C'era una volta la diversità della sinistra. L'onestà e il primato del bene comune orgogliosamente contrapposti alla corruzione e al clientelismo della prima e della seconda repubblica.
Una diversità simboleggiata da Enrico Berlinguer, da Sandro Pertini, da Pier Paolo Pasolini, dalla trasparenza ed efficienza amministrativa delle regioni rosse.
Ma mi vengono in mente anche film come 'Le mani sulla città' di Rosi, ‘Una vita difficile’ di Risi, ‘C’eravamo tanto amati’ di Scola.
Poi venne la seconda Repubblica, il PDS-DS e il PD: Palazzo Chigi con D’Alema trasformato in una merchant bank, le scalate bancarie di Unipol e i fenomeni di malversazione e malgoveno in Puglia, in Calabria, in Toscana, in Campania.
Non so quanto ci fosse di reale o di favolistico in quella diversità ma ciò coincideva perfettamente con le aspirazioni del popolo della sinistra. Per chi è di sinistra il soddisfacimento dei bisogni collettivi, il prevalere di questi sugli egoismi individuali è la premessa per la realizzazione dei bisogni e delle aspettative e dunque della felicità dei singoli. Al contrario per chi è di destra, è la possibilità della realizzazione individuale la conditio sine qua non dello sviluppo sociale. Ciò è vero per la destra liberale e liberista e tanto più per la destra stracciona che conosciamo in Italia, dove il darwinismo sociale (che vinca il più forte) si trasforma nel preteso diritto, considerato totalmente lecito dai propri elettori, di arricchimento e scalata sociale a tutti i costi, senza l’obbligo del rispetto di alcuna regola, senza l’obbligo di seguire alcuno scrupolo morale (che vinca il più furbo).
E' per questo che i comportamenti devianti quando sono commessi dai dirigenti nella sinistra diventano particolarmente odiosi e sono vissuti dal proprio elettorato come il più grave dei tradimenti. E' per questo che il Partito Socialista craxiano nel momento in cui teorizza esplicitamente una prassi politica priva di scrupoli morali perde definitivamente le caratteristiche di partito di sinistra (e non a caso gran parte dei fedeli collaboratori craxiani finiscono armi e bagagli nella destra berlusconiana).
E' nella seconda Repubblica che per i dirigenti di sinistra diventano irresistibili le lusinghe dell'arricchimento individuale, le occasioni malandrine che nascono dalla mai recisa connessione fra politica e affari e dall’allentamento dei vincoli ideologici, culturali e di disciplina di partito, nel quadro di una colpevole (per tutta la classe politica) assenza di contromisure volte a prevenire corruzione e ruberie. Anzi sono le stesse modalità di funzionamento del sistema politico (legge elettorale e metodi di reclutamento della classe politica, mancata istituzione di regole legislative per l’organizzazione delle associazioni partitiche e sindacali, personalizzazione e spettacolarizzazione della politica scissa da riferimenti ideologici) che accrescono tali occasioni e rafforzano l’idea di impunità. Talvolta unita, per di più, all'alibi morale di operare per l'ottenimento delle risorse necessarie a far prevalere la propria posizione politica (di coalizione, di partito, di corrente).
Ma la questione morale è anche una opposizione non intransigente al regime berlusconiano, partecipare alla spartizione della Rai, l'occupazione delle cariche direttive di asl e aziende municipalizzate, l'alleanza a soli fini di potere con personaggi senza scrupoli (il ribaltone, post-primo governo Prodi, con i fuoriusciti dal Polo, i Mastella, i Dini, domani con l’UDC di Cuffaro) ben sapendo che questi rappresenteranno un ostacolo insormontabile all'attuazione di vere riforme. E' immorale accontentarsi, alla Cofferati, della poltroncina di volta in volta più comoda e più facile da ottenere (quella di sindaco di Bologna e poi di deputato europeo) quando invece le aspettative del popolo della sinistra erano ben più elevate (assumere la leadership dell'intero centro sinistra).
Dunque, ed è la più ovvia delle banalità, nessuna ‘antropologica’ diversità tra i dirigenti di sinistra e di destra, ma diversa sensibilità delle rispettive basi elettorali.
E se non esiste più la diversità o quanto meno non può più essere sbattuta in faccia a berluscones e leghisti, la colpa è soprattutto nostra, di cittadini elettori militanti che abbiamo votato tappandoci il naso e non abbiamo adeguatamente partecipato e vigilato sulle pubbliche decisioni, nazionali e locali, richiedendo sempre comportamenti cristallini e irreprensibili.
Mai più dunque altre deleghe in bianco, nemmeno a quelle persone, di sinistra e non, nelle quali oggi riponiamo la nostra fiducia e le nostre speranze di cambiamento e riscatto morale dell’Italia (Di Pietro, De Magistris, Grillo, Travaglio, Ignazio Marino), ma pretesa di meccanismi di trasparenza e di controllo e di utilizzo della rete per un monitoraggio costante dell’amministrazione della cosa pubblica.
la parola importante delle due non è 'morale', ma 'questione'. L'intuizione di Berlinguer fu che il problema è nel sistema e non negli interpreti.
RispondiEliminaLa politica è una cosa ed è giusto che la facciano i partiti, l'amministrazione della cosa pubblica è un'altra e i partiti devono starne fuori, altrimenti l'unione di queste due funzioni rende qualsiasi sitema politico-amministrativo destinato a marcire.
Sarebbe anche opportuno dare attuazione ai principi costituzionali e legiferare finalmente in materia di partiti, regolandone la responsabilità giuridica e garantendo l'indispensabile trasparenza del loro modus operandi.
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