I referendum del 12 e 13 giugno possono essere visti da tre diverse angolazioni politiche e da tutte e tre si conferma e rafforza la convinzione della necessità di andare a votare e votare 4 SI.
Anzitutto c'è il merito delle materie oggetto di referendum. Una questione di vita e di morte dice giustamente Adriano Celentano. Non è un paradosso, non è una metafora dire che è un questione di vita e di morte il nucleare. Ce lo dicono Chernobil e Fukushima. Ce lo dicono le statistiche che evidenziano l'incidenza di leucemie e cancri per coloro che vivono in prossimità di una centrale nucleare. Ce lo dicono gli incidenti di Three Mile Island e la miriade di 'piccoli' guasti delle centrali nucleari francesi che attestano i rischi sempre incombenti che derivano da questa modalità di produzione dell'energia. L'Italia è uno dei paesi più industrializzati ed a più elevata tecnologia nel mondo (anche se sul nucleare deve affidarsi ai francesi) ma è anche il paese del Vajont, di Seveso, della Stazione di Viareggio, della Moby Prince, di San Giuliano di Puglia, della residenza universitaria dell'Aquila, del poligono di tiro di Quirra in Sardegna, cioè di tutti quei casi in cui l'imperizia, la superficialità, il prevalere di interessi criminali e di disprezzo per la vita umana ha prodotto morte e dolore.
Un incidente nucleare determinerebbe non solo un numero di vittime ancora più insostenibile ma avrebbe conseguenze illimitate nel tempo. Nucleare da respingere dunque perché pericoloso e costoso tanto più in un Paese a rischio sismico come l'Italia, perché anche la materia prima per le centrali – l'uranio – è in via di esaurimento, perché determinerebbe una dipendenza tecnologica dai costruttori francesi (e gli americani sospettavano, a leggere i cablo di wikileaks, che le scelte del governo italiano fossero state influenzate da pratiche corruttive), perché aprirebbe il problema fin qui insoluto (e fonte di ulteriori costi e rischi) dello stoccaggio delle scorie nucleari, perché offrirebbe al terrorismo un bersaglio terribile e da ciò deriverebbe inevitabilmente un'involuzione repressiva e militarizzata nella gestione dell'ordine pubblico, perché perpetuerebbe la logica di pochi padroni del rubinetto dell'energia a cui sarebbero costretti a rivolgersi gli utenti. Rifiutare oggi il nucleare significa predisporsi nei prossimi decenni, senza compromettere il futuro con scelte obsolete e finanziariamente insostenibili, a sostituire le fonti di energia di natura fossile attraverso la ricerca, il risparmio energetico, lo sviluppo delle energie rinnovabili distribuite sul territorio e accessibili a tutti. Sviluppando tecnologie, nuove imprese e nuovo lavoro, efficienza in linea con il programma europeo del 20-20-20 (cioè venti per cento in meno di riduzione di gas serra, 20 per cento di risparmio energetico, 20 per cento di approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili) entro il 2020.
Due dei quattro quesiti referendari riguardano la privatizzazione della distribuzione dell'acqua. Anche qui è una questione di vita e di morte considerando il valore simbolico dell'acqua quale essenziale elemento per la vita umana. La questione è (e la risposta ce la darebbero facilmente gli utenti di Acqua Latina, vessati da bollette iperboliche e da servizi scadenti): perché i cittadini devono remunerare con le loro bollette la quota di profitto destinata ai gestori per l'utilizzo di un bene disponibile in natura e dunque di tutti? Rispetto ad un monopolio naturale quale la distribuzione dell'acqua non vi è alcun valore aggiunto che l'impresa privata possa offrire rispetto ad una gestione pubblica efficiente salvo, appunto, che non si consideri come tale l'aggravio dei costi finali per l'utente.
Infine è questione di vita e di morte, per la Democrazia ed il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il referendum sul legittimo impedimento: dire SI all'abrogazione della legge significa riaffermare che anche il Presidente del Consiglio e i Ministri, come tutti i cittadini, devono sottoporsi, laddove chiamati a rispondere di accuse di reati, alle procedure giudiziali previste senza poter opporre, per sfuggire i processi, gli 'impegni' istituzionali.
Non è politicamente corretto e scaramanticamente prudente dirlo ma i quattro referendum sono anche un referendum pro o contro Berlusconi. Oggetto della consultazione popolare sono leggi approvate dalla maggioranza attualmente al governo. Ottenere il quorum e abrogare le leggi significa dimostrare una volta di più che la maggioranza del Paese è ormai contro il governo di Lega e PDL. Significa far mancare la terra sotto i piedi a quei deputati e senatori che hanno confermato la propria fedeltà al padrone o si sono da poco posti 'responsabilmente' sotto la sua ala protettrice per vantaggi economici o perché convinti che ciò fosse la premessa per essere rieletti alle prossime elezioni politiche. Significa spezzare il legame che esiste tra Berlusconi e i centri di potere economico-finanziari che lo hanno fin qui sostenuto (centri di potere beneficiari della privatizzazione dell'acqua e della costruzione delle centrali nucleari) rafforzando le premesse per una crisi di governo e nuove elezioni.
Da ultimo i referendum influenzeranno il modo in cui si svilupperà l'alternativa al berlusconismo. Questi referendum sono indubbiamente anche dei referendum anti-casta. Per i temi che trattano, concreti e attinenti la vita delle persone come l'acqua e il nucleare, perché contrastano il preteso privilegio di alcuni politici di sottrarsi alla giustizia. Perché i referendum sono nella Costituzione italiana di fatto l'unico effettivo strumento di democrazia diretta e sarebbe dunque un vero crimine se come cittadini, tutti noi che dal mattino alla sera imprechiamo contro i politici di professione, ci lasciassimo sfuggire, facendo mancare il quorum, l'occasione di utilizzarli. Per come i referendum sono nati e sono stati sostenuti, con l'azione e l'impegno dei movimenti e di un partito che pur tra mille contraddizioni, l'Italia dei Valori di Di Pietro, non ha mai rinunciato ad una opposizione intransigente alla destra e a tentare di collegarsi con le iniziative che nascevano dal basso mentre il maggior partito di opposizione, il PD, guardava con sospetto e diffidenza se non ostilità alle iniziative referendarie.
Esemplare è in particolare quanto realizzato dal Forum dell'Acqua unendo una infinità di movimenti su di un tema trasversale capace di conquistare cittadini di destra e di sinistra, credenti e non credenti, e di dialogare con i Partiti accettandone la collaborazione senza farsi prevaricare e senza diventarne strumento di propaganda. Il Forum dell'Acqua, che ha ottenuto uno straordinario successo nella raccolta delle firme per i referendum, è in grado di dare vita ad un nuovo soggetto politico, ribadisco politico non elettorale, in grado di incidere grandemente nella vita pubblica. Ora che tutta l'opposizione opportunamente e opportunisticamente appoggia i referendum e comunque invita ad andare a votare non dobbiamo dimenticare che il PD è sempre stato favorevole alle privatizzazioni dei servizi pubblici locali (si vedano i provvedimenti Bassanini) mentre UDC e FLI (il decreto oggetto del referendum sull'acqua porta il nome di Ronchi, uno dei fondatori di FLI) hanno appoggiato per di più anche la scelta nucleare. Dicendo no alla privatizzazione dell'acqua, per la prima volta da vent'anni a questa parte, in questo Paese si andrebbe controtendenza rispetto allo smantellamento del settore pubblico. Si indicherebbe una linea per la costruzione di un'alternativa al berlusconismo e al liberismo economico in cui i movimenti, la partecipazione diretta e l'impegno attivo dei cittadini, l'affermazione del principio del bene comune e del valore dei beni comuni assumerebbero un ruolo determinante.
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