"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

venerdì 27 aprile 2012

Firenze, 28 aprile: sarà l'ALBA di una nuova politica?



Firenze, 28 aprile, Mandela Forum: prima assemblea nazionale degli aderenti al Manifesto per un Soggetto Politico Nuovo. Anche in diretta streaming al seguente indirizzo: http://www.ustream.tv/channel/soggetto-politico-nuovo
All'ordine del giorno le questioni del Programma, del Finanziamento, del Nome. Per quanto riguarda quest'ultimo la scelta avverrà tra le quattro proposte più votate tramite e-mail e il sito internet:

ALBA - ALLEANZA LAVORO BENICOMUNI AMBIENTE
LAVORO E BENI COMUNI
ITALIA BENE COMUNE
ALTERNATIVA DEMOCRATICA

Personalmente sceglierei il primo, per il carattere evocativo e di speranza della parola ALBA, che implica la possibilità e la necessità di una rinascita per il nostro Paese, e per i temi le cui iniziali la compongono, caratterizzanti una visione politica alternativa a quella che siamo stati costretti a subire in questi ultimi decenni: lavoro, beni comuni, ambiente.
A chi non ha ancora sentito parlare di questa iniziativa, a chi ha espresso al riguardo dubbi, perplessità, scetticismo, suggerisco di leggersi il 'manuale di istruzione' (le risposte alle domande frequenti) del progetto per un Soggetto Politico Nuovo.
Troverà, come io credo, molte di quelle idee, di quelle proposte, gran parte di quella visione e di quella radicalità che da tempo ci attendiamo dalla sinistra (anche se ancora una volta, anche per gli stessi promotori del Manifesto, la parola sinistra sembra non debba essere pronunciata ad alta voce). E accanto a queste razionalità, concretezza e apertura al dialogo, il considerare irrinunciabile l'adozione di un metodo autenticamente democratico e partecipato dal basso, il rifiuto del settarismo e della pretesa di rappresentare gli unici depositari della verità e della via giusta all'Alternativa.

Indice domande
Q: 1. Un regime democratico può fare a meno dei partiti?
Q: 2. Il tema delle elezioni e della rappresentanza rientra nel progetto?
Q: 3. Volete far nascere un partito in vista delle elezioni del 2013?
Q: 4. Come sceglierete i vostri rappresentanti, delegati, portavoce…?
Q: 5. Vi darete un nome?
Q: 6. Un nuovo soggetto politico non nasce a tavolino. A quali soggetti in carne e ossa vi rivolgete?
Q: 7. Questo nuovo soggetto sarà di sinistra?
Q: 8. C’è già molta frammentazione a sinistra, non c’è il rischio di aumentarla?
Q: 9. Che cos’è che non vi piace di Sel, Rifondazione comunista, Italia dei Valori?
Q: 10. E del Movimento cinque stelle di Grillo cosa non vi piace?
Q: 11. Farete alleanze elettorali? Vi proponete di partecipare a governi?
Q: 12. Perché nel testo del Manifesto che costituisce la base del soggetto politico nuovo si dice molto sul metodo e poco sui contenuti dell’azione politica economica?
Q: 13. Che importanza date alle politiche per il lavoro?
Q: 14. Che importanza date alla pace e al disarmo?
Q: 15. Quali saranno le proposte programmatiche concrete del soggetto politico nuovo?
Q: 16. Cosa sono l’Open Space Technology, l’Electronic Town Meeting, il PARTY?


Q: 1. Un regime democratico può fare a meno dei partiti?
SA: No: la democrazia vive di corpi intermedi fra società e istituzioni politiche,
ma i partiti attuali non svolgono più questa funzione, anzi la ostacolano.
Le istituzioni pubbliche sono tanto più democratiche quanto più aperte
alla partecipazione dalle cittadine e dei cittadini. Ma il sistema con cui oggi
si formano le rappresentanze politiche funziona da ostacolo alla partecipazione
e quindi impoverisce la democrazia.
LA: I partiti politici attuali hanno teso a monopolizzare e ad aziendalizzare la rappresentanza,
così si è scavato un abisso fra istituzioni politiche (“stato apparato”) e
società civile (“stato comunità”). Nessuna comunicazione decente sembra più
avvenire. Occorre immaginare e costruire altri corpi intermedi, espressione di
nuovi modelli di partecipazione politica fondati su passione, trasparenza, inclusione.
Nuovi soggetti per nuovi spazi pubblici, articolazione di una democrazia non più
solo fondata sulla delega e su una rappresentanza separata dalla partecipazione
collettiva.
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Q: 2. Il tema delle elezioni e della rappresentanza rientra nel progetto?
SA: Sì, ma non è né lo scopo principale, né il fine di tutto.
LA: Ci poniamo fino in fondo il problema della rappresentanza, cioè del superamento
della separazione fra istituzioni e società. Ma se il soggetto politico che proponiamo
ha nel suo orizzonte il tema della rappresentanza esso non è però finalizzato
al momento elettorale: vuole esistere nei luoghi di lavoro e di vita, costruire
spazi di confronto e “fare società”. Non intendiamo solo mandare qualcuno/a
in parlamento, ma iniziare un processo costruzione di soggettività collettiva
e di trasformazione dello spazio istituzionale: ridare voce e spazio alla democrazia
e alla decisione politica – da tempo dominate da poteri sovranazionali che svuotano
di senso i parlamenti, da una sorta di tirannia della ragione economica che sembra
non ammettere altre soluzioni possibili. Tutto finisce per essere affidato ai “tecnici”
della finanza, perché non si vuole che la politica possa essere libera di scegliere,
proponendo alternative.
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Q: 3. Volete far nascere un partito in vista delle elezioni del 2013?
SA: Vogliamo costruire uno strumento costituzionale di partecipazione della
cittadinanza alla vita democratica e alla lotta politica del paese. Le prossime
elezioni politiche costituiranno un appuntamento per molti aspetti decisivo per
la democrazia italiana, che non possiamo ignorare. Potremo decidere se candidarsi,
e con chi, solo col metodo democratico e quando la questione sarà matura.
LA: Siamo impegnati a costruire un soggetto che sia rete e connessione di tutto ciò
che nella società è vivo e privo di rappresentanza. Donne e uomini, ragazze e
ragazzi, associazionismo e movimenti, organizzazioni e comitati. Ma non pensiamo
né di ritagliarci uno spazio sociale che si disinteressi della rappresentanza
istituzionale, come se questa non incidesse sulla vita materiale e immateriale
della società, né di svolgere una attività di tipo esclusivamente culturale.
Non vogliamo solo fare pressione esterna dal basso sperando nella capacità di
autoriforma degli attuali partiti: non ci crediamo più, abbiamo già dato. Quella
soggettività politica diffusa che è il nostro primo passo ha dentro il suo orizzonte
il tema della rappresentanza. Sarà il percorso che praticheremo nei prossimi mesi
a giudicare dell’opportunità o meno di presentare liste elettorali – che non
saranno mere liste civiche – ma espressione di un progetto nazionale, europeo,
internazionale.
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Q: 4. Come sceglierete i vostri rappresentanti, delegati, portavoce…?
SA: Con metodo rigorosamente democratico: è questo il nostro specifico, la
nostra ragione sociale. Con il principio una testa un voto.
LA: Intendiamo adottare criteri e forme per il bilanciamento di genere, di età, territoriale.
Porre limiti rigidi riguardo la somma delle cariche e degli incarichi. Applicare
il principio della rotazione delle funzioni. Con la massima cura nell’evitare il
professionismo della politica.
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Q: 5. Vi darete un nome?
SA: Certo. Lo faremo con un metodo condiviso e partecipato.
LA: Un nome è fondamentale perché indica una identità, delle parole chiave, un orizzonte
di senso. E poi vogliamo scegliere noi come essere chiamati, non lasciarlo agli
altri o alle bizzarrie giornalistiche.
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Q: 6. Un nuovo soggetto politico non nasce a tavolino. A quali soggetti in
carne e ossa vi rivolgete?
SA: Al popolo ampio che in questi anni si è mobilitato a difesa della Costituzione,
per la dignità del lavoro, per i beni comuni, per la giustizia ambientale, per
un’altra politica fatta di azioni e di saperi partecipati.
LA: Per questo è utile rimandare indietro l’orologio di dodici mesi. Nella primavera
dell’anno scorso abbiamo vissuto in Italia una storia diversa da quella che ci
è stata raccontata poi. Abbiamo visto piazze riempite da donne e giovani in difesa
della loro dignità, del sapere e del futuro. Abbiamo visto milioni di persone
mobilitarsi per una campagna referendaria sui beni comuni che si è svolta porta
a porta, senza grandi mezzi mediatici, nelle strade, con i vicini di casa, nei
quartieri, nei luoghi di lavoro. Un popolo che ha detto no alla privatizzazione
dell’acqua, al nucleare, all’uso privato della legge. Abbiamo visto il ritorno
della Costituzione come riferimento comune. La difesa della dignità del lavoro
non solo come questione sindacale o vertenziale di fabbrica, ma come diritto di
cittadinanza, fondamento della polis. E poi le elezioni amministrative in molti
comuni hanno visto l’affermazione (già prima, nelle primarie) di molti candidati
espressione della società civile, non di partito. Tutto questo è stata la dimostrazione
che un’altra politica è possibile, non in astratto, ma attraverso azioni comuni
delle cittadine e dei cittadini. È questo il nostro riferimento. Tuttavia i movimenti
sono sempre esposti al rischio del dissolversi, la sfera politica istituzionale,
strutturata ormai sulla separazione dalla società – salvo il momento elettorale,
vissuto come marketing commerciale – è sempre incline a disinteressarsi della
manifestazione della volontà popolare. L’abbiamo visto anche in relazione alla
privatizzazione dei beni comuni. Occorre che quel mondo non resti spettatore rassegnato
del desolante spettacolo politico. Occorre che invada la scena, che cambi il copione.
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Q: 7. Questo nuovo soggetto sarà di sinistra?
SA: Sarà di sinistra, se si hanno a mente i valori fondativi storici che tale
espressione evoca, ma senza l’ossessione di proclamarsi tale (dovendo tenere conto
dello svuotamento di significato cui l’espressione è incorsa a causa di una sua
cattiva utilizzazione) e perché lavora per una rete larga di trasformazione della
società nel senso della libertà, dell’eguaglianza e della partecipazione. Senza
imprigionare energie in recinti autoreferenziali.
LA: È evidente una certa affinità con il pensiero di sinistra. Ma anche con quello
del femminismo, dell’ecologismo, dell’antirazzismo, dell’antispecismo. È dalla
parte del lavoro e della democrazia in tutti i luoghi – a partire dalle fabbriche.
Rifiuta il modello neoliberista dominante in tutt’Europa che vuole “privatizzare
a tutti i costi, che non ha alcuna cultura dell’eguaglianza, che minaccia a morte
lo stato sociale, la dignità e sicurezza del lavoro”. Insiste sulla centralità
dei beni comuni, sul loro essere fondamento di diritti inalienabili, beni-relazione
indisponibili al potere assoluto della proprietà – sia pubblica che privata.
Patrimonio di una comunità e fondamento del suo tessuto condiviso di valori e
pratiche. Ma non sarà appassionato di etichette, definizioni che rischiano di
sostituire il pensiero e che per molte persone ormai significano poco. Avrà l’obiettivo
di costruire inclusione e condivisione di valori e pratiche, egemonia nella lettura
e nella proposta di trasformazione del mondo. Non si rifugerà in dichiarazioni
sterili di appartenenza.
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Q: 8. C’è già molta frammentazione a sinistra, non c’è il rischio di aumentarla?
SA: l’inadeguatezza e incapacità di costruire l’alternativa alla crisi: questo
è il vero problema!
LA: La questione grave e decisiva è il ritardo culturale e di analisi della sinistra,
la sua incapacità di stare al passo con le trasformazioni che hanno investito
la società, la cultura e perfino l’antropologia dell’Italia e dell’Europa; alla
sua separazione dalla società civile e dalle pratiche politiche che sono diffuse
nella società: di difesa del territorio, altra economia, gruppi di acquisto solidali,
banche del tempo, produttori biologici, welfare di prossimità, reti del commercio
equo e solidale, impegno verso l’immigrazione, ambientalismo. Dare voce e fare
spazio a questa società viva politicamente ma del tutto fuori dalle pratiche di
partito dei “possessori di marchio”, dalle frammentazioni della sinistra; proporre
uno spazio pubblico allargato e un soggetto politico nuovo, una sinistra altra,
potrebbe al contrario indurre una destrutturazione e una riaggregazione della sinistra.
L’ambizione è molto alta: non aggiungersi ai partiti esistenti, né tentare un’ennesima
somma di sigle che sarebbe incapace di qualunque trasformazione culturale dei soggetti,
di attrazione di nuove energie. L’ambizione è di indurre, con il processo di costruzione
di un soggetto politico includente, un sommovimento generale dei soggetti politici
esistenti della sinistra e non solo. Alla fine di quel processo il tema della rappresentanza
anche elettorale potrà essere affrontato sulla base delle relazioni costruite
e della elaborazione sviluppata.
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Q: 9. Che cos’è che non vi piace di Sel, Rifondazione comunista, Italia
dei Valori?
SA: Non ci piace quella forma partito chiusa, sempre verticistica e politicista,
o troppo legata ai modelli classici del Novecento, o figlia del modello personalistico
e leaderistico della società dello spettacolo post-novecentesca.
LA: In ogni caso in nessuno di quei soggetti c’è la partecipazione e la democrazia
come la proponiamo noi e che abbiamo visto all’opera nelle piazze e nelle strade
italiane della scorsa primavera.
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Q: 10. E del Movimento cinque stelle di Grillo cosa non vi piace?
SA: Non ci piace e molto ci preoccupa il suo sistema di riferimento populista,
centrato sulla figura del leader urlante e trascinatore.
LA: Partendo da una più che giustificata protesta contro la “casta” politica, vista
la casta- il M5S è incline alle semplificazioni spettacolari, che assecondano
le pulsioni più istintive e facili della popolazione. Dunque non privo di tendenze
xenofobe o razziste. Su alcuni temi il M5S fa proposte condivisibili (il tema dell’energia,
l’uso democratico della rete…) e tanti suoi attivisti ed elettori sono cittadini
impegnati e informati, ma senza un orizzonte valoriale definito (e Grillo affermando
che il concetto di destra e sinistra è superato usa un motivo tipico del populismo)
si finisce solo per intercettare la rabbia e per fermarsi alla denuncia, senza
costruire altre relazioni fatte di passioni positive.
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Q: 11. Farete alleanze elettorali? Vi proponete di partecipare a governi?
SA: Intendiamo lavorare per aggregazioni larghe capaci di un riformismo radicale
che richiede la prospettiva del governo, che non si ritaglia l’opposizione come
unico suo spazio.
LA: La nostra ambizione è quella di costruire un blocco autenticamente democratico
che costruisca un’alternativa credibile alle politiche del governo Monti, un’altra
via di uscita dalla crisi.
Il tema della rappresentanza per noi non significa ritagliarsi uno spazio angusto
e sterile contro tutto e tutti, della protesta radicale, nel quale restare puri
dalle contaminazioni. Non si tratta, in un certo senso, nemmeno di essere nelle
istituzioni la voce, la tribuna, dei movimenti o della società attiva. Quella
società ha la sua voce e i suoi spazi altrove; ha bisogno casomai che si allarghino
i luoghi di decisione e partecipazione. La diffusione e il decentramento della
democrazia. Il soggetto politico che proponiamo di costruire lavorerà per aggregazioni
larghe capaci di un riformismo radicale, in grado di incidere sulla società: dunque
non per fare solo testimonianza. Chiaro che ogni mediazione sarà discussa e decisa
collettivamente e in modo trasparente. Chiaro che se non ci saranno le condizioni
per contribuire a un processo di trasformazione in senso democratico ed egualitario
della società, per un’altra uscita dalla crisi, la riconversione dell’economia,
nuovi stili di vita e di relazioni umane, il ruolo da svolgere nelle istituzioni
sarà quello dell’opposizione. Ma l’obiettivo è lavorare a un cambiamento dell’Italia
e dell’Europa, non cedere alla rassegnazione di una presenza ininfluente.
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Q: 12. Perché nel testo del Manifesto che costituisce la base del soggetto
politico nuovo si dice molto sul metodo e poco sui contenuti dell’azione politica
economica?
SA: Perché oggi crisi economica crisi democratica e sociale si fondono. Di
fronte a una politica che ha abdicato ai suoi fini di incivilimento della convivenza
umana, identificandosi invece con quelli dell’economia finanziaria, risalta l’urgenza
di costruire una soggettività politica radicalmente nuova, all’altezza della drammaticità,
ma anche delle potenzialità attuali.
LA: Siamo partiti da un’analisi della crisi democratica e di cultura che attraversa
l’Italia e l’Europa; dal determinarsi di una separazione fra società e stato che
produce una solitudine della vita politica diffusa di donne e uomini,
e l’impoverimento anche del ruolo dei parlamenti e dei governi – sovradeterminati
da altri poteri invisibili quanto decisivi, quelli del capitalismo finanziario,
dei mercati, delle agenzie di rating. Qui crisi economica, devastazione sociale
e crisi democratica si fondono.
Abbiamo descritto un orizzonte di valori e uno “stile”, l’importanza di certe
pratiche, per affermare l’esigenza e anzi l’urgenza di far nascere un soggetto
politico nuovo all’altezza della drammaticità di questa crisi. Le forme, i metodi,
le passioni e i sentimenti collettivi su cui questo soggetto confederale, rispettoso
delle autonomie, può essere costruito, ci sembrano l’elemento adesso prioritario.
I “programmi” saranno elaborati collettivamente, in modo inclusivo e aperto al
confronto, all’interno di quel quadro di valori e di relazioni. Che però sono
già un contenuto, portano già il segno di una cultura della persona e della vita
collettiva in radicale antagonismo con il neoliberismo, la privatizzazione di ogni
bene e spazio pubblico, la riduzione del lavoro a merce e di tutto l’immaginario
a interesse privato e calcolo costi-benefici. Peraltro la nostra riflessione su
un’altra uscita dalla crisi economica e sociale dell’Italia e dell’Europa ha già
vissuto una prima tappa importante con la partecipazione al seminario fiorentino
del 9 dicembre su La rotta di Europa (di cui si trovano i materiali in http://www.sbilanciamoci.info/. Altre ne costruiremo.
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Q: 13. Che importanza date alle politiche per il lavoro?
SA: Gli diamo un’importanza fondamentale perché vediamo nel lavoro non solo
una questione economica da affrontare in termini sindacali o vertenziali, ma civile
e politica: di dignità personale, radicamento nella comunità e relazione collettiva
nella polis. Democrazia, diritti e cittadinanza – nella società e nel
modo di essere delle rappresentanze – sono la condizione di partenza, non sufficiente
ma necessaria, per la ricostruzione e sono al tempo stesso aspetto fondamentale
della questione del lavoro.
LA: Oggi la fabbrica è tornata centrale come simbolo di un paradigma universale neoliberista:
deve, come tutta la vita collettiva, subordinarsi disciplinata alle esigenze della
competizione al tempo della globalizzazione. Non ci sono alternative. Siamo entrati
nel mondo della necessità. Il lavoro dovrebbe piegarsi a tutto: ingranaggio
di una megamacchina la cui logica diventa “naturale”, mentre cancella la natura
ridotta a risorsa da contabilizzare. Lascia (forse) più libere le braccia, ma
ti invade la mente – anche per la sua assenza che diventa angoscia e assenza di
futuro. Sparisce da questa nozione di lavoro qualunque forma di cittadinanza. La
democrazia si ferma ai cancelli della fabbrica, e dunque anche fuori non sta tanto
bene. Il lavoro è fondamentale, dunque, anche come forma di radicamento nel tessuto
collettivo della società, elemento di cittadinanza per la rete di relazioni che
costruisce e in cui riceve senso, condivisione e identità. Elemento centrale di
uno scambio che non è solo individuale e mercificato, solitario o addirittura
servile, ma politico perché partecipe di una dimensione relazionale e
progettuale di società, stili di vita, cultura comune. E la liberazione del lavoro
allora può procedere in un certo senso insieme alla liberazione dal lavoro: il
dentro e il fuori della fabbrica sono attraversati da una stessa appartenenza alla
polis e dall’esigenza di rivedere radicalmente tutta la grammatica dello sviluppo:
non più auspicabile nelle forme distruttive di una espansione infinita delle merci
che cancellano appartenenza alla natura e relazioni umane. In questo senso la riduzione
dell’orario di lavoro non sarebbe solo aumento di tempo vuoto o di consumo bulimico,
ma spazio e tempo di vita collettiva. Il lavoro, sempre più intriso di linguaggio
e di sapere, potrebbe sviluppare autonomamente le sue possibilità cooperative
- inaugurando una nuova forma di conflitto contro la riduzione a prestazione salariata
o pseudo-autonoma.
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Q: 14. Che importanza date alla pace e al disarmo?
SA: È quasi inutile affermare che sono assolutamente fondamentali. Non
solo il “ripudio” della guerra, ma la sua cancellazione dall’ordine simbolico
attraverso il nuovo senso di una politica che sa gestire i conflitti senza farli
diventare distruttivi.
LA: Facciamo nel nostro Manifesto costantemente riferimento al meglio della tradizione
del novecento, alla cultura costituzionale che lo ha attraversato. Il valore del
pacifismo ne è un segno fondamentale non solo per quanto riguarda l’articolo 11
e la questione delle relazioni internazionali dell’Italia, ma per quello che significa
come grammatica profonda della vita collettiva, come alternativa alla violenza
e alla distruzione che le guerre del secolo breve hanno fatto tragicamente sperimentare.
Non solo la rinuncia e il “ripudio” della guerra come mezzo per la soluzione
dei contrasti internazionali, ma la sua cancellazione dall’orizzonte simbolico
attraverso la nuova dimensione della politica intesa in senso nobile e alto come
confronto che sa gestire i conflitti senza farli diventare distruttivi. Il contrario
della guerra in questo senso non è semplicemente la pace, ma la politica. Un tessuto
di relazioni condivise in grado di affrontare ed essere alimentato dal conflitto.
Per noi è così fondamentale che nel Manifesto si estende la categoria della non
violenza anche ai rapporti interni e personali. Perché quello spazio pubblico
e la vita del soggetto politico siano davvero inclusive delle differenze e capaci
di confronto, occorre praticare sempre, a partire da noi stessi, la virtù dell’ascolto,
del confronto fra punti di vista diversi nella costruzione di un mondo comune,
la qualità della mitezza – insieme a quella della fermezza. Non per sottrarsi
alla dimensione del conflitto sociale o politico, che sono un alimento indispensabile
della democrazia e della creatività sociale – al contrario per praticarla in
forme che non si lascino militarizzare e ridurre alla violenza, sempre funzionale
a chi detiene il potere e conosce solo conflitti a sua somiglianza.
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Q: 15. Quali saranno le proposte programmatiche concrete del soggetto politico
nuovo?
SA: Saranno quelle che un percorso partecipato e diffuso di confronto sarà
in grado di elaborare. Ma non si parte da zero.
LA: C’è un orizzonte di riflessione e di analisi che il Manifesto ha già indicato
nel rifiuto del neoliberismo, e non solo. E ci sono i contributi che sono arrivati
e stanno arrivando. Non mancheranno le competenze per riflettere e proporre sui
temi dell’economia, del lavoro, della democrazia, dei diritti civili. In ogni caso
sarà proprio il terreno dei contenuti e dell’agenda tematica ciò su cui si comincerà
a lavorare nei diversi territori e in tutti i nodi della rete di partecipazione
e riflessione che andiamo a costruire.
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Q: 16. Cosa sono l’Open Space Technology, l’Electronic Town Meeting, il PARTY?
SA: Sono tre diversi metodi di democrazia partecipativa che permettono, con
proprie e diverse caratteristiche utili agli scopi da raggiungere, di discutere
e decidere in una data quantità di persone, riunite in momenti plenari e intorno
a tavoli.
LA: I primi due (in sigla OST e e-TM) sono fra i modelli più noti e sperimentati in
vari contesti socio-politici, il terzo (PARTY: partecipazione attiva riunita a
tavoli interagenti) è quello elaborato da Rete@sinistra ed applicato in nove casi
nel corso degli ultimi due anni.
L’OST si adatta bene a realtà poco strutturate e quando l’obiettivo non è tanto
una decisione quanto un confronto istruttorio approfondito, invece l’e-TM si presta
bene a gestire eventi partecipativi particolarmente numerosi e mette l’accento
sul momento decisionale attraverso il voto elettronico su alternative secche. Il
PARTY permette di gestire eventi fra le 40 e le 300 persone ca. raggiungendo un
buon equilibrio fra discussione e decisione. Esso assume del e-TM la produzione/circolazione
di materiale elaborato precedentemente, la (relativa) rigidità della formazione
dei gruppi/tavoli di lavoro, la votazione individuale del documento conclusivo
(in plenaria). Dell’OST si assume invece soprattutto la possibilità di cambiare
argomento e di cambiare gruppo-tavolo, l’assenza di figure “professionali” per
facilitare e resocontare la discussione nei singoli gruppi, l’impegno a chiudere
il report prima dello scioglimento del gruppo. Il metodo presenta costi contenuti
(soprattutto rispetto all’e-TM che richiede un apparato tecnologico professionale).
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