) e, di quelle
dell'opposizione, dai temi della legalità e della lotta alla casta
(da Di Pietro a Grillo passando per Travaglio e Santoro) costituisce
un autentico suicidio politico cambiare ad ogni elezione nome e
simbolo, restare nell'ambiguità dei programmi e delle alleanze
perseguite e pensare di poter ottenere un qualche risultato dignitoso
materializzandosi come concreta proposta politica solo a pochi mesi dal
voto.
Tanto più quando si hanno
risorse finanziarie ridotte all'osso per fare campagna elettorale
(per intenderci non alla Alfio Marchini) e si viene 'naturalmente'
oscurati dal sistema dell'informazione (da Repubblica e il TG3 fino
ai giornali e alle tv berlusconiane).
Giustificare poi, dopo che
non ci si è preparati per tempo, le inevitabili sonore sconfitte di
queste liste 'last minute', prive di credibilità e costruite senza
una reale partecipazione popolare, con le poche settimane avute a
disposizione per farsi conoscere e con il boicottaggio mediatico (ci
mancherebbe pure che avvenisse il contrario per delle forze che si
presentano come antisistema) appare totalmente miope e ridicolo.
Teniamo conto che Grillo
(e questa riflessione esula dal giudizio politico che possiamo
darne), pur avendo a disposizione professionisti di primo piano della
comunicazione, ha impiegato anni prima di acquisire un ruolo centrale
nella vita politica nazionale.
Eppure, anche se già nel
2014 saremo chiamati a votare per le Europee (che non sono
consultazioni di secondo piano) e che l'instabilità politica non
rende impossibili nuove elezioni politiche generali fra 6 sei mesi o
fra un anno o due, non è stato ancora avviato alcun processo a
sinistra di composizione di una robusta proposta elettorale (forse
qualcuno pensa di poter tenere le mani libere per poter scegliere
all'ultimo momento il collocamento più vantaggioso).
Se le principali
iniziative attraverso le quali si tenta di ricostituire una sinistra
di alternativa fanno capo ad ALBA, a Ross@ di Giorgio Cremaschi e a
ciò che resta di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani,
non è pensabile, salvo colpi di scena al momento imprevedibili, che
alcuno di questi raggruppamenti possa da solo nelle prossime contese
elettorali superare il quorum e permettersi di ignorare i propri
parenti/rivali.
Si tratta dunque di
raggruppamenti che saranno 'condannati' a coesistere – dentro
un'unica lista o un'unica coalizione – anche in futuro.
L'alleanza naturale di
tali forze, pur a fronte di differenti visioni, si fonda peraltro -
nella convinzione di essere alternativi alle destre, al
centrosinistra a guida PD e al Movimento 5 Stelle - sulla convergenza
su alcuni elementi fondamentali: la lotta alla dittatura finanziaria
dell'Unione Europea, il proposito di costruire un'alternativa al
capitalismo, la difesa dell'ambiente, il pacifismo ed il rifiuto
dell'impiego delle forze armate italiane in missioni di guerra
all'estero, la centralità del lavoro e dei diritti sociali e civili,
la tematica dei beni comuni, la difesa della Costituzione.
E allora sarebbe cosa
giusta, sensata e razionale definire da subito un 'contenitore'
comune – fatto di un programma minimo condiviso, di un nome, di un
simbolo, di regole per la scelta dei candidati, di una strategia e di
una squadra per la comunicazione, con un tesseramento proprio e
assumendo il principio una testa/un voto per assumere decisioni –
con il quale farsi conoscere dagli italiani e 'fidelizzare' almeno il
proprio popolo.
Si tratta di un'operazione
minima di marketing politico che certo non esime la sinistra
dall'intraprendere quel lungo e difficile percorso di ridefinizione
ideologica, programmatica, culturale e di immersione nella società
necessari a rientrare in sintonia con i ceti subalterni che intende
rappresentare ma che risulta parimenti assolutamente indispensabile.
Un'operazione che dovrebbe
poi poter coesistere con la legittima ambizione da parte delle varie
componenti coinvolte di seguire singolarmente le proprie strategie e
la propria strada per ottenere quel radicamento sociale e quella
visibilità politica a cui ambisce.
Se tale soggetto comune
acquisirà - connettendosi alle lotte e alle iniziative di resistenza
sul territorio e per riconquistare diritti e lavoro, configurandosi
come uno dei principali oppositori al progetto in atto di
stravolgimento della Costituzione – una sufficiente massa critica
potrà poi porsi, al momento opportuno, come polo di attrazione per
tutta quell'area sociale, culturale, politica che auspica
un'autentica alternativa e una vera rivoluzione democratica.
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