E' sbocciata una rosa. E' la prima del mio giardino.
E' una Queen Elizabeth.
Vorrei poter dire che sono sbocciata con lei.
Questa mattina mi sono svegliata col pensiero della fine della mia vita. Ho avuto la percezione netta che un giorno, forse, sarò vecchia e guarderò i giovani col sorriso sulle labbra, e tra me e me penserò 'non ricomicerei daccapo per tutto l'oro del mondo'.
Quel giorno potrebbe essere oggi, ieri, domani, fa lo stesso.
La vita è solo un galleggiare nel tempo e io sto galleggiando.
Non ho paura. Non sono stanca. Non ho rimpianti. Non ho rancori.
Ho molti ricordi e la consapevolezza che altri se ne aggiungeranno; uno dopo l'altro, come soldatini di piombo, piccoli, suggestivi e inarrestabili.
Tutto questo è solo mio, di nessun altro. Anche volendo, non potrei condividerlo con nessuno e non riesco ancora a capire se sia un bene o un male.
L'epidermide che riveste il mio corpo, nascondendo i complicati meccanismi che lo muovono e offrendo all'esterno un'immagine di grazia e di semplicità, altro non è se non l'invalicabile confine che mi separa dal mondo e che mi costringe ad un esilio a volte, mio malgrado, doloroso.
Eppure, qualcosa mi dice che quel confine, proprio perchè tale, fa della mia finitudine una finestra sul mondo, sull'infinito.
Guardo fuori e mi appare, bella e regale, una rosa di primavera, una Queen Elizabeth.
E' lì, solitaria e silenziosa, in tutta la sua eleganza e bellezza. Sfacciatamente fuori stagione.
Si offre allo sguardo altera e indifferente. Ignara, forse, del mondo che la circonda; ignara di me e del dono che ricevo.
Quella delicata rosa perlacea delicatamente mi ha presa ed io ho preso lei. Il resto non conta, farfuglia confuso e dipende solo da me: posso scegliere.
Una rosa,
un libro,
un uomo..
Un universo intero si offre, perlopiù cinico volgare e goffo ed io posso prenderlo o lasciarlo lì.
Se non fosse per la mia finitudine non godrei di questa illimitata libertà.
S'io mi confondessi con l'infinito, cedendo alle vertiginose ed ingannevoli altezze della vanità, in nulla sarei più libera e sovrana, e da schiava e gladiatore mi umilierei a calpestare i penosi, volgari e ripetitivi palcoscenici dei potenti, dove la violenza è regina, l'ignoranza è maestra e l'egoismo, borioso e fiero, senza pudore alcuno, s'inchina di fronte al padrone.
Ma io non mi confondo con l'infinito, io ho dei confini insuperabili ed entro quei confini si estende, infinito, il mio regno.
Di quel regno io sono la sovrana assoluta.
Sono l'unica che può fare e disfare; sono padrona di tutto e di tutti. Nessuno può prendere il mio posto, né io posso abdicare, anche volendo, non potrei rinunciare al trono.
Sono al di sopra di ogni legge, perché la legge sono io.
Sovrana assoluta, unica e perciò sola.
Neanche i miei migliori e più fedeli amici, per quanto presenti e partecipi, potrebbero alleviare il peso del mio governo e rendere meno gravoso il mio compito.
La decisione spetta a me, sempre, qualunque decisione sia.
A me gli oneri, non anche necessariamente gli onori, perlopiù venduti a poco prezzo dai cialtroni di ogni era e di ogni età.
E la solutidune, come un trono, s'impone solenne e inutile.
Intanto, quella rosa fuori stagione, solitaria e silenziosa, s'impone allo sguardo, in tutta la sua bellezza ed eleganza.
Altera e indifferente, è ignara forse del mondo che la circonda. Diffidennte, volge lo sguardo a destra e a manca e come se nulla vedesse, neanche fosse la dea bendata, tutto accieca sfidando l'umana resistenza.
Una rosa che sboccia in inverno.
Una rosa perlacea che regna sovrana nel suo giardino.
Una rosa sola.
Forse una delle tante.
Domani, comunque, non ci sarà più.
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