di Maurizio Zaffarano
La querelle sulla questione morale scoppiata intorno e all'interno dell'Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro, a causa della defezione di alcuni suoi parlamentari a favore della maggioranza berlusconiana, sa tanto di qualcosa che serve solo a confondere le idee.
Chiunque abbia un minimo di capacità di osservazione delle vicende politiche italiane o abbia anche solo lambito la struttura organizzativa di quel partito, non può non averne ben compreso la reale natura e fisionomia. Cioè quella di un partito tutto fondato sulla popolarità, sul carisma, sul fiuto politico del suo fondatore, padre padrone della compagine politica e attorno al quale, come satelliti, ruotano dirigenti nazionali e locali e rappresentanti eletti ed al cui potere assoluto è funzionale l'adesione di notabili, spesso provenienti da formazioni di destra quali l'Udeur o Forza Italia, portatori di pacchetti di voti e desiderosi di mantenere o conquistare un qualche ruolo politico, al centro o in periferia, senza di solito alcuna velleità o almeno interesse contingente di mettere in discussione la linea politica del leader.
La stessa promessa o tentativo di costruire un reale partito, di cui furono espressione le candidature, a dire il vero di rilevante caratura, alle elezioni europee dello scorso anno (tra gli altri De Magistris, Vattimo, Tranfaglia, Rinaldi, Vulpio, Zipponi, Arlacchi, Luisa Capelli) nasceva da un'autonoma decisione di Di Pietro, consapevole di poter cogliere l'opportunità da un lato di occupare una vasta prateria di sinistra lasciata incustodita dai partiti che ad essa tradizionalmente facevano riferimento e dall’altro di far fare all’IDV un rilevante salto di qualità in termini organizzativi e di consenso elettorale.
Di fatto quella fase costituente si è spenta con il deludente congresso nazionale di febbraio 2010, senza la realizzazione – come dovrebbe avvenire in tutti i partiti democratici – di una reale dialettica interna e con l’adesione per acclamazione alla candidatura dell’inquisito De Luca alla presidenza della Regione Campania.
Italia dei Valori vive oggi la contraddizione tra una politica fatta di contenuti di sinistra (appoggio alle rivendicazioni sociali, alla Fiom, ai movimenti) ed una base di militanti e simpatizzanti che convintamente crede nei valori del lavoro, dell'ambiente, della legalità contrapposti ad un organigramma di quadri in gran parte proveniente dalla destra o dal centro.
Vi sono poi quei fatti di contorno alla figura di Di Pietro, fatti che non hanno mai assunto rilievo penale e che sono ben poca cosa di fronte alle cricche in circolazione e ai politici collusi con la criminalità organizzata ma che certo qualche imbarazzo negli elettori e simpatizzanti del partito lo hanno dato: le separazioni sempre cruente (come è tipico per i partiti carismatici) con alcuni compagni di strada (Veltri, Cicala, Occhetto e Chiesa, …), la cooptazione dei figli in cariche elettive locali o nel giornale del partito, la gestione attraverso una società ad hoc dei finanziamenti elettorali pubblici, gli immobili di proprietà personale locati al partito, la questione degli affitti delle case del Vaticano da parte di alcuni esponenti del partito ottenute grazie ai buoni uffici di un senatore della Repubblica, Stefano Pedica, ridottosi al momentaneo ruolo di agente immobiliare.
Se l'adesione al partito è avvenuta in tanti casi non per ragioni ideali ma per puro interesse personale non ci si può dunque meravigliare, in un'epoca e in una politica mercificata e senza più valori, di alcuni tradimenti ma bisogna nel contempo rilevare che non risultano significativi casi di esponenti dipietristi inquisiti e indagati per casi di corruzione.
Il problema di Italia dei Valori non è dunque a mio avviso quello di una questione morale, di certo non in misura maggiore a quella degli altri partiti di opposizione (basta citare le inchieste giudiziarie che hanno riguardato gli assessori del PD nella giunta Vendola in Puglia), ma piuttosto quello delle procedure e dei meccanismi di democrazia interna.
Tanto premesso e constatando che sulla scena italiana non si ergono nuovi statisti della caratura di un Enrico Berlinguer o di un Sandro Pertini, va riconosciuto e non può essere dimenticato il ruolo fondamentale e indispensabile che Di Pietro ha svolto in questi anni nell'opposizione intransigente e senza sconti a Berlusconi impedendo tra l'altro, grazie al consenso di opinione di cui godevano le sue posizioni, una totale resa del PD alle lusinghe delle destre.
La vicenda, ad inizio di questa legislatura, del veto posto da Lega e PDL all'elezione di un esponente dell'IDV (Leoluca Orlando) alla presidenza della Commissione di vigilanza sulla Rai ed il colpo di mano messo in atto con l'elezione del senatore PD Riccardo Villari (a proposito ora che è passato al gruppo misto qualcuno sa qual è stato il suo voto sulla mozione di sfiducia a Berlusconi?) è esemplare di quanto infastidiscano e temano le destre il linguaggio esplicito e senza ipocrisie di Di Pietro, la sua denuncia del carattere fascista e piduista dell'attuale maggioranza.
Se a De Magistris, Alfano e Cavalli va riconosciuto il carattere propositivo dell’iniziativa volta all'evoluzione politica dell'Italia dei Valori (ed anche l'eventuale progetto di un rovesciamento della leadership del partito sarebbe qualcosa di pienamente compatibile con il gioco democratico) e a Flores d'Arcais la comprensibile impazienza di veder emergere in questo Paese una alternativa vera e vincente, è singolare che larga eco della polemica si trovi sulla stampa di area PD: certo fa comodo, per chi in questi anni ha più volte salvato Berlusconi e lo ha accreditato come necessario interlocutore per le riforme costituzionali, che venga delegittimato il partito che è il più efficace ostacolo ad inciuci e alle ipotesi di coalizioni che perseguono il mantenimento dello status quo sociale ed economico.
Resta, al di là di tutto questo, per IDV come per tutti i partiti politici italiani compresi quelli di sinistra l'urgenza di dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione: di definire norme di legge che possano assicurare il funzionamento democratico e partecipato delle organizzazioni politiche, garantire libertà del dibattito interno e trasparenza e correttezza nelle procedure di selezione delle classi dirigenti e nella scelta delle candidature, disciplinare i requisiti di competenza e di moralità e l'assenza di motivi di incompatibilità, nonché il limite massimo di mandati che si possono esercitare, a cui devono sottostare i candidati e gli eletti nelle assemblee rappresentative.
E resta soprattutto, in tanti di noi, il desiderio, di fronte alla drammaticità della situazione politica e sociale del nostro Paese ed al fuoco incrociato delle destre di Berlusconi e Marchionne sui diritti costituzionali e sulla dignità dei lavoratori, di vedere seduti ad uno stesso tavolo Grillo, Di Pietro, Vendola, De Magistris, Ferrero, Flores d'Arcais e gli altri intellettuali progressisti, la Fiom e i portavoce di studenti e ricercatori, i rappresentanti dei movimenti e delle associazioni che si oppongono a questo sistema, gli stessi esponenti del PD che credono ancora nella necessità di trasformare questa società, per definire finalmente, senza insulti e nel rispetto delle rispettive identità e visioni, un vero progetto politico di alternativa.
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