Di giorno in giorno vengono snocciolati
i numeri della crisi economica italiana (con il Paese tornato indietro di 20 o 30
anni): + 49,2 di ricorso alla Cassa Integrazione nello scorso mese di
febbraio, tasso di disoccupazione giunto al 9,3 per cento (al 31,9
per i giovani e al 49,2 per le donne al Sud), crollo del mercato
dell'auto in Europa e in Italia soprattutto per la Fiat (che fine
farà la 'paccata' di miliardi promessa da Marchionne?), record di
fallimenti delle imprese e conseguente perdita di posti di lavoro che
dopo il terribile 2011 prosegue anche nel 2012.
I redditi, per chi ha ancora un
reddito, sono falcidiati dall'aumento del costo della vita
(alimentari, benzina, utenze domestiche come luce e gas), dalle tasse
(IVA, IMU, addizionali regionali e comunali), dal blocco delle
pensioni e degli aumenti retributivi previsti dagli accordi
contrattuali mentre Bankitalia ci precisa, forse con un po' di
sadismo e alla faccia di chi aveva chiesto l'istituzione di
un'imposta sui grandi patrimoni, che i dieci italiani più ricchi
posseggono l'equivalente di tre milioni di poveri, che il reddito
delle famiglie è crollato negli ultimi anni e che una inaccettabile
percentuale di cittadini vive sotto la soglia di povertà o poco al
di sopra di questa (probabilmente quasi tutti imprenditori visto che questi,
secondo i dati, del ministero dell'Economia guadagnano in media meno
dei loro dipendenti ..).
Lo spread è calato rispetto ai livelli
degli ultimi mesi del Governo Berlusconi non per l'azione del Governo
Monti ma – così ci spiega gran parte degli esperti – per
l'enorme liquidità fornita alle Banche dalla BCE di Draghi. Rimane
comunque minacciosamente elevato e soprattutto non è di nessun aiuto
alle persone per acquistare i beni essenziali nei negozi e nei
supermercati.
Si tratta di numeri peraltro che
confermano quanto possiamo osservare nella nostra vita reale e quanto
apprendiamo dalle notizie che ci forniscono giornali e tv: che
trovare lavoro è difficile come vincere al superenalotto, che gli
operai sulle gru e sulle torri che disperatamente tentano di
difendere il proprio posto di lavoro e l'esplosione dei suicidi di
dipendenti e imprenditori sono la più tragica dimostrazione della
gravità della crisi che stiamo affrontando.
Eppure nonostante questi numeri,
nonostante quanto affermano tutti gli esperti e persino De Benedetti
e il neo Presidente di Confindustria Squinzi in merito a ciò che sarebbe necessario per creare sviluppo
e occupazione (investimenti, ricerca, infrastrutture, efficienza
della burocrazia e della giustizia), l'ineffabile e immaginifico
Ichino (per intenderci quello che può contare su due redditi
sostanziosi quali lo stipendio di professore universitario e
l'indennità di parlamentare oltre a quelli delle proprie prestazioni
professionali e la cui figlia è un dirigente di Mondadori, cioè una
dipendente di Berlusconi) non demorde dall'indicare nella riforma
del mercato del lavoro, ovviamente nel senso di ridurre le
garanzie di stabilità per coloro che attualmente hanno un contratto
a tempo indeterminato, la prima cosa da fare.
A supporto delle sue tesi Ichino non
solo porta dati vecchi (arrivano fino al 2010), riferiti a specifiche
aree geografiche e comunque smentiti dalle ultime statistiche
divulgate da Istat e Banca d'Italia ma soprattutto ignora (o fa finta
di ignorare) due elementi fondamentali.
Primo, anche se fosse vero che
l'ottanta per cento di chi perde il lavoro lo ritrova entro un anno,
a quali condizioni (e ciò vale soprattutto per gli 'anziani'
ultraquarantenni e ultracinquantenni con 20 o 30 anni di esperienza
di lavoro) viene riassunto?
Secondo, dove sta, nella concezione
economico-filosofica di Ichino, l'obiettivo/necessità di raggiungere
la piena occupazione?
Tra i diritti fondamentali sanciti
dalla nostra Costituzione per rendere sostanziale ed effettiva la
condizione di piena cittadinanza di ciascun individuo sono indicati,
oltre a quelli civili e politici, il diritto alla salute,
all'istruzione e al reddito/lavoro.
Potremmo considerare accettabile avere
l'ottanta per cento di probabilità di essere curati in un pronto
soccorso in una situazione di emergenza? Potremmo tollerare avere
l'ottanta per cento di probabilità di assicurare un'istruzione ai
nostri figli? E allora come possiamo pensare che la disponibilità
per tutti di un reddito e di un lavoro possa essere lasciata ai
capricci del mercato ed accontentarci che sia un evento 'abbastanza' probabile?
D'altra parte dovrebbe essere a tutti
ormai chiaro che la questione del mercato del lavoro e dell'articolo
18 è tutt'altro che una questione di scuola, una discussione tra
tecnici ed esperti su quale sia il modo migliore per incrementare
l'occupazione ed eliminare il divario tra i cosiddetti garantiti e i
precari.
Quando si parla in modo disonesto di
eliminare il preteso apertheid, creato ad arte dai padroni del vapore, tra queste due categorie di lavoratori non è
perché si vogliono incrementare le garanzie per i precari ma
eliminarle per chi ancora gode di qualche protezione. Ciò che è in ballo sono i
rapporti di forza tra imprese e dipendenti in cui questi ultimi
devono soccombere e perdere ogni residua stabilità, è il costo del
lavoro che va ridotto sostituendo gli anziani con i giovani sotto pagati,
è il ruolo del sindacato che va annientato instillando il terrore e
togliendo il diritto alla dignità ad ogni lavoratore.
Non è un errore di valutazione del
Governo Monti quello di scegliere strumenti non adeguati alla ripresa
dell'economia italiana. E' come scrive 'Rivoluzione democratica', pur
insieme ad ingiuste accuse nei confronti di Guido Viale, una strategia
deliberata per far completare all'Italia, nel quadro della divisione
del lavoro dell'economia mondiale, l'evoluzione verso un sistema produttivo
di serie B, fondato su bassi salari e diritti e produzioni di modesto
livello tecnologico.
Sulla questione del reintegro in caso di ingiustificato licenziamento per ragioni economico-organizzative si sta rappresentando, in ordine di tempo, l'ultimo teatrino politico-sociale. Con la 'severità' di Monti e della Fornero, con la presunta difesa dei lavoratori del PD e della CGIL volta a nascondere l'inciucio con i partiti di Berlusconi e Casini, con la 'ragionevolezza' di UIL e CISL. La realtà è che ammettendo il licenziamento individuale per questi ragioni, nei casi indicati nelle anticipazioni del progetto di legge Fornero (dismissione di reparti, perdita di commesse, esternalizzazione di lavorazioni) non vi è alcuna fondata possibilità di dimostrare giudizialmente l'assenza di una giusta causa da parte dell'azienda che espelle il dipendente.
Nessun commento:
Posta un commento