"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

mercoledì 29 giugno 2011

Sul rapporto tra i partiti e i movimenti


La democrazia rappresentativa è ovunque in crisi nel mondo occidentale. Se negli Stati Uniti storicamente il voto è sempre stato espressione di una minoranza (anche come deliberata scelta di escludere parte della popolazione dalla competizione elettorale), in Europa la disaffezione nei confronti della politica ufficiale dei partiti trova espressione nell'astensionismo e nel moltiplicarsi di movimenti, nuovi partiti, iniziative di protesta estranee alle tradizionali forme di organizzazione politica.
Tutto ciò è la conseguenza della globalizzazione, dell'esproprio della possibilità dei governi nazionali di prendere decisioni in autonomia rispetto alla dittatura del turbocapitalismo liberista che costringe le coalizioni di destra e sinistra che si alternano al potere a riproporre sostanzialmente le stesse politiche e che lascia sul campo unicamente il carattere di casta e ceto parassitario della dirigenza partitica.
Gli sbocchi di questa crisi della politica sono stati in Europa da un lato l'esplodere di movimenti populisti e razzisti (soprattutto nei paesi dell'est europeo ma anche in Italia con la Lega, in Francia con Le Pen, oltre che in Finlandia e in Olanda per citarne solo alcuni) dall'altro nuove forme di partecipazione e di attivismo sociale, anche grazie alle opportunità offerte dalla rete, che nascono spontaneamente nella società civile e che ripropongono temi e valori che in gran parte appartengono alla tradizione della sinistra ma che ad essa non possono essere circoscritti avendo un carattere di trasversalità che certo gli va oltre. La protesta in Grecia contro l'austerità imposta dall'Unione Europea e gli Indignados in Spagna rappresentano due esempi di una nuova modalità di opposizione antagonista ai vecchi poteri.
In Italia la vittoria nei referendum, il raggiungimento del quorum dopo 16 anni in cui ciò non avveniva, ha rappresentato fin qui il culmine di un processo contraddistinto dal protagonismo dei cittadini, da manifestazioni per il lavoro, l'ambiente, la scuola, la legalità, la pace, da un florilegio di nuovi partiti, movimenti, laboratori politici.

La rete, i social network, i blog, i forum hanno svolto un ruolo fondamentale in questo processo e hanno contribuito a definire contenuti e caratteri di questo nuovo impegno sociale: reticolare, orizzontale, libertario e anti-autoritario, capace di diffondere notizie e proposte al di là degli abituali canali comunicativi e di sezionarle e sviscerarle con un lavoro collettivo e condiviso, in grado di fare le pulci a qualunque leader e leaderino che deluda o contraddica le aspettative dei cittadini.

I partiti, chi per opportunità tattica chi per convinzione culturale ed ideologica, sono pienamente consapevoli di questo vento nuovo e a parole affermano di volerne tenere conto: basta leggere le dichiarazioni degli esponenti della Lega sulle sberle ricevute con le amministrative e ai referendum e le aperture ai movimenti da parte di tutto il centrosinistra, da Ferrero a Vendola, da Enrico Letta a Di Pietro.
Ma di fatto l'establishment pretende di continuare ad assegnare ai movimenti un ruolo marginale: nei talk show politici e nei telegiornali hanno voce solo i rappresentanti dei partiti, con la repressione del movimento No Tav si nega il diritto di una comunità a decidere della propria vita e del proprio territorio, con la manovra finanziaria del governo Berlusconi-Tremonti si ignora la richiesta dei cittadini di ridurre drasticamente costi e privilegi della politica ed al contrario si ripropongono i soliti tagli al welfare e alle pensioni e per di più – furbescamente e surrettiziamente – quelle norme ad personam in materia penale che i referendum hanno solennemente bocciato, con gli accordi tra Confindustria e CGIL-CISL-UIL si nega la possibilità di una vera democrazia sindacale ed il diritto per i lavoratori di scegliere liberamente i propri rappresentanti e di decidere i contenuti dei contratti che li riguardano.
Sotto certi aspetti i partiti (e i sindacati confederali) hanno ancora il coltello dalla parte del manico: possono contrapporre la propria struttura organizzata, gerarchizzata, la visibilità televisiva, i mezzi economici di cui dispongono ad un caleidoscopio di istanze e di richieste, a volte tra loro in contraddizione e che comunque non può godere, perché sarebbe contro la sua stessa natura reticolare, orizzontale, antiautoritaria, di una forma organica e istituzionalizzata. Ciò dunque a cui aspirano i partiti è di poter cooptare al proprio interno qualche portavoce più o meno legittimo di questo o quel movimento per potersi appuntare al petto la medaglia del dialogo con la società civile.
Eppure non è più pensabile oggi riproporre il rapporto movimenti-partiti di altre epoche fondato sul collateralismo e sulla subordinazione dei movimenti ai partiti, in cui i movimenti perseguivano istanze particolari mentre ai partiti spettava il compito della sintesi politica.
Quale ruolo istituzionale e politico generale potrà dunque conquistarsi questa galassia di cittadini, movimenti, associazioni, comitati, gruppi? E' possibile individuare una piattaforma comune di valori e di rivendicazioni e possono essere individuate queste nella lotta al precariato, nella contrapposizione alle caste e ai loro privilegi, nella richiesta di un'economia al servizio dei cittadini e non delle oligarchie, nella difesa della legalità, dell'ambiente, del territorio e della salute, nella tutela dei beni comuni, nella rivendicazione di servizi pubblici efficienti ed efficaci e di una scuola pubblica all'altezza dei tempi, nella giusta pretesa di un'eguaglianza delle opportunità e di far prevalere merito e valore nei confronti di cricche e clientele, nella lotta per forme di democrazia diretta e di partecipazione senza mediazioni partitiche alle decisioni pubbliche? Si deve dunque auspicare una costituente dei movimenti oppure l'unica strada è individuare delle battaglie da combattere su specifici temi?
Di certo non saranno i partiti spontaneamente a fare un passo indietro e a regalare parte del proprio potere: o saranno i cittadini a riprenderselo oppure questa pacifica rivoluzione dal basso perderà la propria spinta propulsiva.
Poiché non credo che i partiti siano eliminabili per il funzionamento della vita politica e considerato che i nuovi che si formassero rischierebbero di ripercorrere i difetti di quelli già esistenti, forse l'esito più logico e sensato è il permanere di un dualismo e di una contrapposizione tra vecchia (i partiti) e nuova (i cittadini e i movimenti) politica: in cui quest'ultima eserciti la propria funzione mantenendo il fiato sul collo sulle istituzioni e sui membri dei governi e delle assemblee elettive e conquistando via via sempre più forme di controllo e di partecipazione diretta alle decisioni pubbliche.

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