Toccata e fuga alla convention viola, sufficiente però per ascoltare gran parte degli interventi e rendersi conto del clima generale. La sala del Teatro Vittoria di Roma non è esattamente gremita e a dispetto del fatto che il popolo viola si presenti come movimento di giovani prevalgono, almeno nelle ultime file, i capelli bianchi. L'iniziativa di mettere insieme esponenti dei partiti di opposizione e i rappresentanti di alcuni importanti movimenti della società civile per discutere del dopo Berlusconi è comunque un'ottima idea. Meno, molto meno aver invitato anche API, UDC e FLI (che peraltro non si presentano, il solo Granata di FLI giustifica la sua assenza, pur dichiarandosi simpatizzante (!), con una trasferta all'estero).
Questa occasione di confronto è ciò che mi interessava e non aggiornarmi sulle condizioni del movimento per le quali rimando all'esaustivo post di Giandiego Marigo.
Tralasciando l'intervento patetico (è l'aggettivo più gentile che riesco a trovare) di Gianfranco Mascia e quello di un Marco Pannella ormai da ricovero (e che carognescamente si rifiuta di rivelare come si schiereranno i radicali il prossimo 14 dicembre nel voto sulla sfiducia al governo Berlusconi), quello che emerge è che i partiti presenti (i 'big' Di Pietro e Vendola in realtà si collegano solo in streaming) non danno in alcun modo l'impressione di essere intenzionati a dar vita ad una strategia comune e tanto meno a coordinarsi in modo strutturato con i movimenti della società civile per definire una piattaforma unitaria di alternativa.
Se Marco Ferrando del Partito Comunista dei Lavoratori scalda la platea chiedendo alcune cose concrete su cui costruire una svolta politica radicale (la fine delle missioni di guerra e la riduzione delle spese militari, l'abolizione delle leggi sul precariato, il taglio dei contributi alle scuole confessionali del Vaticano) ed Angelo Bonelli dei Verdi usa l'efficace espressione di riconversione ecologica dell'economia quale strumento per dare risposte non illusorie alla richieste di lavoro e di diritti, il più deludente è Oliviero Diliberto della Federazione della Sinistra che criticando Ferrando ('ma possiamo andare a chiedere queste cose al povero Bersani?') ripropone per l'ennesima volta la politica dei due tempi: prima sconfiggiamo Berlusconi con tutti quelli che ci stanno, in primis il PD, e poi si discuterà delle cose da fare. I più maligni tradurrebbero 'la vera priorità per noi è riconquistare qualche seggio in Parlamento e qualche briciola di finanziamento pubblico, tutto il resto è secondario'; gli psichiatri parlerebbero di coazione a ripetere, dopo i fallimenti dei governi Prodi del 1996 e del 2006 riproporre esattamente lo stesso schema: una coalizione in grado (forse) di vincere le elezioni ma destinata a sfasciarsi il giorno dopo di fronte alle scelte di governo e così facendo annientare fiducia e speranze dell'elettorato progressista e consentire la rivincita della peggiore destra.
Che desolazione!
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