E' probabile che la maggioranza degli italiani sia indignata e desideri cambiamenti radicali nella gestione della cosa pubblica: ce lo dicono le innumerevoli mobilitazioni di piazza e l'attivismo politico dei cittadini su internet degli ultimi anni. Lo ha dimostrato in qualche modo l'esito dei referendum abrogativi dello scorso giugno ed il raggiungimento del quorum, per la prima volta dopo molti anni, necessario a rendere efficaci le consultazioni.
Si tratta di una indignazione che ancora fa fatica ad assumere quei caratteri 'rivoluzionari' e di massa, i soli che possano avere reali effetti politici, che abbiamo conosciuto nei paesi mussulmani del Mediterraneo e del vicino Oriente ed in Spagna.
Di fronte a noi un Paese attanagliato da enormi problemi: una parte sempre più grande della popolazione ridotta in povertà o a rischio di precipitarvi, disoccupazione e cassa integrazione, precariato, redditi da lavoro insufficienti a garantire una vita dignitosa, degrado ambientale, corruzione e mafie arrembanti, il progressivo smantellamento del welfare, dei servizi sociali essenziali, dell'istruzione pubblica, il declino culturale, industriale, tecnologico e morale del 'Sistema Italia'.
Tutto questo passa in secondo piano, nel dibattito politico e nei titoli di testa dei principali organi di informazione, rispetto al problema del debito pubblico, di un'Italia e di un'Europa ostaggio della speculazione finanziaria e sull'orlo del baratro del default (senza che nessuno provi a rovesciare la logica dei mercati e del liberismo dominante dell'ultimo trentennio).
Eppure i palazzi del potere, politico ed economico, al di là delle chiacchiere e delle enunciazioni di principio, non mostrano in alcun modo di voler assumere comportamenti conseguenti.
Non si tratta solo del governo Berlusconi, e della maggioranza che lo sostiene, che continua a perpetuare comportamenti e iniziative politicamente ignobili, tutte centrate sulle questioni giudiziarie del Premier o sulla necessità di visibilità populistica della Lega (si veda da ultimo la questione dei Ministeri a Monza), pur di fronte all'esplodere degli scandali e del disvelamento da parte di magistrati di pratiche corruttive tanto più intollerabili nel momento in cui si pretendono dai cittadini ulteriori sacrifici.
Se questo Paese è sull'orlo del baratro non si capisce come chi comanda realmente (il Vaticano, le grandi imprese industriali e bancarie, gli alti burocrati e i manager di Stato, le alte gerarchie militari e delle forze dell'ordine, sotto la supervisione degli Stati Uniti) ed i loro principali megafoni quali il Corriere della Sera e La Stampa non abbiano ancora imposto un cambio di governo (anche se non è chiaro il ruolo in tutto questo delle organizzazioni criminali che una voce in capitolo nella determinazione della politica nazionale l'hanno sempre avuta).
La democrazia non dovrebbe certo funzionare così ma chi può negare che sia questa la realtà? Perché allora il PD di Bersani e D'Alema, trascinando anche la consorella CGIL della Camusso, starebbe disperatamente tentando di accreditarsi come garante della continuità presso i poteri forti?
Solo gli ingenui possono pensare che la resistenza oltre ogni logica razionale del governo Berlusconi sia frutto delle dinamiche parlamentari e del gioco della democrazia e d'altro canto il governo Berlusconi è per sua natura illegittimo, fondato su di un insanabile conflitto di interessi e sulle incompatibilità giudiziarie, su di una competizione elettorale viziata da una sproporzione nel controllo delle televisioni, su di una legge elettorale incostituzionale che consente ai capi partito di nominare i parlamentari anziché farli scegliere agli elettori.
Per chi prova a guardare dietro la facciata della politica, è allora difficile comprendere se questa situazione di paralisi sia il risultato di una lucida regia occulta o semplicemente la conseguenza dell'insipienza di classi dirigenti imbelli.
Di certo da un lato dimostra l'impotenza e l'inutilità della politica attuale, ridotta a mera esecutrice di decisioni prese in altri luoghi. Subordinazione della politica che rende impercettibile la differenza tra quanto potrebbero fare i cavalli di razza del liberalismo (Mario Monti, Draghi, lo stesso Prodi) rispetto all'impresentabile classe di governo berlusconiana (Tremonti, Brunetta, Romano, la Carfagna e la Brambilla e ci sarebbe solo l'imbarazzo della scelta a continuare).
Dall'altro si ha l'impressione che si voglia cucinare l'Italia (ed il popolo italiano) a fuoco lento per imporre senza più opposizione politica e sociale, nel momento in cui la situazione precipiterà, tutte le soluzioni (privatizzazioni ed ulteriore smantellamento del settore pubblico, annientamento dei diritti sociali e dei lavoratori) che i detentori del potere economico auspicano per il proprio esclusivo vantaggio.
E' per questo indispensabile, prima che sia troppo tardi, dare vita e forza ad un movimento di massa in grado di interpretare e dare voce ai veri interessi popolari e di imporre il cambiamento dell'agenda politica.
E' per questo che bisogna guardare con grande attenzione alla nascente organizzazione degli Indignati italiani.
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