Il 15 luglio scorso, per errore di cui mi scuso, ho pubblicato un articolo a firma di Ruggiero Lauria. In realtà, Ruggiero Lauria è autore soltanto della riproposizione in un unico testo di materiale di approfondimento tratto da altri autori. Ricevuta la segnalazione da uno degli autori interessati, chiarito l'equivoco con R. Lauria, ripropongo l'articolo con la dovuta e puntuale citazione delle fonti, come indicatemi da Lauria stesso.
"Giornali e televisioni ogni tanto ci dicono che il popolo italiano ha un mostruoso debito pubblico, ma nessuno ci dice verso chi siamo debitori. Apparentemente la cosa non è semplice da spiegare, in effetti la spiegazione è semplicissima.
Per farla capire dobbiamo tuttavia rifarci al 1861. L'anno dell'unità d'Italia.
Nel 1849 si costituiva in Piemonte la Banca Nazionale degli Stati Sardi, di proprietà privata. L'interessato Cavour che aveva infatti propri interessi in quella banca; impose al parlamento savoiardo di affidare a tale istituzione compiti di tesoreria dello Stato. Si ebbe, quindi, una banca privata che emetteva e gestiva denaro dello Stato! A quei tempi l'emissione di carta moneta veniva fatta solo dal Piemonte, al contrario il Banco delle Due Sicilie emetteva monete d'oro e d'argento. La carta moneta del Piemonte aveva anch'essa una riserva d'oro (circa 20 milioni), ma il rapporto era che ogni tre lire di carta valevano una lira d'oro. Il fatto è che, per le continue guerre che i savoiardi facevano, quel simulacro di convertibilità in oro andò a farsi benedire, sicché ancor prima del 1861 la carta moneta piemontese era diventata carta straccia per l'emissione incontrollata che se ne fece. (ci meravigliamo poi che gli Usa, abbiano fatto la stessa cosa, quando il 15 agosto del 1971, Nixon annunciò a Camp David la decisione di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, e l'abrogazione unilaterale degli accordi di Bretton Woods "svincolando" il dollaro dal cambio con l'oro)
Avvenuta la conquista di tutta la penisola, i piemontesi misero le mani nelle banche degli Stati appena conquistati. Naturalmente la Banca Nazionale degli Stati Sardi divenne, dopo qualche tempo, la Banca d'Italia. Avvenuta l'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete d'oro per trasformarle in carta moneta secondo le leggi piemontesi, poiché in tal modo i Banchi (del bistrattato Sud) avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e così facendo sarebbero potuti diventare padroni di tutto il mercato finanziario italiano.
Invece quell'oro piano piano passò nelle casse piemontesi. Tuttavia, nonostante tutto quell'oro rastrellato al Sud, la nuova Banca d'Italia risultò non avere parte di quell'oro nella sua riserva. Evidentemente aveva preso altre vie, che erano quelle del finanziamento per la costituzione di imprese al nord operato da banche, subito costituite per l'occasione, che erano socie (!) della Banca d'Italia: Credito mobiliare di Torino, Banco Sconto e Sete di Torino, Cassa generale di Genova e Cassa di sconto di Torino.
Le ruberie operate e l'emissione non controllata della carta moneta ebbero come conseguenza che ne fu decretato già dal 1 MAGGIO 1866, il corso forzoso, cioè la lira carta non poté più essere cambiata in oro.
Da qui incominciò a nascere il Debito Pubblico: lo Stato cioè per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta a una banca privata. Lo Stato, quindi, a causa del genio di Cavour e soci, ha ceduto da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta).
MA CHI VIGILA? Oltretutto da quando nel 1935 fu decretato definitivamente che la lira non era più ancorata all'oro, si ebbe che il valore della carta moneta derivò da allora semplicemente e unicamente dalla convenzione di chi la usa e accetta come mezzo di pagamento. La carta moneta, dunque, è carta straccia e in realtà alla Banca d'Italia (che è privata), a cui si dovrebbe pagare il debito pubblico, non si deve dare nulla.
Ed è necessario, infine, ricordare che ancora oggi le quote dell'attuale Banca d'Italia sono possedute da varie Banche e da Assicurazioni, cioè enti privati su cui la Banca d'Italia dovrebbe.... vigilare.
Da tutto questo potete facilmente capire in mano a chi siamo e che, dato che la Banca d'Italia e soci azionisti hanno un immenso potere finanziario e... politico... qualsiasi governo in Italia conta come il due di briscola.
Il debito pubblico non è il debito che i cittadini hanno con la banca, bensì il prestito che i cittadini fanno alla banca sotto forma, per lo più, di titoli di stato. I soldi con cui i cittadini comprano i titoli di stato vengono spesi dal governo o dalla banca dello stato (che come abbiamo notato sono fratello e sorella). Gli interessi del debito pubblico (che lo stato deve ai cittadini contraenti) non sono ricavati dall'investimento dei soldi che hanno acquistato i titoli, bensì dalle imposte che gravano sui cittadini tutti. Da questo punto di vista, il debito pubblico non fa altro che consolidare una fascia di creditori dello stato che si assicurano tramite i titoli comprati una rendita, che è parte delle imposte.
Questo spiega, perchè quando ci sono i governi in crisi, il premier è quasi sempre un governatore della Banca d'Italia (Carli - addirittura a un certo momento assume la presidenza della Confindustria, per poi tornare al governo (assistenzialista) come ministro del Tesoro). Cioè con i "santi" al vertice delle autorità monetarie e quindi di governo." *
"La quantità di denaro in circolazione consiste:
nella moneta coniata (metallo) emessa dalla banca centrale,
nei biglietti di corso legale (carta) emessi dalla banca centrale come banconote,
nei crediti concessi dalle banche a favore dei loro clienti in eccesso del valore dei biglietti di cui hanno il diritto di disporre e cioè di quelli di loro proprietà o a loro prestati da clienti per un periodo più o meno lungo (depositati in conti di risparmio non pagabili a vista come ad es. "bot", depositi a medio e lungo termine, ecc.).
Quando le banche centrali periodicamente pubblicano il valore complessivo della massa monetaria (o "circolazione fiduciaria"), la vera situazione viene nascosta: le cifre si riferiscono solo al valore dei biglietti emessi e trascurano l'ammontare dei crediti non coperti in contanti concessi dalle banche. In sostanza questo denaro è in giro, ma non viene dichiarato nel conteggio. Tutte le banche, con la complicità della banca centrale, espandono dunque mediante moneta virtuale i loro crediti, cioè i loro "prestiti", di cui però la moneta realmente circolante comprende solo la parte minore. Ma si tratta in realtà di "prestiti" che, non essendo coperti da contanti, non sono veri prestiti (un prestito si ha quando un essere umano si priva temporaneamente di una cosa in favore di un altro essere umano) e ciò nondimeno considerati come moneta circolante e pertanto surrettiziamente conteggiati nella base monetaria. Il capitale quindi viene creato astrattamente - cioè dal nulla... senza alcun sacrificio - e messo in circolazione.
Tale modo di procedere astratto ha sempre pesato solo su coloro che sono invece capaci di fare i sacrifici: il popolo strumentalizzato e scientificamente persuaso (anche se si tratta di manovre e procedure convenzionali si veda per esempio quanto è costata - e a chi - l'emissione della nuova moneta: "Non sorprendano, gli aumenti [dei prezzi al consumo]. L'introduzione dell'euro ha comportato costi molto elevati. Nessuno lo dice, ma stando a valutazioni riservate quanto attendibili, si collocano in una forchetta fra i 150 e i 300 mila miliardi di lire per l'intero Continente. Con una semplice divisione, se ne deduce che peseranno sui 305 milioni di eurocittadini fra il mezzo e il milione di lire. (Ovvero, fra 208 e 516 euro pro-capite). A parte conio e stampa di monete e banconote e loro distribuzione, vanno considerati i costi sostenuti dalle strutture commerciali e finanziarie per l'adeguamento delle tecnologie" - scritto dall'economista Giancarlo Galli su "Avvenire" del 3 gennaio 2002). In ogni caso, la truffa di cui nessuno parla, consiste nel fatto che il denaro di tali emissioni, pur non essendo denaro della banca centrale ma denaro dello Stato, cioè dei cittadini, è dato ai cittadini in prestito e i cittadini lo restituiscono addirittura con gli interessi. Ciò premesso, il "denaro di banca" o debito virtuale emesso dalle banche non è emesso in quantità costante. Quest'ultima parte da un minimo (comunque ingente) che viene di quando in quando aumentato allorché la banca centrale sia d'opinione che si stia per entrare in un "periodo di fiducia": allora i crediti vengono man mano estesi e ne risulta una graduale inflazione di denaro in circolazione. Ciò vuol dire un andamento generale di rincaro dei prezzi che a sua volta stimola l'attività di tutti i produttori - non solo quelli che hanno ricevuto i prestiti bancari. Vi saranno infatti sia produttori che secondo i loro piani aziendali decidono di richiedere un prestito d' impresa, sia altri che decideranno di accrescere la produzione soltanto per speculare sul momentaneo rincaro dei prezzi - perché essi hanno la prospettiva di vendere con un margine più alto di profitti (dato appunto il rincaro dei prezzi). La maggior quantità di merci che viene man mano messa sui mercati non è pertanto limitata solo alla nuova produzione di quelle ditte che hanno tratto beneficio dai crediti concessi, ma anche di tutte le aziende che cercano di trarre profitti dalla situazione inflazionistica con il puro intento di vendere a prezzi più alti.
Ciò vanifica il meccanismo produttivo del libero mercato e della concorrenza il cui fine legittimamente equilibrato è quello di vendere le merci al prezzo più basso possibile, facendo aumentare in modo sano il potere d'acquisto del denaro contro ogni tentativo d'inflazione (La prima cosa che un produttore può fare per battere la concorrenza è logicamente quella di abbassare i prezzi). Invece, il rialzo dei prezzi generato dalla suddetta manovra bancaria stimola solo la mera speculazione finanziaria. Il risultato finale è il fenomeno della cosiddetta sovrapproduzione, che significa: immissione sui mercati di una quantità eccessiva di merci che possono essere vendute solo rimettendoci. Il nuovo denaro messo in circolazione non è infatti sufficiente per acquistarle, essendo stato immesso solo per stimolare tale produzione. Così, col rincaro dei prezzi, la gente (i consumatori) non ha denaro adeguato per fare acquisti e le aziende non possono fare altro che vendere a prezzi al di sotto del costo. Quindi spesso falliscono. E le banche:? Comprano: in genere le banche acquistano ciò che le aziende mettono all'incanto o svendono a causa dei fallimenti determinati dalle manovre monetarie. A questo punto la banca centrale cambia marcia: ritira il denaro che aveva messo in circolazione, e li ritira con i relativi interessi, non facendo più prestiti in un momento in cui, dal punto di vista del processo economico, ci sarebbe invece maggiore necessità di denaro. Il ritiro del denaro provoca allora la deflazione, ovvero un abbassamento dei prezzi per mancanza di denaro, e altrettante ditte, anche per questo motivo, sono costrette al fallimento. E le banche? Comprano: se nel caso dell' abbassamento dei prezzi alcune aziende falliscono in quanto i profitti sono inferiori alle spese, nell'altro caso, cioè con i prezzi alle stelle, le ditte falliscono perché non vendono più. Infatti i consumatori non hanno abbastanza soldi e le vendite producono un profitto talmente basso da determinare il fallimento. Così le ditte sono oltretutto costrette a diminuire la produzione riducendo i propri impiegati e causando quindi disoccupazione. Altro che art. 18! Per la Banca centrale invece questa seconda manovra praticamente costa soltanto minori guadagni.
Quando infine, dopo sofferenze e fallimenti, le cose si ridimensionano più o meno stabilmente, la banca centrale ricomincia a diffondere la valuta nella forma di denaro di banca facendo rialzare i prezzi, che mettono in moto gli affari ed il circolo vizioso dell'euforia e dell'inflazione, seguito dalla depressione e dalla deflazione, si perpetua. Il controllo arbitrario ed insindacabile dei governatori delle banche centrali sulla massa monetaria da' dunque il via, attraverso aumenti o riduzioni del "costo del denaro" a tale circolo vizioso.
Da tutto ciò consegue che manca la stabilizzazione dei prezzi e che soprattutto la produzione non può aumentare con ritmo regolare e costante, benché un tale aumentare - grazie all'applicazione dei moderni metodi tecnici (produzioni, vendite virtuali, globalizzazione, settori altamente tecnologici, ecc.) sia possibile. I grandi finanzieri in realtà non vogliono l'abbondanza dei beni autentici nei quali consiste la vera ricchezza sociale, in quanto escludono a priori tale equilibrata pianificazione della produzione, in base a ragionamenti antisociali (mascherati di socialità) secondo i quali ciò porterebbe, sì, alla presenza costante sul mercato di beni e di consumatori con denaro sufficiente per acquistarli, ma limiterebbe di conseguenza la speculazione: tutti i tipi di speculazione finanziaria, dalle società finanziarie alla borsa, e ad ogni movimento di masse monetarie con il semplice scopo del lucro, tutto ciò non avrebbe infatti praticamente più l'opportunità di prosperare come di fatto invece prospera in presenza degli squilibri monetari, cioè degli squilibri tra produzione di merci e consumo. Per questo motivo dunque essi sostengono le tecniche bancarie di controllo monetario, fondate sul quasi-monopolio privato del denaro, la cui quantità non viene mai regolata secondo le reali esigenze dei produttori nel loro insieme, ma soltanto secondo le esigenze dei banchieri e di alcuni produttori favoriti dai banchieri. Mediante tali tecniche di controllo monetario, il processo economico con le sue conseguenze umane e sociali è dunque praticamente dominato dalla Banca centrale.
E' l'avvento, "scientificamente" accettato, dello squilibrio? Il dominio dell'astratto sul concreto, in cui si manifesta oligarchicamente il predominio dell'interesse del singolo rispetto a quello della collettività, dove per singolo si intenda la piccola privilegiata famiglia di banchieri governatori di banche ed in primis di banche centrali, massimamente favorevoli nelle loro manovre alle multinazionali e a tutto ciò che ne deriva: commercio di OGM, commercio di armi, sfruttamento dei poveri, ecc. è il dominio insomma del ragionamento astratto, accettato dalla collettività in quanto, occupata a lavorare, non ha tempo per accorgersi di come tale astratto generi schiavitùsempre più concreta e prona ad accettare di battersi in nome di un art. 18." **
Fonte: http://cronologia.leonardo.it/
*Antonio Pagano
** Giovanni Svevo
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