Intervista di Sara Venturini
Cairo, 08/01/2010
Siamo al Cairo, nella stanza del ‘Sun Hotel’ dove Joe Fallisi, tenore italiano e attivista per i diritti umani ha intrapreso uno sciopero della fame oramai da 12 giorni in attesa di un lasciapassare dalle autorità egiziane per recarsi nella Striscia Di Gaza.
Giuseppe, so che sei stato in ospedale questa mattina per dei controlli, come sono le tue condizioni fisiche ?
Mi sento un po’ stanco, però va bene. Mi hanno proposto di trattenermi fino a domani sera in osservazione in ospedale ma ho preferito rientrare in albergo e sentirmi più libero.’
Vuoi raccontarmi come è nata l’iniziativa dello sciopero della fame?
Lo sciopero è iniziato il 28 dicembre quando arrivati con la delegazione della Gaza Freedom March (GFM), ci siamo recati al piazzale dove saremmo dovuti partire per Rafah con i bus affittati dall’organizzazione della marcia e abbiamo trovato il piazzale vuoto perché il governo egiziano aveva impedito loro di venirci a prendere. In quell’ occasione, su richiesta degli organizzatori ho persino cantato sulla strada mettendomi uno smoking che avevo in borsa. Alla proposta dell’ottantacinquenne Edy Stein, ebrea sopravvissuta all’olocausto di iniziare uno sciopero della fame come azione di protesta verso chi finora ci ha negato la possibilità di entrare a Gaza ed è anche responsabile di tre anni di assedio della Striscia, vale a dire Egitto e Israele, ho aderito subito.
Ad oggi sei rimasto l’unico a continuare lo sciopero. Cosa ti spinge ancora a farlo?
Durante uno degli ultimi incontri della GFM ci siamo riuniti con tutte le delegazioni e ho annunciato pubblicamente in piazza la mia volontà di terminare lo sciopero solo nel momento in cui avessi toccato il suolo di Gaza o se questo non fosse mai avvenuto, sull’aereo di ritorno in Italia.’ È una promessa che ho fatto e che manterrò.
Quali sono le motivazioni alla base di questa tua coraggiosa scelta? Scioperi per chi e per cosa?
Protestare per Gaza credo sia particolarmente importante perché la situazione che vive da troppo tempo la Palestina Occupata e in particolare la popolazione lungo la Striscia è il punto focale di tutte le ingiustizie del mondo. Attorno a questa questione ruota il destino dell’umanità. Quel che ha subito Gaza durante i 22 giorni di attacchi unilaterali dell’entità sionista e quel che subirà a causa della decisione egiziana di costruire un muro al confine per impedire il passaggio di merci, beni e persone dai tunnel sono gli ultimi attimi di una tragedia che non ha eguali.
Dietro ciò che accade a Gaza ci sono le menzogne, l’iniquità e l’orrore umani. Menzogna perché il mondo finge che sia una situazione di quasi normalità mentre invece non lo è. C’è da un lato uno dei più potenti eserciti al mondo che con mezzi militari ultramoderni e micidiali opera uno sterminio lento di un intera popolazione e dall’altro una popolazione di un milione e mezzo di abitanti, che inerme cerca solo di sopravvivere e difendersi senza mezzi.
La situazione che subisce Gaza assomiglia sempre più a ciò che i tiranni bolscevico stalinisti e nazisti hanno inflitto alla popolazione Ucraina, quando furono sterminati per fame milioni di contadini o quando vennero assediate Varsavia e Leningrado. In entrambi i casi ci fu uno strangolamento che impedì la libertà di circolazione e fu anche finalizzato ad affamare una popolazione fino alla sua morte. Così come avviene oggi a Gaza, con l’aggravante di attacchi militari bio-ecociti diretti ed aperti come quelli dello scorso anno e come quelli che le elite sioniste stanno forse ancora preparando.
L’assedio di Gaza si fa ogni giorno più terribile. I Gazawi non possono neppure coltivare né pescare perché vengono attaccati quotidianamente. Come possono vivere senza rifornimenti dall’esterno? In ucraina fu la stessa cosa e come conclusione morirono più di 5 milioni di persone. A Gaza gli abitanti sono 1,500,000 in tutto.
A Gaza c’è però qualcosa di molto peggio degli esempi storici prima citati. Qui, con i mezzi moderni, gli eserciti occupanti utilizzano delle armi che vanno ad inquinare e distruggere le fonti della vita (pozzi, reti fognare, coltivazioni etc etc…) in particolare, ma non solo, attraverso l’uso criminale dell’uranio impoverito. Così che iniziano a nascere bambini deformi. Inquinano tutto il ciclo della vita. Questo è il più grande crimine di guerra commesso: inquinare le fonti della vita. Da Hiroshima e Nagasaki, al Vietnam, ai Balcani, al Libano, all’Iraq, all’Afghanistan e al Pakistan sono stati inquinate, se non per sempre, per secoli e secoli le fonti stesse della vita. Mai l’umanità aveva subito degli atti tirannici di questa portata.
Quando arrivarono i mongoli fino all’Europa rasero al suolo tutto il possibile; tabula rasa. Poi quando se ne andarono la vita ritornò. Inquinando le fonti della vita, si uccide la vita stessa e la sua possibilità di tornare a riprodursi in modo normale, sano.
Oltre al bisogno di giustizia per il popolo palestinese, ci sono altre ragioni, personali, che ti legano ai destini del popolo di Gaza?
Sono stato a Gaza due volte negli ultimi 2 anni. Sono l’unico cantante lirico al mondo ad aver avuto la possibilità, il piacere e l’onore di cantare al teatro Shawa di Gaza city. Di questo potete trovare testimonianza nei video su youtube dei miei due concerti. La prima visita risale ad ottobre 2008. Sbarcai a Gaza con la nave ‘dignity’, il secondo viaggio, vittorioso, del Free Gaza. La volta successiva fu lo scorso marzo quando entrai con il convoglio ‘Viva Palestina’ promosso da George Galloway. Sono stato accolto con grande calore come un fratello, un compagno, un membro della famiglia. Gaza è la mia famiglia, i Gazawi sono i miei fratelli. Con le mie limitatissime forze vorrei fare di tutto per poterli aiutare.
Alla luce delle durissime repressioni del governo egiziano verso gli attivisti della GFM ai quali non è stato permesso di entrare a Gaza, cosa pensi del governo egiziano?
Io credo che l’asse del potere mondiale ruoti attorno alla triade USA, Inghilterra ed entità e lobby sionista. Sono loro che decidono gli assetti mondiali. Decidono chi e cosa è ‘politically correct’ oppure no, chi può rimanere (al potere) e chi se ne deve andare.
Mubarak è solo un servo di questo potere più ampio. Le sue azioni sono finalizzate ad ottenere la garanzia della propria sopravvivenza. La decisione di costruire un muro di ferro, sopra e sotto terra, al confine di Rafah, distruggendo i tunnel che consentono agli abitanti di Gaza di sopravvivere, è in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Con la visita di Netanayahu al Cairo proprio il giorno seguente alla nostra ipotetica partenza, e in contemporanea con una marcia di pacifisti israeliani contro l’occupazione, consentire l’accesso a Gaza ai 1,300 internazionali della marcia avrebbe significato una svolta nel regime egiziano, un atteggiamento diverso da quello che poi ha intrapreso, vale a dire repressione e violenza contro i dimostranti. Nutrivamo false speranze.
Quando hai deciso di partecipare alla marcia credevi che questa iniziativa di solidarietà internazionale avrebbe apportato un qualche cambiamento politico alla terribile situazione a cui sono costretti gli abitanti di Gaza?
Gaza ha bisogno di riaprirsi da tutti i lati al mondo esterno, come è stato per secoli. Noi internazionali possiamo rappresentare uno stimolo affinché questo assedio venga rotto.
Sono partito con la speranza di poter rientrare a Gaza, portare degli aiuti e tenere il mio terzo concerto per i miei fratelli. Più i giorni passavano, più mi sono reso conto che la nostra speranza era in realtà un’illusione.
Faccio appello alle donne e agli uomini di buona volontà. Bisogna insorgere dal basso. La società civile ha un potere enorme di cambiare le cose e la politica. Il Free Gaza Movement è un esempio di una buona iniziativa insorta dal basso. I civili devono attivarsi per la causa universale della giustizia ed unire le proprie forze ed organizzare iniziative di solidarietà non blindate e fatte proprie dai governi e dalle istituzioni. È il buon vecchio metodo anarchico che deve tornare attivo. Non servono ‘leaders’, servono uomini e donne con senso dell’equità e della dignità.
So che hai tentato la via per Al Arish, la città egiziana più vicina al confine con Gaza. Cos’è successo quel giorno?
Ho cercato, assieme ad altri 3 italiani, di raggiungere il confine di Rafah, passando per Al Arish. Siamo stati respinti al primo posto di blocco a 100 km dal Cairo. Lì abbiamo visto quello che definisco la società civile all’opera: vecchiette americane meravigliose che con un grandissimo coraggio sono venute per portare la loro solidarietà attiva alla popolazione di Gaza, e appena fatte scendere dal pullman, hanno sventolato in faccia alla polizia striscioni con su scritto ‘Free Gaza, Free Palestine’. Queste signore hanno deciso di vivere l’ultima parte della loro vita in modo dignitoso. Sono mie compagne.
Qual è la tua posizione in merito alla delegazione dei 100 organizzata dai Codepink con l’autorizzazione del governo egiziano entrata a Gaza per portare gli aiuti umanitari?
Gli organizzatori hanno accettato, poi pentendosene, un compromesso con il regime egiziano mandando un centinaio di attivisti scelti dall’alto con criteri arbitrari per una brevissima visita.
Ritengo che le critiche poste dalla maggior parte dei partecipanti alla marcia a questa iniziativa siano giuste. La delegazione dei 100, che poi erano in realtà 40 perché la maggior parte dei prescelti si è rifiutata di partire, è stata solo un contentino che il regime ha usato per farsi bello nel mondo. Non era l’inizio di un’apertura della frontiera. È stato un nostro errore. Edy Epstain, ebrea 85enne, ha scritto un comunicato puntuale e preciso a questo proposito.
Stai per lasciare il Cairo senza essere entrato a Gaza. Cosa ti porti con te in Italia da questa esperienza?
L’iniziativa in sé è stata un fiasco. L’unica cosa positiva è stata che nel mondo si è parlato dell’oppressivo e repressivo regime egiziano e della tragica situazione in cui versa la Striscia di Gaza. Forse in questi giorni di incontri e di scambi si sono però seminate le basi per un movimento più ampio che sappia agire meglio in futuro.
Tanto di cappello a George Galloway e i suoi valorosi compagni del convoglio di Viva Palestina che hanno lottato fino all’ultimo per riuscire ad entrare, sostenendo scontri, manganellate e repressioni di ogni genere dopo un incredibile viaggio via terra, via mare e via cielo per tutta l’Europa ed il Medio Oriente. E ci sono riusciti.
Ho visto in questi giorni tanti meccanismi tipici gruppo scolari all’opera. Gente che parla allo specchio. Autoreferenziali. Questo mi ha convinto sempre di più che questa vecchia politica non serve alla causa della giustizia. Me ne tornerò in Italia rinforzato nella mia convinzione che bisogna voltare pagina.
Ho scritto 5 canzoni per Gaza e per la Palestina, una è già incisa e si chiama ‘Verrà’. Appena torno registrerò anche le altre (Gaza vivrà, Life Line, O Madre Palestina, Fino all’ultimo giorno - respiro).
Concludo proprio con il ritornello di quest’ultima canzone:
‘Son pochi gli anni da vivere che noi abbiam.
Difenderò i miei fratelli
fino all’ultimo giorno – respiro
che il ciel mi darà’
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